Aalto e il fiume
Remo Dorigati


 

Nel 1966, con il progetto del complesso residenziale a S.Lanfranco, conosciuto come "Quartiere Patrizia", Alvar Aalto introduce nella realtà pavese un principio di progettazione che fa degli spazi aperti e del paesaggio la materia base da cui prende corpo una proposta sorprendente.
Il piano non andrà a termine per ragioni politiche. La città non  accettò di affrontare con coraggio una proposta alternativa che, in ogni caso, si poneva entro la miglior tradizione del Movimento Moderno, e rimosse la proposta relegandola a semplice atto speculativo. Ma anche sul piano culturale non mancarono  polemiche e critiche che dimostrano quanta incomprensione e refrattarietà vi fosse nell'accettare i presupposti di una vera alternativa alle espansioni urbane che in quegli anni, ma anche dei periodi successivi, avrebbero urbanizzato le periferie secondo principi che procedevano per semplici addizione di manufatti, distanziati l'un l'altro da rigorosi spazi normativi.
Il n. 59 della rivista "Italia Nostra" demolisce la proposta come il prodotto di una "visione poetica personale" e di modelli di "estrazione accademica", che è quanto di peggio si potesse dire, in quegli anni. L'accusa di poetica stava a significare che, se il progetto poteva anche esprimere degli aspetti qualitativi in sé, rimaneva pur sempre avulso dalla realtà sociale e culturale in cui veniva calato. Come dire che i problemi della città erano ben altri e che non potevano certo essere riscattati da un "buon linguaggio" o da una buona composizione architettonica.
L'esperienza dei cosiddetti quartiere razionalisti era stata definitivamente chiusa con il QT 8 di Bottoni a Milano,  così era pure terminata la sperimentazione del neorealismo- INAcasa che, almeno in Lombardia e Piemonte  aveva subito una forte influenza da parte dell'empirismo nordico.
La proposta di Aalto a Pavia sembrava a molti una sorta di appendice di esperienze già consumate e prive di reali prospettive. Forse, chiamare il nuovo insediamento con il nome di "Patrizia" non ha giovato alla proposta che venive identificata come un'isola felice all'alta-media borghesia milanese. Una vecchia storia, questa, che vede la città in sospettosa difesa della sua identità a fronte dell'egemonia dell'area metropolitana che, in quegli anni iniziava un'inarrestabile espansione verso sud. Nella proposta di piano del concorso del '34, il gruppo dei BBPR già parlava esplicitamente di Pavia come "satellite" di Milano.
Ma ancora più pesante era la critica di indifferenza alla cultura e storia della città.
Lo schema proposto non avrebbe tenuto in nessuna considerazione la relazione con i tipi storici della città tradizionale né con l'ordine urbano disegnato dalla partitura regolare degli isolati di matrice romana.
Il punto di vista di Aalto mette in crisi una visione, questa sì accademica, che non ha occhi per la forma del territorio e considera contestuale tutto ciò che attiene ai tipi edilizi e alle forme urbane della storia. Non comprendono come sia possibile spostare l'attenzione dalla "forma urbis" verso il principio più generale di ambiente e di abitare che Aalto chiama "un continuo respiro di intimità".
La relazione fra il confort dello spazio domestico e lo spazio esterno è mediato da un concetto di natura che ha la forza di organizzare e orientare tutta la struttura compositiva dell'insieme.
Così, luce, aria, verde, topografia e fiume diventano gli elementi basilari di una cerniera indissolubile che articola l'individualità della singola cellula abitativa ad una comunità in cui gli spazi di incontro e di relazione sono calibrati sulla bellezza del luogo piuttosto che su astratti principi urbani. Non esiste una strada o una piazza in senso tradizionale, esistono piuttosto percorsi, passeggiate, luoghi di incontro posti dove le viste e le aperture sul paesaggio sono più coinvolgenti.
L'intervento, che prevede una densità piuttosto bassa di circa 130 abitanti/ettaro, per un totale di 12.500 persone, è costituito da una serie di edifici filiformi che variano da 9 a 5 piani con profilo seghettato cosi da enfatizzare quanto più possibile la vista da ogni alloggio sul paesaggio. A questi si aggiungono una serie di case un famigliari a 1-2 piani e un alto edificio lamellare (casa albergo). Una variazione tipologica che allude alla volontà di miscelare sociologicamente quante più possibili tipologie di utenti (per reddito e per nucleo familiare). Attrezzature collettive come scuole materne, elementari e medie convivono, nello spazio aperto, con la chiesa, i club sportivi, il centro sanitario e le strutture commerciali.
 
