©Niki Fontana

Lo studio Valle Architetti Associati è recentemente impegnato su progetti che elaborano una riflessione sul tema dell'inserimento degli edifici nei luoghi, a cavallo tra architettura, urbanistica e paesaggio. La realizzazione del Centro Civico di Maniago, in provincia di Pordenone, risponde alla tradizione con una architettura capace di relazionarsi con l'esistente senza perdere la propria identità, mettendo in atto un paradossale adattamento al contesto. Dopo i grandi progetti di riqualificazione urbana degli scorsi anni (Portello a Milano, Bufalotta a Roma, area ex-acciaierie con l'inserimento del Nuovo Teatro Comunale a Vicenza, Piani Guida per Padova con il Polo Universitario) lo studio Valle Architetti Associati ha iniziato una pratica più capillare di interventi di riuso e trasformazione di edifici esistenti che affrontano il tema della reinterpretazione sia dell'edilizia recente sia di quella storica. Tra i temi di riflessione sui quali si concentra lo studio, centrale è quello dell’analogia e dell'interfaccia. Esercizi di reinterpretazione del patrimonio architettonico si rintracciano nella riqualificazione degli edifici progettati da Gino Valle per il Campus Fantoni a Osoppo e nel recente incarico per il Campus Lesonit, sempre della Fantoni, a Ilirska Bistrica (Slovenia).

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Con la realizzazione del Centro Civico di Maniago oggi lo studio Valle Architetti Associati aggiunge un nuovo tassello al suo lavoro di ricerca declinando il tema dell'architettura contemporanea nei contesti urbani stratificati: in posizione critica rispetto alla falsa imitazione dell'architettura esistente promossa dai regolamenti edilizi di molti comuni italiani, lo studio si muove alla ricerca di una architettura capace di relazionarsi con l'esistente senza perdere la propria identità. Si tratta di un intervento di demolizione e ricostruzione di un ex-liceo posto nella corte retrostante la centrale piazza d'Italia e confinante con il municipio, la cattedrale quattrocentesca di San Mauro e altri edifici storici vincolati, tra cui le carceri austro-ungariche. Dovendosi l’intervento attenere a un regolamento che richiedeva edifici con elementi desunti dalla tradizione, lo studio Valle Architetti Associati ha di nuovo elaborato una strategia di interfaccia e di analogia senza dare luogo a una falsa imitazione. Per i fronti, traforati da aperture puntuali asimmetriche, infatti, lo studio si è richiamato alle carceri austro-ungariche prospicienti, un edificio caratterizzato da grandi cornici di pietra attorno alle finestre, assegnando al nuovo fabbricato un pattern astratto di finestre quadrate circoscritte da grandi cornici bianche dipinte su intonaco giallo: una sorta di città ‘milleocchi’ proiettata ‘antigerarchicamente’ in tutte le direzioni.

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Il progetto contemporaneo non considera qui la storia come modello indiscusso da tradurre in princìpi ma la tratta come un objet trouvé da richiamare in modo ironico e distaccato. Nel fare ciò mette in atto un paradossale adattamento al contesto con le sue tecniche costruttive e una parallela alienazione da esso grazie alla compresenza di più realtà racchiuse in un singolo involucro e alla proiezione dello sguardo sul paesaggio circostante. Valle Architetti Associati ha anche ridotto e traslato il volume ricostruito riuscendo a configurare una corte pedonale e verde accessibile dalla piazza che collega la nuova struttura con quelle limitrofe. Il palazzo è distribuito su tre piani con ambienti di più dimensioni, atti a ospitare un programma multifunzionale, ognuno dei quali è illuminato da finestre di tre diverse dimensioni, dei fuori scala che proiettano il paesaggio urbano circostante all'interno delle stanze interne.
Questo piccolo magnete urbano mostra come si possa introdurre un linguaggio contemporaneo in un contesto stratificato creando un corto circuito con l'architettura circostante attraverso un richiamo analogico che escluda l'imitazione passiva.

