Emilio Puglielli


 

Premessa la mia involontaria condizione di estraneità agli ammaestramenti canonici di Vittorio Gregotti, non essendo stato suo allievo, anche per averlo incontrato solamente verso la fine degli anni '70 a Milano, in un ristorante di P.ta Ticinese insieme a Emilio Battisti e a Carmengloria Morales quando ero oramai più che adulto, è impossibile negare di avere molto appreso, da quando mi propose, nel 1979, di collaborare al progetto per la Lutzowstrasse a Berlino con il suo studio di Via Bandello,  dove ho poi lavorato fino al 1984, e di apprendere ancora dall'esempio di Gregotti, perché egli stesso, instancabilmente, continua ad apprendere... Gregotti in altre parole lavora alla continua, sottile, quanto ostinata costruzione di un sapere la cui ontologia è senz'altro riferibile dialetticamente alla tradizione europea del pensiero laico moderno: da Weber a Otto Wagner, da Behrens a Tony Garnier, da Loos a Gropius oltre che a quella "tradizione", da lui stesso eletta, costituita da "maestri fuori sede", un luogo di interessi considerati da Gregotti per nulla estranei e fondamentali per la cultura architettonica italiana come Vittorini, Enzo Paci, Calvino, il gruppo degli scrittori del "Verri" di Anceschi, o gli artisti del "Milione" e altri ancora, fino al suo maestro di fatto, Rogers...
Così le sue speculazioni sulle idee di "geografia volontaria", "progetto di suolo", "luogo", "modificazione", paradigmi di un atteggiamento intellettuale laico ed operativo, affrontano le perenni antinomie di tradizione-innovazione, presente-passato, arte-natura, ecc. suggerendo nuove categorie di interrogazione e diverse qualità di dialogo con i soggetti delle medesime antinomie. C'è in quel dialogo la coscienza di un principio d'intesa con la storia e con il tempo che impone innanzi tutto di non sopprimere la distanza che ci separa dalla tradizione e che rimanda a quella speciale autonomia di pensiero che alimenta lo spazio critico del presente dove massima è la tensione tra il soggetto e le cose della temporalità...
E' naturale allora che in un mondo in cui tutti gli investimenti ricadono esclusivamente sul presente alimentando lo svuotamento del tempo futuro e la teologia dell'hic et nunc o del carpe diem e configurando un rassicurante distanziamento da ogni rischio di progettualità o di dialettica tra presente e futuro, l'"incorruttibilità" di Gregotti si rappresenti un caposaldo della "discordia" opposto a quel feticismo del presente che impedisce ogni proiezione collettiva sull'avvenire...
Nel tentativo di liberarsi del privato dell'opera, Gregotti si impegna a fare del progetto una promessa: qualcosa che si configura nel presente e nello spazio pubblico nel quale la promessa deve essere mantenuta; così l'obbligazione posta nel presente prelude a una proiezione del futuro.