Un pezzo di città il cui livello di urbanizzazione primaria e secondaria non ha simili in Italia in quegli anni.
Ma ciò che meraviglia è l'abilità con cui Aalto inventa un dispositivo progettuale per controllare la dispersione dei manufatti nello spazio aperto. Perché la disposizione degli edifici non sia casuale o lasciata al semplice capriccio, egli ruba dalla città storica il principio della maglia ordinatrice del periodo romano ma, come lasciando alla topografia il compito di deformarla e farla propria, essa subisce quelle distorsioni che l'idea del paesaggio suggerisce, ed orienta sino a misurare l'andamento curvilineo degli edifici filiformi come il calco di un panno dove la trama e l'ordito aderiscono al suolo esprimendo tutta la potenzialità delle terrazze che degradano verso il Ticino. Allo stesso modo, Aalto trae dalla città storica il concetto di corte ma non come tipo accademicamente definito (la corte quadrata) ma come spazio raccolto che appartiene a chi vi abita, gerarchicamente separato dallo spazio pubblico. Le onde degli edifici curvilinei, disposte a sinusoidi parallele, ma alternate nel ritmo, generano una successione di spazi ora dilatati, ora compressi che producono una sequenza di luoghi introversi che assumono il ruolo di corti aperte disegnate da spazi comuni a da piastre a verde sotto cui sono sistemati i parcheggi.
Il paesaggio delle terrazze naturali, che scendono al fiume, entra fra i filamenti abitati proponendo una visione di città ibrida che mette in discussione la netta separazione fra città e campagna. Come in un collage dadaista, i due domini, legati alle proprietà naturali del paesaggio e a quelle artificiali della città, si dissolvono uno nell'altro generando un suolo che viene manipolato come luogo pubblico. Il tessuto viene inciso da poche strade carrabili che conducono ai parcheggi interrati delle abitazioni e dei servizi mentre una ragnatela di passeggiate lega i singoli spazi sino alla discesa al fiume, senza attraversare alcuna strada veicolare.
L'area è attraversata da una bretella autostradale che allaccia Pavia con la Milano-Genova e quindi assai appetibile per che dovesse recarsi a Milano per lavoro. Questa infrastruttura, che assieme al fiume rappresenta uno dei punti di partenza dello schema di progetto, affronta uno dei temi contemporanei più affascinanti per la progettazione della città diffusa là dove le arterie di traffico veloce sono contigue o spesso integrate alla struttura urbana. Aalto propone di collocare alle due estremità dell'area edifici di natura commerciale con muri a protezione visiva e acustica e arretra le abitazioni, filtrandole con un ampio margine di verde. Ma non solo, egli pensa che l'andamento curvilineo sai un'eccellente risposta al problema del rumore e della vista poiché da ogni alloggio lo sguardo non si affaccia mai direttamente sull'autostrada ma si orienta verso prospettive che non sono mai assiali. Uno schema già collaudato dall'autore nel Dormitorio per studenti a Cambridge (USA) ma che qui a Pavia diventa un vero e proprio un pezzo di città.


