GRAFTON ARCHITECTS
Intervista Ivonne Farrel e
Shelley McNamara

a cura di Camillo Botticini


 

C.B. Prima di passare alle domande, vorrei che
faceste una sorta di auto-presentazione.
Y.Farrell: Abbiamo
uno studio con base a Dublino e la nostra attività ha avuto inizio nel 1978;
facciamo e abbiamo fatto opere edili in tutta l'Irlanda, il nostro approccio è
interessato al luogo, al costruire.... siamo anche impegnate
nell'insegnamento.
S. McNamara: Gran parte dell'edilizia e
delle opere contemporanee si basano sull'uso di materiali edili di grande
produzione, che noi troviamo estremamente difficili da utilizzare perché se si
usa, ad esempio, la pietra, si scopre che, per il modo in cui è tagliata,
potrebbe benissimo essere plastica; allora si deve andare a riscoprire la pietra
per poterla usare ovvero si deve sovvertire il modo in cui la si produce. Così,
riguardo alla nostra filosofia o al modo in cui lavoriamo, da un lato c'è
un'ossessione per lo spazio, per le idee, per le implicazioni sociali o urbane
di un progetto, dall'altro c'é la riscoperta delle parole dell'architettura, dei
materiali che utilizziamo...
Ho visitato recentemente a Londra il
Padiglione  temporaneo di  Siza e Souto de Moura, alla Serpentine
Gallery e ho trovato affascinante il fatto che sembra una costruzione in legno
tradizionale, meravigliosamente artigianale, quindi molto immediata e quasi
vernacolare, ma è al tempo stesso altamente sofisticata come progettazione al
computer, perché ciascun pezzo è diverso e ogni forma è diversa, tagliata con un
laser; un processo computerizzato ma con un risultato percepito come
artigianale. Ho trovato che fosse molte affascinante, suppongo che tutto dipenda
dal modo in cui si dirige la tecnologia, in che modo indirizziamo le tecniche
dell'architettura.
Y. Farrell: C'é anche un'altra
questione... in un periodo in cui l'Irlanda sta avendo uno sviluppo economico
incredibile, credo che l'architettura debba essere anche il luogo a cui
aggrapparsi... un luogo intellettuale per legarsi al luogo reale. Quando
costruiamo edifici come, ad esempio, una scuola sul versante di una collina, noi
cerchiamo di integrare la collina nella scuola, così quando i bambini corrono su
e giù per i corridoi, in qualche modo i loro muscoli si ricordano della collina.
Immettiamo un piccolo elemento che riguarda il modo in cui la natura viene
distrutta dallo sviluppo, e il modo in cui l'architettura può legarsi a qualche
particolare elemento della natura.
In termini culturali, ciò a cui siamo
interessate è il lavoro sulla tradizione, a livello fisico e pratico, ma
cerchiamo anche di trovare una componente simbolica, quale elemento
architettonico del progetto. Nelle scuole, negli edifici pubblici, nei
progetti  che facciamo, ci interessa il significato sociale...


 

C. B. Non é così difficile lavorare in Italia
perché voi avete una sorta di visione europea dell'architettura, l'architettura
Italiana e il suo paesaggio fanno parte del vostro modo di pensare
...
Y . Farrell: Quando si è agli inizi, si va a vedere
Terragni, si va a visitare l'asilo di Como; ricordo di essere stata in quella
scuola molte volte. Così si eredita la tradizione razionalista ma anche la
tradizione nel suo complesso... voi avete anche quella tradizione sensuale delle
murature in pietra, della facciate e degli spazi pubblici,  gli spazi
culturali che avete hanno il valore di un' eredità mondiale. Mentre guardiamo
queste cose pensiamo a quanto sia meraviglioso, e voi passate il tempo in questi
luoghi bellissimi, che  ti penetrano nella pelle...

C. B: Così avete già risposto ad un domanda
che volevo farvi.. circa la relazione tra la vostra cultura e il vostro modo di
lavorare in Irlanda oppure qui. Allora forse possiamo chiudere parlando
del  vostro progetto  per la Bocconi;  quale é il concetto,
l'idea...
S. Mc Namara: Abbiamo sentito una grande
responsabilità partecipando al concorso e cercando la nostra interpretazione di
Milano. La responsabilità consisteva nel voler fare un progetto che non fosse
percepito come estraneo, come un' importazione; volevamo costruire un frammento
di città, volevamo che l'edificio universitario fosse percepito come una parte
di Milano. Quella è la nostra ricerca anche per quanto riguardo la scala degli
spazi, che volevamo avessero una risonanza con la pianta di Milano, in modo che
l'università aprisse le sue porte alle città... Volevamo occupare il sito con la
stessa forza e vigore che hanno gli edifici milanesi, appoggiati solidamente sul
terreno.... è una città meravigliosamente solida, con quelle strane pietre, quegli
strani materiali, sembrano un frammento di montagna... è grazie a queste
considerazioni istintive, alla ricerca di un senso di continuità tra paesaggio e
linguaggio alla  città che il nostro edificio si è inserito nel luogo.
Suppongo che uno dei più bei complimenti che ci hanno rivolto è stato quando
qualcuno ci ha detto che sembra proprio milanese, che l'edificio si percepisce
come qualcosa che appartiene alla città, e noi speriamo di avere  la stessa
sensazione anche al suo completamento.
Y. Farrell: C'è
un'altra considerazione. Il Broletto era un mercato per lo scambio dei prodotti,
e l'Università è il luogo dove si  scambiano di idee... così, innalzando la
struttura e lasciando che l'Università entri nella città, si ha questa idea
"filosofica" dello scambio di idee...
Durante il concorso avevamo collocato la
sala conferenze in profondità ma, mentre  elaboravamo i disegni, l'edificio
non diceva abbastanza... era tutto molto quieto, e la scelta di portare l'aula
magna al margine della città ha voluto significare che l'Università riusciva a
comunicare con il cittadino che, tornando a casa in una notte piovosa sul tram,
sarebbe entrato ion relazione con il tema, l'elemento principale. Penso ciò
abbia a che fare con il trovare un simbolo e comunicarlo, il che può accadere
anche nell'ordinario; c'é qualcosa, nell'architettura che va al di là della
musica, oltre le parole e che può cogliere anche chi passeggia e passa oltre...
l'architettura é  linguaggio, e io penso che a volte parli molto
chiaramente, altre volte per niente.
Sul viale Bligny c'è sempre molto
traffico, ma quello è lo spazio principale da cui non si può accedere, così,
architettonicamente parlando, si vorrebbe entrare ma non si può, accade qualcosa
che noi dicevamo essere una specie di 'gratificazione ritardata', c'è, esiste,
ma devi percorrere un certo numero di metri prima di arrivare all'ingresso.
L'architettura è anche quella cosa che ti sa prender per mano e ti porta in
giro... sul viale Bligny c'è una lanterna, una specie di fontana che segna la
posizione dell'aula magna come una sorta di lanterna Cinese, ma l'ingresso è
salvo... non si tratta di un portone d'accesso per l'università, è una parte della
città, e noi volevamo riprodurre questo nel progetto... ricordando il modo in cui
come Shelley descriveva Milano... all'esterno è dura, poi si entra in questi
fantastiche corti che per sono piccoli tesori privati, è si definisce una linea
di confine tra il pubblico e il privato.