(Photo by Frederik Buyckx)

Il tema dell’ostello giovanile è stato declinato nel tempo, secondo le modalità e i caratteri più disparati con la complicità, dato il tema dalle origini ‘illuministe’ e comunitarie, di una non poco frequente vena di sperimentazione. La nascita degli ostelli moderni si deve all'idea di un insegnante, Richard Schirrmann, che agli esordi del XX secolo trasformò in confortevoli camerate le aule scolastiche non utilizzate durante le vacanze estive, per poi ideare, qualche anno dopo, il primo "Ostello per la Gioventù" nel castello di Altena, in Germania. A questa tipologia certamente, nel tempo, si è affiancata anche quella dei dormitori studenteschi, di frequente previsti all’interno di campus universitari, di cui valgano quali casi emblematici, il sinuoso ed iconico Baker dormitory di Alvar AAlto all’interno dell’MIT cui, decenni dopo, alla fine degli anni ‘90, farà da controcampo la Simmons Hall, la residenza per studenti progettata da Steven Hall nel medesimo campus di Cambridge nonché, cronologicamente intermedio tra i due, l’indimenticabile (e forse troppo poco ricordato) complesso per i dormitori studenteschi dell’università di Urbino ideato, tra i suggestivi declivi delle colline “rinascimentali” marchigiane, dal battitore libero Giancarlo De Carlo.

(Photo by Frederik Buyckx)

In questo senso il progetto di Secchi & Viganò (purtroppo uno dei due autori, Bernardo Secchi, uomo di cultura e grande urbanista, ci ha lasciati nel 2014), sembra chiudere il cerchio, o meglio, seguire un fil rouge che lo attesta senz’altro in linea con l’opera di Alvar Aalto o di Giancarlo De Carlo, dove il progetto si fa paesaggio, relazione intensa con la natura, rimanendo comunque gesto architettonico chiaro, persino perentorio.
L’Hostel Wadi a Hoge Rielen, nei pressi di Kasterlee, selezionato nel 2015 tra le quaranta opere finaliste al Mies Van der Rohe Award, è certamente un progetto meno “murario” rispetto agli insigni predecessori, dimensionalmente più contenuto e talmente ‘leggero’ da apparire quasi una presenza temporanea nel suo calarsi con segno deciso in un paesaggio boschivo e irregolare di 300 ettari un tempo destinato a deposito di munizioni militari e, dopo la guerra, dedicato all’educazione civica ed ecologica dei ragazzi con la presenza anche di un campeggio. Qui si trovano ancora rifugi, argini e bacini di protezione artificiali circondati da una grande foresta, anch’essa artificiale poiché piantata appositamente per fornire legname agli impianti metallurgici circostanti.

(Photo by Frederik Buyckx)

Il masterplan dello studio italiano ha così identificato tre paesaggi sostanziali - uno naturale, uno militare e uno educativo - e, nel pensare all’Hostel Wadi, è stato scelto di racchiudere in esso tutti e tre i paesaggi identificati. Così, nell’essenziale poeticità del suo impianto circolare e dei materiali scelti, in cui il legno domina su tutto, Wadi rappresenta un felice tassello da aggiungere a questo puzzle magnifico di luoghi dell’accoglienza dedicati ai giovani. Questo ostello ci parla di paesaggio, di spazio comunitario, di storia (colta) - sono stati gli stessi progettisti a dichiarare: “l’edificio può essere visto come il prodotto postumo dei movimenti europei riformisti di fine Ottocento e inizio Novecento, movimenti altamente ideologici intrisi di ideali di comunità e collettività”- ma anche di avanguardia, di condivisione ,  e soprattutto, di contemporaneità. Il tema dell’inserimento nel luogo, dell’appropriazione dello spazio e della natura attraverso un “abbraccio” che è limite e recinto, ma anche apertura e dialogo con il cielo e l’ambiente, diventa gesto contemporaneo quando coincide con una concezione di sostenibilità insita nel concept stesso del programma progettuale.

(Photo by Frederik Buyckx)

Qui, infatti, ogni elemento contribuisce alla sostenibilità e all’efficienza dell’Hostel Wadi pensato su un unico livello secondo una struttura a telaio, balloon-frame, a doppia parete coibentata. Una concezione che permette uno sviluppo continuo e sequenziale delle camere intorno a un cerchio affacciato sul verde con una vetrata continua che segue il corridoio di distribuzione alle stanze, essenziali e completamente di legno su disegno, elemento che è anche un giardino d’inverno. Quest’ultimo ha il pregio di accumulare calore nella stagione fredda, mentre, nel periodo più assolato, è il tetto a sbalzo della struttura a ombreggiare gli ambienti comuni. Inoltre, la copertura dell’ostello essendo trattata a verde (con uno spessore di 10 cm di terreno in modo da non rendere il tetto troppo pesante ma tale da assicurare una superficie verde praticabile in primavera), oltre a un suggestivo effetto di continuità con il paesaggio, collabora all’isolamento dell’intero edificio: lo aiuta a mantenere il calore in inverno e rinfresca gli spazi d’estate.

(Photo by Frederik Buyckx)

Contribuisce a questo sistema di risparmio energetico anche il trattamento della facciata più “esterna”, concepita come un’avvolgente parete chiusa, completamente rivestita con listelli di larice; l’unica interruzione è costituita, oltre che dalle finestre, sostanzialmente dall’ingresso principale all’ostello con il portico passante. La scelta del larice è stata determinata sia dalla resistenza di questa essenza alle intemperie sia dalla capacità di virare la propria colorazione verso i toni del grigio, producendo un effetto di continuità che si armonizza con i tronchi scuri degli alberi di pino mantenuti all’interno della suggestiva corte circolare e presenti nel contesto naturale dell’intera area. La pavimentazione è stata pensata in pannelli di beton-wood proprio al fine di facilitare la transizione tra l’esterno, di cemento chiaro, e le superfici interne più calde trattate in legno. Un materiale altamente resistente - fisicamente e meccanicamente - utilizzato qui come sottofondo o come pannelli leggermente lucidati per ridurne l’omogeneità del grigio e valorizzarne la struttura lignea. Scrivono gli autori “il carattere industriale di questo materiale, meno costoso di un parquet tradizionale ma molto facile da tagliare, ha evidenti vantaggi economici, anche se questa scelta ha presentato aspetti controversi, poiché la lucidatura ha rischiato di rendere i pannelli eccessivamente assorbenti; il problema è stato risolto mediante il loro trattamento con una resina trasparente”.

(Photo by Frederik Buyckx)

Sul piano compositivo infine, la leggera pendenza del tetto verso lo spazio interno, come l’antico impluvium della domus romana, affiancata al ritmo dei pilastri strutturali di legno di pino, infonde al progetto una classicità stemperata dal segno circolare dell’impianto che riconduce, invece, a scelte più contemporanee vicine alla land art o alla sofisticata delicatezza di alcuni progetti nipponici di ultima generazione. Qui come ben hanno dichiarato i due autori “l’architettura esplora relazioni e spazi condivisi: il piacere della contemplazione avviene su un terreno collettivo”.