Facoltà di giornalismo  
Località: Avenida Castelao, Santiago de Compostela
Committente: Università di Santiago
Progettista: Alvaro Siza Vieira
Collaboratori: Carlos Seoane, Marco Rampulla, Cristina Ferreirinha, Edison Okumura, Javier Molina, Gonzalo Benavides, Lia Kiladis, Luis Maurino
Impresa di costruzioni: Costructora San Josè
Datazione progetto: 1997
Datazione realizzazione: 2000
Superficie costruita: 11.900 mq

L'intero complesso, situato all'interno del nuovo polo universitario di Santiago di Compostela, è innervato da un edificio lineare, dello spessore di 1 7,5 metri, lungo 1 27 metri. Questo, orientato in direzione est­ovest, si allinea sulla preesistente facoltà di Filologia e, in mezzeria, presenta una frattura altimetrica corrispondente al dislivello del suolo. La prima metà del corpo longitudinale, a maggiore sviluppo verticale, ospita le nuove aule a gradoni, le quali sono articolate da una sezione complessa che interagisce con il dispositivo delle rampe di collegamento in vista sulla galleria servente. In tal modo, le aule, le rampe e la galleria costituiscono un sistema volto a ricreare una vera e propria strada interna. La seconda metà, organizzata su tre livelli, contiene gli studi radio, i laboratori audiovisivi e le aule seminariali. In comunicazione verticale, tutti gli ambienti sono collegati alle sale-professori disposte all'ultimo livello della parte più elevata.
In posizione planimetrica ortogonale rispetto all'edificio lineare sono disposti quattro corpi autonomi. Quello situato all'estremità ovest della galleria corrisponde alI'auditorium per 300 posti, gli altri due, più ravvicinati all'estremità est, ampliano la dotazione delle sale audiovisive per la TV, per il cinema e per la discoteca. L'auditorium, con la copertura curvata, richiude la prospettiva della facoltà di Filologia allineandosi sui fili interni di due edifici paralleli che ne definiscono l'ampiezza trasversale, mentre i due elementi ravvicinati per le sale audiovisive riprendono il filo esterno del corpo più a nord di Filologia.
In posizione baricentrica, rispetto agli avancorpi trasversali, si sfila l'edificio che, al piano terreno, comprende l'atrio di accesso principale e, ai piani superiori, ospita la biblioteca, la cui sezione si avvale di un raffinato congegno a doppia altezza, attraversato da pozzi di luce accostati con effetti surrealistici. Anche questo pezzo, apparentemente casuale, in realtà si salda meticolosamente, ma in filigrana, alle preesistenze del sito.
Tutto l'insieme architettonico è quasi interamente intonacato e dipinto di bianco, con la zona
basamentale in materiale lapideo a commessure alternate.
Le bucature sono dislocate in modo discontinuo funzionali alle attività insediate, e sul fronte sud sono in prevalenza raccordate da una pensilina continua che restituisce l'andamento delle aule principali. Da questa rapida digressione descrittiva possono dedursi alcune note di costruzione che traspaiono in maniera più evidente nell'opera di Siza y Vieira.
Innanzitutto, e senza per questo assumere atteggiamenti coercitivi, si segnala l'uso limita delle aperture a favore di una scarsità di elementi che riporta in primo piano la netta autonomia volumetrica. Di conseguenza, si registra l'importanza dell'interno, concepito non come omogenea incapsulata, ma come cavità generata da un atto di abrasione e come spazialità prc al di là del limite perimetrale di contenimento.
Ne discende, quindi, una orchestrazione delle aperture volta sia a selezionare inquadramenti strategici dei paesaggio circostante, sia a circoscrivere la luce meridiana attraverso dispositivi che riconducono all'universo sotteri dell'architettura mediterranea; con artifici, di evidente ascendenza aaltiana, che lo port a posizionare faretti di luce artificiale sui con à Iumière della biblioteca per ricreare, duran le ore notturne, gli stessi effetti luministici di origine ipogea.
Una mediterraneità filtrata attraverso un class di radice nordica, che riesce a innestare sui i asplundiano quella frammentarietà della forrr riconosciuta in Aalto dalla storiografia più diffusa.
Alla chiarezza volumetrica del primo, di cui eredita la secchezza aforistica racchiusa nella evidente concisione formale, fa riscontro, infatti, il rimando alla incompletezza del secondo. Con una configurazione che si sottrae alla tecnica puramente additiva per rifluire in un sistema che coniuga geometria e naturalezza.
Una geometria intesa come strumento che rifugge esiti totalitari e si colloca entro limiti di uso discreto, non immediatamente percettibili. Da cui deriva che i volumi non si squadernano nella loro totalità ma si offrono a un'ammirazione parzializzata, priva di qualsiasi enfasi illusionistica e ricollocati nel libero fluire di eventi del posto. E certo non si tratta di una mimesi contestuale, ma di un'adesione alle sollecitazioni del sito come richiamo di una grafia che riannoda la catena cellulare di eventi nascosti. Se non temessimo di indulgere in formule abusate e raccogliticcie, l'operazione di Siza la si potrebbe definire perfettamente orientata a fornire certa prova di appartenenza al luogo.
Con altre sfumature, si potrebbe inoltre dire che tutto il complesso irradia una solarità ellenica, suggerita non solo dalla evidente natura acropolica, ma anche da una gravità consueta a un'architettura che agisce per singolarità individuali, in cui è messa al bando ogni parte iterabile. Si tratta, al contempo, del rinvio a un'architettura antica e del ripristino di una modernità che instaura il gesto di una progressiva minorazione plastica, per tradursi in elemento massiccio, univoco, contratto; una modernità senza clamori, priva di sicurezze autoritarie, in cui: non vi è altra certezza se non che niente è certo.

Testo di Efisio Pitzalis
Estratto da Area n°52 sett/ott 2000 Federico Motta Editore

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