 
Dato il luogo in cui doveva sorgere l'insediamento, egli apre lo sguardo al territorio per assumere come tema "...i problemi più importanti che... sono il fiume Ticino,la città di Pavia, la Basilica di S.Lanfranco e l'asse autostradale". Ma è lo sguardo diverso con cui osserva questi fenomeni che rende questa esperienza del tutto originale.
Molti storici, come L. Mumford, ritengono che il vero monumento storico della città di Pavia consista nella permanenza della maglia romana che ancora oggi appare in tutta la sua evidenza.
Ma questo fatto, indiscutibile, spesso rappresenta un ostacolo ad una lettura più attenta alla città per cui accade che non si voglia vedere tutti quei processi di modificazione che si sono susseguiti nel tempo o, ancor peggio, che essi vengano semplicemente rimossi in quanto considerati trasgressioni e lacerazioni dell'integrità di uno schema perfetto di città ideale. Che non si vuol vedere perché non piace. Così, viene rimossa la forte impronta medioevale data alla città che, per così dire, ha distorto e impastato la rigidità della maglia introducendo movimenti fluidi e spezzando lunghe prospettive con piccoli spostamenti di fronti e allineamenti.

Modificazioni assai significative come quelle introdotte dall'inserimento dei palazzi barocchi e neoclassici come palazzo Mezzabarba (oggi municipio), palazzo Orlandi o palazzo Malaspina che producono importanti ribaltamenti urbani alla ricerca di spazialità  che ne aumentassero il prestigio della ricca famiglia nobiliare. La corte interna si apre, il lato su strada lascia spazio ad un ampio vestibolo urbano alla cui fine è collocata la facciata aulica prospetticamente arretrata. A loro modo, come in epoca fascista, molti di questi interventi hanno rappresentato degli "sventramenti"entro il tessuto compatto della città, ma oggi, a distanza di anni, molti di questi spazi aperti sono stati metabolizzati entro l'unità urbana. La storia della città ci restituisce una realtà fatta di stratificazioni, lacerazioni, rotture e permanenze. Il nostro sguardo deve saper cogliere anche le pieghe di una identità, rifiutando modelli di lettura astratti come gli unici attendibili.
Quando Le Corbusier e Aalto percorrono l'Italia sulle tracce dei viaggiatori del Grand Tour, sui loro quaderni di appunti non disegnano, se non tangenzialmente, i grandi monumenti romani o rinascimentali, ma al contrario colgono le compressioni e le verticalità delle cittadelle toscane, il loro essere tutt'uno con la topografia, l'impasto dei materiali e il paesaggio che le accoglieva. Cercano, e quindi trovano quelle forme generate dalla necessità e dalla libertà, non dai canoni.
Cercano la purezza dei volumi e le loro infinite combinazioni, tentano di dare risposte ai nuovi problemi dell'abitare contemporaneo. Pongono delle domande, non accettano modelli già predeterminati.
Si racconta che Aalto in visita a Pavia, per studiare l'area di progetto, sia stato accompagnato da alcune persone colte della città, con il compito di  illustrargli la storia e i monumenti pavesi .
Mentre gli spiegavano  la difficoltà di assegnare filologicamente ad un certo autore la paternità di un determinato progetto di architettura,  o, orgogliosi gli mostravano la perfezione della matrice romana, lui sbirciava nella strada vicina e osservava la linea degli edifici con i loro diversi livelli di gronda, con il loro andamento scalare,  torri- sculture che scattavano come saette, un fronte là in fondo che chiudeva la prospettiva, un lungo muro da cui traboccava il verde, tessiture in mattoni mischiate a intonaci ocra-grigi del colore della sabbia del fiume, una corte interna da cui traspariva un carattere domestico e raccolto...
Poi, verso tardi, dicono, ma ne sono certo, con una scusa qualsiasi si allontana da tutti e, solo, va giù ad uno dei baretti che si affacciano al fiume.  Si siede ad un tavolino di fronte al lento scorrere dell'acqua, ordina un bicchiere di vino dell'Oltrepò, tira fuori il suo quaderno di appunti e di getto butta giù quelle linee incerte che gli appaiono ai bordi dell'acqua. Segni impastati, tremuli che ogni tanto si addensano in grumi. C'è già un'idea.
Poi annota :"..questo sistema acqua-verde ....ha nelle rive del Ticino la sua meravigliosa sorgente genetica" (dalla relazione di progetto).