Comunicazione – La presentazione dei prodotti negli showroom è una fase spesso trascurata, penalizzando il successo dei prodotti

Un percorso schematizzato e volutamente semplificato che, in molti casi, devia dal lineare andamento, bloccando il successo di molti prodotti interessanti e di spessore progettuale. Capita sempre più spesso che le ricerche dei designer e degli stylist per creare l'emozionalità di un oggetto facciano un percorso zoppo, in quanto hanno forza e si divulgano nella prima fase di vita, ma poi si fermano alla promozione, senza superare la barriera della distribuzione e dell'esposizione in sala mostra. È quindi importante sia per le aziende che per i rivenditori essere in grado di affrontare con flessibilità l'esposizione per la vendita.

Il ruolo degli art director
Per capire il gap che si crea fra ricerca aziendale e showroom si devono quindi analizzare i due contendenti affacciati su questo vuoto comunicativo attraverso le teorie del visual marketing. Delle aziende prendiamo in considerazione quelle che hanno al loro interno un art director e un ufficio marketing, in quanto più complesse e in grado di dare maggiori spunti di riflessione, anche a realtà più semplici o a conduzione familiare. Mentre delle sale mostra si guarderà a quelle che hanno nel loro organico addetti vendita e promoter, sempre per verificare i casi più complessi. Gli art director creano la storia dell'oggetto, quella componente immateriale che genera l'aura sulla forma del prodotto. Le immagini divulgative, la messa in scena in occasione delle manifestazioni fieristiche, l'impronta del catalogo e quant'altro crei la storia di un oggetto sono un piatto forte su cui sanno muoversi con abilità, facendo breccia sull'emozione visiva dell'utente, che avviene grazie alla contestualizzazione spaziale dell'oggetto, risultando vincente.

Cosa succede negli showroom
Ma facciamo un passo avanti guardando verso ciò che accade poi negli showroom. Quante volte vediamo rubinetti tecnici con atmosfere sognanti ed esotiche o lavabi presentati con giochi di luci metropolitane, ma in sala mostra troviamo solo un rubinetto e un lavabo indistinto da tutti gli altri che ha perso la propria aura? La comunicazione si è interrotta in due punti: il primo si rintraccia nella mancanza di coordinamento fra art direction e marketing della stessa azienda che a volte si dimenticano di lavorare per le stesse finalità; il secondo è nell'esposizione in showroom dove non si seguono le emozioni evocate dall'azienda madre, ma si installa il materiale in contesti standardizzati perdendone l'identità. Coordinamento ed emozione sono allora, in questo vuoto comunicativo, i due principi da non perdere per superare il gap di passaggio dall'azienda alla sala mostra. Il coordinamento nasce per l'azienda nel dialogo volto a una strategia comune fra art director e addetti marketing, ponendo l'accento da un lato su quale target colpire e dall'altro su come affascinarlo con la storia a immagini dell'oggetto. L'aura che viene creata intorno a un prodotto deve coincidere ed essere condivisa da chi, come un traduttore, andrà a divulgarla presso i rivenditori.

La necessità del coordinamento
È col coordinamento fra queste due forze che l'azienda può scendere in campo e arrivare in showroom con un'immagine legata alla propria scelta comunicativa, aiutando l'esposizione in sala mostra. Non esistono art director o designer che risolvono tutto il percorso, ma professionisti del disegno industriale che sanno guidarla se giustamente informati sulle strategie di marketing, sugli showroom di riferimento e sul target da raggiungere. In sala mostra il coordinamento invece è nel saper vedere l'immagine aziendale come un accrescimento culturale sulle tendenze in atto, senza forzarla, ma solo capendola e prendendone spunto per soddisfare la curiosità e l'interesse della propria clientela. Coordinarsi con l'azienda madre spesso vuol dire prendere accordi sull'immagine per la divulgazione, capire che dietro c'è una profonda ricerca legata all'emozionalità che non deve andare perduta, altrimenti non solo il prodotto mancherà di forza, ma anche le vendite ne risentiranno. Il secondo principio per sanare il vuoto comunicativo si è detto essere nell'uso progettuale dell'emozione: ed ecco che in azienda prende forza la capacità strategica di sapersi creare un'identità personale in grado di essere riconoscibile come anticipatrice del gusto.

Esposizioni da rivedere
Tanta emozionalità viene trasmessa all'oggetto sotto forma di immagine e di aura qualificativa. A sua volta deve passare in showroom attraverso la capacità descrittiva della presentazione e di chi la racconta, infatti la comunicazione non è sempre impersonale, ma ha dalla propria uomini in grado di divulgarla. A sua volta lo showroom deve rompere alcune rigidità nei confronti delle anticipazioni di gusto, lasciandosi trapassare dall'informazione di cultura dell'immagine che arriva dalle aziende, per trasformare l'emozione dell'immagine in emozione spaziale di presentazione del prodotto. Tutto questo approccio teorico deve necessariamente trasformarsi, come si è visto, in messa in scena presso la sala mostra.

La flessibilità visiva
Allora come utilizzare lo spazio a disposizione per raggiungere il massimo della rendita e della visibilità di un oggetto, mantenendo l'aura suggerita dalle aziende? Appare come una questione complessa da risolvere, ma si deve approcciare prima di tutto attraverso la flessibilità visiva. Infatti, in pochi cercano di articolare lo spazio espositivo seguendo i coni ottici visivi, attraverso i quali si sovrappongono le viste dello spazio all'interno dello showroom. Per capire: quando percorriamo una sala mostra avremo un susseguirsi di visioni che alternativamente dovrebbero mettere in evidenza, ovvero avere come fulcro, uno specifico concept d'immagine e di prodotto. Con un approccio di questo tipo la progettazione spaziale non parte dall'articolazione della stanza, ma da come viene percepita, utilizzando le quinte quali orientatori visivi e supporti spaziali della messa in scena. Non ha importanza cosa si racconti e secondo quali direttive aziendali, ma la identificazione conoscitiva con il target di riferimento.

L'attenzione al target
Per fare un esempio, se si lavora su di un target medio si guardano le aziende che suggeriscono emozioni legate a quel target, di conseguenza la messa in scena non dovrà stravolgere il prodotto per renderlo glamour, perché non sarebbe riconosciuto. Viceversa avendo a disposizione un prodotto comunicato attraverso sofisticate emozioni alla moda, raccontarlo in una simulazione di bagno standardizzato gli farebbe perdere l'aura che aiuta nella vendita. Lo spazio deve essere prima capito, poi gestito secondo le prospettive visive e in fine allestito in coordinazione emozionale con i suggerimenti che arrivano dalle aziende. Rompere le barriere di comunicazione visiva fra azienda e sala mostra significa spalancare il mercato all'innovazione, rendendo lineare e senza intoppi il percorso di vita dei prodotti, decretandone un maggior successo di critica e pubblico.