Il Colosseo Quadrato, com’è affettuosamente appellato dai romani, è un edificio simbolo di Roma moderna per la sua immagine tanto enigmatica quanto immediatamente riconoscibile, in forza dei quattro fronti identicamente traforati da arcate. L’arco è l’elemento costruttivo emblematico della romanità e apparenta il palazzo all’antico anfiteatro Flavio, il cui involucro è svuotato da formidabili sequenze di archi incorniciati da edicole trabeate. Il palazzo si attesta tra i capisaldi architettonici e prospettici del progetto del nuovo quartiere di Roma, posizionato sulla direttrice del mare e destinato ad accogliere l’Esposizione Universale prevista nel 1942 e annullata a causa della seconda guerra mondiale, che nel frattempo ha sconvolto l’Europa. Il palazzo, destinato a Museo della Civiltà Romana, è progettato dagli architetti Giovanni Guerrini, Ernesto La Padula e Mario Romano nel 1937. Esso deve “esprimere ed esaltare in forma chiara, evidente e comprensiva la sintesi della Civiltà Italiana dalle origini a oggi, nell’arte, nella tecnica, nella scienza, negli eventi storici e nelle leggi sociali”. Un limpido volume parallelepipedo, interamente rivestito di travertino, sollevato su un alto podio gradonato, viene innalzato all’estremità di uno degli assi trasversali del piano urbanistico per fare da degno contraltare al solenne Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi, opera di Adalberto Libera, che costituisce il fuoco prospettico dell’altra estremità viaria.

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Il palazzo della Civiltà Italiana è organizzato su 7 piani emergenti a pianta quadrata (51,54 metri), per un’altezza di 68 metri: il nucleo centrale è articolato dalle rampe monumentali di una grandiosa scalinata, con gli ascensori e un’ampia corte destinata all’esposizione. Le facciate, tutte uguali, sono cadenzate ognuna da 9 arcate moltiplicate su 6 piani, dove il perimetro dei 6 piani è impalcato da una sequenza aerea porticata, coperta da volte a crociera. Ogni fornice avrebbe dovuto allogare una statua, alla maniera delle ricostruzioni archeologiche dei monumenti imperiali. Il piano attico, che configura il coronamento opaco, è istoriato dalla celebre epigrafe delle virtù degli Italiani: “Un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori”. Inaugurato il 30 novembre 1940, il palazzo è incompiuto nelle finiture e mancante delle statue, e tale rimarrà per anni. A partire dagli anni Cinquanta sarà a più riprese oggetto di completamenti, di integrazioni e di veri e propri restauri: azioni vane in assenza di una destinazione d’uso conforme a un manufatto tipologicamente anomalo, un vero rompicapo distributivo e funzionale. Ha pertanto del prodigio la recente trasformazione del monumento in casa-madre Fendi attuata dall’architetto Marco Costanzi, classe 1965, progettista di fiducia della griffe, specializzato in spazi moda. Marco Costanzi adotta in premessa il rispetto dell’integrità spaziale e materica del manufatto, limitandosi a pochi e rispettosi innesti. Il palazzo costituisce un potente segnale urbano, che la notte si trasforma in una magica lanterna visibile da tutto il quartiere, la cui immagine deve essere salvaguardata.

Nel basamento è ospitata la sartoria con la lavorazione pellicce: è il nucleo tradizionale e più prezioso della Casa. Lì, in segreto, sono disegnati, tagliati e accuratamente cuciti i capi di altissima sartoria che caratterizzano l’immagine di Fendi nel mondo. Negli ambienti contigui è distribuita l’area marketing, dove il gruppo dei creativi ha autonomamente allestito aree di lavoro, che fanno approdare, nel romanissimo cuore dell’EUR, gli echi di loft newyorkesi, con informali e colorati piani di lavoro e spazi ristoro. Nel piano basamentale sono inseriti anche gli impianti, i locali tecnici e gli archivi. Al primo piano si apre il salone monumentale, aperto al pubblico, dai sontuosi pavimenti in marmo rosso antico Spezia, rivestimenti parietali in marmo statuario e sofisticati lampadari in vetro e ottone, pezzi originali accuratamente restaurati. I vani perimetrali sono destinati a mostre e conseguentemente corredati, mentre l’atrio centrale individua l’accesso monumentale al palazzo. I piani dal secondo al settimo, dove sono collocati gli uffici, hanno spazi che circondano la corte con andamento a U, sviluppando una superficie di 1000 metri quadri ciascuno; al settimo la superficie è di 2000 metri quadri, poiché l’ultimo piano è privo del portico perimetrale. Per preservare i pregiati pavimenti marmorei, gli uffici hanno pavimenti galleggianti con l’impiantistica necessaria. Per stemperare la solennità dei vani alti circa 8 metri, l’architetto ha inserito un pergolato metallico che li ridimensiona percettivamente.

Le postazioni di lavoro sono aperte e luminose, in continuità visiva con le sale riunioni, schermate da teche trasparenti di vetro. A terra un rivestimento scuro in gomma tipo parquet e un controsoffitto in barrisol attutiscono il riverbero sonoro derivante da spazi ampi e finestrati. Al terzo piano, destinato ai dirigenti, è stato realizzato un collegamento metallico vetrato che, sospeso sulla corte, consente una spettacolare vista frontale del palazzo di Libera. Il settimo e ultimo piano, da cui si accede alla terrazza, è il luogo della creazione degli abiti da sfilata: la fucina artistica di Karl Lagerfeld e Silvia Venturini Fendi. Il progetto ha l’obbligo di garantire la reale reversibilità dell’intervento: l’edificio, infatti, è soggetto a vincolo architettonico (dal 2004); inoltre Fendi ha un contratto di affitto di 15 anni a 2,8 milioni di euro l’anno.

FOTOGRAFIE
Helene Binet
Andrea Jemolo
Mario Nanni
FENDI
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