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In uno dei suoi contributi critici, l’architetto Pietro Valle ha recentemente sviluppato una riflessione che può aiutare a comprendere le scelte operate in occasione del progetto per il Centro Civico di Maniago. Valle, che ha recentemente dato alle stampe una raccolta di sue riflessioni dal titolo Moderno Costruito Esistente Visitato (Libria, 2018), discute la tendenza a classificare gli edifici come “storici” (quando in realtà appartengono solo al passato), ”moderni" (continuamente nuovi e sfruttabili) e "obsoleti" (senza valore funzionale o documentario e quindi patibili di demolizione). Pietro Valle richiama il saggio scritto da Alois Riegl nel 1903: in Il culto moderno dei monumenti, il celebre storico dell’arte austriaco chiamava “Valore dell'Antico” i segni visibili dell'invecchiamento materiale negli edifici, in grado di comunicare un'impressione generale del passato. Il “Valore dell’Antico”, però, non era equivalente al “Valore Storico” di un monumento poiché il primo non forniva alcuna informazione documentaria specifica su uno stile, un periodo o un evento. L'uomo moderno, riprende Valle, non ha né la capacità né il tempo di analizzare linguaggi storici o riferimenti esatti: con il “Valore dell'Antico” si accontenta di una manifestazione generalista del tempo che esprime più il contrasto tra vecchio e nuovo che un significato specifico.

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Eppure neanche il ‘nuovo’ delle strutture moderne, appartenenti a un'epoca di continui cambiamenti tecnologici e ideologici, si è salvato da un'obsolescenza fisica e semantica, tra l’altro molto più rapida di quelle del passato”, scrive Valle. “Nel capitalismo avanzato tutto deve essere disponibile per essere usato come bene commerciabile e gli edifici non sono stati risparmiati da questo destino. Se c'è una differenza tra l'invecchiamento dell’antico e del moderno, essa risiede nell'ossessione del controllo totale del passato. Mentre gli edifici più vecchi hanno seguito un graduale processo di erosione e di aggiunte di porzioni recenti con una stratificazione quasi geologica, il nuovo non è mai lasciato deteriorare”. Nella sua visione, l’invecchiamento dei materiali, artificialmente identificato come avente valore documentario in un'acritica sovrapposizione del “Valore dell'Antico” e del “Valore Storico”, sembra quindi polarizzato verso i due estremi della scenografia artefatta o del riciclaggio totale. “Le modalità che negli ultimi decenni hanno guidato la lettura dell'edilizia storica e tradizionale in Italia, le norme che sono derivate per la sua salvaguardia, non sono state capaci di proteggerla dal consumismo dello sguardo turistico e dai luoghi comuni figurativi che esso comporta”, aggiunge Valle, facendo riferimento alle prescrizioni che regolano gli interventi sul patrimonio storico oggi in vigore in Italia, e in particolare in Friuli, basate sull'equivoca commistione di una lettura tipologica, ereditata dagli insegnamenti dell'Istituto Universitario di Architettura di Venezia degli anni Settanta, e un immaginario pittoresco.

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Un immaginario, quello, che propone un’Italia da cartolina, figlio della tradizione del grand tour e oggi ridotto a cliché”. Tuttavia, rileva Valle, da alcuni decenni l'architettura contemporanea internazionale ha rivolto una maggiore attenzione ai luoghi e al riuso dell'esistente instaurando un dialogo a più dimensioni con la storia: “nei siti storici o tradizionali, veri e propri processi aperti in cui gli insediamenti si modificano in continuazione, la progettazione ha messo in atto molteplici strategie che rimandano all'intorno con cui essa si relaziona. Pur conformando nuovi manufatti, l’architettura contemporanea qui rinuncia a linguaggi precostituiti e autonomi, realizzando un’immagine strettamente pertinente agli obiettivi funzionali ed evocativi suggeriti dalla presenza delle strutture storiche”.
I linguaggi architettonici recenti, sostiene Pietro Valle, con la loro flessibilità e leggerezza possono interpretare lo stacco tra passato e presente instaurando un rapporto dialogico con la condizione, spesso incompiuta, dei siti esistenti.
Così, il Centro Civico di Maniago assume il tema delle finestre incorniciate delle carceri austro-ungariche, lo trasforma in motivo astratto e seriale instaurando un pattern urbano ripetibile in più edifici e fronti. In più caratterizza gli interni con uno sguardo multiplo sui molteplici edifici dell'intorno proprio grazie alle medesime aperture, legando indissolubilmente il nuovo edificio all'orientamento del luogo. Nell'essere assolutamente tipico e assolutamente astratto allo stesso tempo, il piccolo edificio dello studio Valle Architetti Associati attua uno straniamento e una corrispondenza radicale allo specifico contesto in cui è insediato mostrando una capacità dialogica non imitativa. L'analogia non è qui copia né imitazione ma controllo della distanza dalla fonte la quale è evocata ma anche distanziata criticamente.