Contract – Nel mercato internazionale delle grandi forniture, le nostre aziende soffrono la concorrenza straniera, ma unendo le forze potrebbero recuperare terreno

Globalizzazione e competitività sono il chiodo fisso per gli imprenditori dell'arredo-cucina che da qualche anno (i pionieri in verità da qualche decennio) hanno scoperto il contract. Arredare gli alberghi e i palazzi più prestigiosi
di mezzo mondo è il più bel successo per l'Italian Lifestyle e il riconoscimento della qualità del prodotto.

Mercato strategico
Un mercato interno piatto da alcuni anni, il dinamismo dei mercati esteri, soprattutto di alcune aree particolarmente dinamiche (in primis gli Emirati Arabi, ma anche India, Cina, Stati Uniti, la vecchia e nuova Europa). Inoltre, la crescita del real estate che richiede appartamenti di lusso e dei resort che affiancano agli alberghi ville e appartamenti in vendita, tutti accuratamente arredati. Non ultimo, il fatto che il settore delle forniture rappresenta per un'azienda la possibilità di avviare lotti di produzione in grande misura standardizzata.

Insomma, gli ingredienti ci sono tutti per premiare le capacità produttive e creative dell'industria italiana della cucina, ultima ad affacciarsi in un mercato che, complessivamente, significa per le aziende che fanno capo a Federlegno-Arredo circa 3,4 miliardi di euro. È un mercato talmente strategico per le imprese che, per iniziativa di Federlegno-Arredo, è nata qualche mese fa Italian contract design industry, per promuovere le industrie nostrane che operano nelle forniture all'estero e facilitarne i legami con le società di progettazione.

Superare il gap dai concorrenti stranieri
“Fare sistema” è diventato un mantra dell'industria italiana, ma di cui gli imprenditori sono i primi a denunciare ancora il ritardo, come ricorda Roberto Berloni, direttore generale del Gruppo Berloni: «Nell'approccio ai mercati internazionali la presenza italiana può crescere, ma scontiamo la difficoltà di non avere appoggi dagli istituti
bancari e quindi non riusciamo a utilizzare le leve finanziarie dei nostri concorrenti stranieri. Per aziende di piccole e medie dimensioni significa esportare meno di quanto si potrebbe». Anche il contract è lo specchio del sistema industriale italiano, che sopperisce ai deficit strutturali puntando sulle armi dell'eccellenza.

Lo sintetizza Silvio Fortuna di Arclinea, quando afferma che l'esempio è quello del vino, dove operano imprese di dimensioni piccole, ma sono prime nel mondo. «Non è un problema di dimensioni aziendali, ma di sapersi muovere come sistema competitivo nazionale che sia all'altezza della sfida». Una domanda condivisa anche da Carlo Molteni presidente dell'omonima azienda: «Per il sistema delle imprese, ci aspetteremmo degli aiuti. Quali, è difficile dire. Magari un maggiore appoggio dalle istituzioni, per esempio nelle manifestazioni collettive fatte all'estero».

Ma c'è anche chi, come Giovanni Anzani di Varenna-Poliform, sottolinea la necessità di un cambio di mentalità: «Dobbiamo cercare di esportare l'eccellenza, ma abbiamo un gap storico nei confronti di altri produttori stranieri. Andiamo ognuno per proprio conto e nelle forniture soffriamo. Dobbiamo riuscire a muoverci insieme, per conquistare credibilità sui mercati internazionali». Non a caso il gruppo Snaidero, uno dei pionieri in questo business già dai primi anni Novanta, quando arredava interi palazzi a Miami, lo affronta disseminando società nelle aree dove lo sviluppo immobiliare è più interessante, da Londra agli Emirati.

Controllo dei processi produttivi
Nessuna impresa, grande o piccola, si tira indietro. Negli ultimi anni il sistema delle cucine italiane si è dimostrato in grado di affrontare i mercati internazionali puntando su tecnologia e design. «Il vantaggio delle imprese italiane di cucine - commenta Aurelio Volpe di Csil - nei confronti di spagnoli e francesi, per esempio, è la capacità di avere un controllo del processo produttivo che consente di far arrivare 50 cucine progettate su misura tutte perfettamente funzionanti. Le dimensioni aziendali, però, non consentono di fornire le 500 cucine, magari a un prezzo più contenuto, su cui i tedeschi sono fortissimi. Insomma, sembra quasi che nel contract le aziende italiane si siano ritagliate lo spazio che sanno occupare meglio, quello dei prodotti di gamma alta, con volumi limitati e valore aggiunto elevato».

Quando capita che un'azienda piccola ma eccellente si assicuri una fornitura importante, spesso satura la sua capacità produttiva e in qualche modo scompare dal mercato interno. «Il contract è quindi un mestiere rischioso - afferma ancora Volpe - perché è legato alle oscillazioni dell'edilizia e adotta una catena di pagamenti lunga e delicata».
Ne sanno qualcosa le aziende che anni fa si sono appoggiate a strutture commerciali che vantavano contratti da capogiro con i costruttori americani, pagando poi le conseguenze della mancanza di copertura finanziaria.

«Il contract è un'opportunità di business puro - conferma Cristina Ricci, direttore generale di Italian style contract, neonata società del settore - perché a differenza del retail ci si confronta con società di real estate, multinazionali, fondi comuni. È un settore dove domina la logica delle condizioni di pagamento e una contrattualistica da leggere anche tra le righe: per questo è necessario che accanto ai commerciali ci siano anche i tecnici dell'azienda per dialogare con gli studi di progettazione di mezzo mondo, oltre agli esperti legali per la contrattualistica».

Il contract comincia a trovare qualche riscontro anche in Italia, per esempio con le formule degli Aparthotel. Si tratta di piccoli appartamenti dotati di servizi centralizzati di tipo alberghiero, che rispondono alla domanda di abitazioni di qualità per lunghi soggiorni. Questo trend, saldandosi con l'evoluzione dell'offerta turistico-alberghiera, potrebbe dare un nuovo slancio al settore della cucina anche nel mercato interno.