biennale di architettura – Il tema "Common Ground", scelto da David Chipperfield per la 13. Mostra Internazionale di Architettura de La Biennale di Venezia, ha conosciuto una notevole libertà d’interpretazione da parte dei autori partecipanti. Nella diversità, però, ricorrono visioni e modi operandi condivisi.

Con riferimento all'Italia e a Venezia in particolare, David
Chipperfield
ha dichiarato: "È qui che si può
comprendere pienamente l'importanza dell'edificio non come spettacolo
individuale, bensì come manifestazione di valori collettivi e
scenario della vita quotidiana
". La presenza di una simile
massa critica di beni e monumenti storico-artistici, "questo
senso tangibile del contesto e della storia
" - per dirla
ancora con Chipperfield - ha spinto il curatore a orientare la 13.
Mostra Internazionale di Architettura
de La Biennale di
Venezia
"verso tematiche riguardanti la
continuità, il contesto e la memoria
, verso influenze
e aspettative condivise
".
Una
scelta, quella di Sir Chipperfield, in continuità con la
poetica dell'ultimo Pritzker Prize - il cinese Wang Shu di Amateur
Architecture - e la sensazione diffusa che la "apparente
mancanza di intesa tra la professione e la società
"
rilevata dal curatore della Biennale Architettura sia, in realtà,
ormai sostanziale.
Interessante
verificare allora come gli autori selezionati da Chipperfield per la
mostra Common Ground abbiano raccolto questa provocazione dichiarata,
che li incitava - loro, per la maggior parte archistar - "ad
abbandonare la presentazione monografica della loro opera per mirare
invece a un ritratto delle collaborazioni e affinità presenti dietro
al proprio lavoro
".

Continuità
tra architetti
Esemplare
di una continuità "di fatto", intesa come collaborazione
poetica e professionale tra progettisti, è la doppia
installazione
dei due portoghesi Álvaro Siza (Leone d'Oro
alla carriera, proprio quest'anno) ed Eduardo Souto de Moura,
nel Giardino delle Vergini. I due lavori si richiamano infatti
a vicenda, e non soltanto per la prossimità fisica, dal momento che
utilizzano lo stesso linguaggio costituito da spesse partizioni
verticali, che definiscono volumi lasciati semiaperti, oltre che
scoperti.
Comune
ai due architetti non è solo la definizione di spazio e volume
interno all'installazione ma anche l'intento di rapportare
ciascun progetto al paesaggio circostante, anzi: di racchiudervelo
all'interno. Con modalità - e risultati - stavolta divergenti
perché, se Souto de Moura si limita a "incorniciare" la laguna,
in qualche modo limitandone la portata estetica, Siza magnifica
l'aggetto degli alberi del Giardino, la cui torsione viene
amplificata dalle prospettive oblique della struttura eretta loro
attorno.

Continuità
di archetipi e stereotipi
Almeno
due sono le proposte che riflettono sulla ripresa di soluzioni che, a
furia di interpretazioni più o meno originali nel corso della
storia, finiscono per costituire veri e propri archetipi
architettonici, o stereotipi da cui rifuggire.
Sia
Copycat. Empatia e invidia come generatori di forma
di Cino Zucchi - aggiudicatosi una menzione speciale da
parte della giuria - che il Museum of Copying, eretto dallo studio britannico FAT (Fashion Architecture Taste) attorno a un
remake de La Rotonda di Palladio, insinuano che copiare possa
non essere così negativo, anzi: trarre ispirazione, citare, evolvere
un modello architettonico e culturale costituiscono altrettanti mezzi
tanto per la sua propagazione "virale" quanto per la sua
innovazione, mediante fasi e varianti progressive.
Se
le due installazioni mostrano come questo sia un processo endemico
nella storia, non può sfuggire che la sua teorizzazione segue però
l'avvento di internet e delle nuove forme di condivisione della
conoscenza che ha promosso, in primis le licenze Creative Commons.

Continuità
tra progettisti e utilizzatori
Per
restare in tema di nuove tecnologie, è ormai evidente che la
cosiddetta "rivoluzione digitale" stia attribuendo sempre
maggiore importanza al concetto di comunità: organismo differente
dalla massa in quanto composta da individui consapevoli, che nel
gruppo si ritrovano e dal quale spesso traggono sostegno per le
proprie iniziative, grazie all'apporto degli altri membri.
Se
oggi gli appelli "a fare rete" si sprecano, è appunto perché la
rete per antonomasia - internet, ovviamente - ha ormai smesso di
costituire una realtà a sé stante, "virtuale", e ha promosso un
pensiero di cui si trovano (o ritrovano) applicazioni in ogni campo.
Il pensiero della cooperazione tra individui che, pur rivestendo
ruoli diversi nella comunità, si relazionano alla pari al fine di
realizzare un obiettivo comune.
Tra
i diversi casi di questa strategia esposti nella rassegna Common
Ground
, vale la pena segnalare la Wall House
ricostruita da Anupama Kundoo - in scala 1:1, con tanto di
livelli e ambienti esterni - grazie al supporto sia delle
maestranze indiane, che per lei avevano già realizzato l'abitazione
originale ad Auroville, sia degli studenti dell'Università del
Queensland in Australia, dove l'architetto insegna. La residenza, che
Kundoo ha progettato per abitarvi, è a suo stesso dire la
massima sintesi che abbia finora raggiunto tra le tecniche
costruttive tradizionali e la sperimentazione di nuovi materiali e
processi sostenibili.
Anche
il vincitore del Leone d'Oro per il miglior progetto della Mostra, la
vivace installazione Torre David / Gran Horizonte del
collettivo Urban-Think Tank (Alfredo Brillembourg, Hubert
Klumpner) con Justin McGuirk
e il fotografo Iwan Baan,
altro non è che uno spaccato di una realtà estremamente
stratificata. Il ristorante venezuelano, ricreato negli spazi
dell'Arsenale, è infatti l'espediente per avvicinarsi alla vita
condotta nella Torre David di Caracas, così com'è stata ripresa
negli scatti fotografici alle pareti dell'installazione: centinaia di
famiglie, lasciate sole a fronteggiare l'assenza di alloggi
sostenibili, si sono stabilite all'interno di un grattacielo
abbandonato di 45 piani, originariamente pensato per il terziario.
Suona riduttivo definire “occupazione” questo spontaneo
cambiamento nella destinazione d'uso di Torre David, se sulla scorta
di Chipperfield e della sua Biennale ripensiamo al “patto sociale”
su cui dovrebbe poggiare l'architettura, ovvero la relazione tra un
bisogno espresso dalla comunità e un gruppo di professionisti,
chiamato a rispondervi concretamente: se l'architettura, nasce
dall'ascolto di ciò che le preesiste, è lì in buona sostanza che
va delineato il terreno comune su cui farla poggiare.