Le riutilizzazioni architettoniche in architettura

Testo di Pierre Pinon
 
Il problema posto dalla riutilizzazione di edifici obsoleti risponde ad un quesito piuttosto recente.
Da qualche decennio, il funzionalismo che legava con troppo determinismo la forma architettonica al suo impiego da un lato, e dall'altro l'atteggiamento verso il monumento storico, che è consistito per lungo tempo nel dare priorità per gli edifici antichi alla loro forma originaria, avevano impedito qualsiasi riflessione a proposito della riutilizzazione.
Ora, è sufficiente immergersi più a fondo nella storia, inscrivere il fenomeno nella sua prolungata esistenza, per ritrovare pratiche chiarificatrici, e, se non altro, riallacciarsi ad esse. Una sola precauzione è necessaria, rinunciare a dire che qualsiasi cambiamento è un sacrilegio, che qualsiasi tipo di trasformazione è un vandalismo, cioè dimenticare P. Léon e L. Réaux. Tuttavia, con il termine generale di riutilizzazione si possono descrivere fenomeni storici notevolmente diversi. Ed è dunque da tale distinzione che bisogna cominciare. Noi le prospetteremo secondo criteri temporali, funzionali e spaziali. Innanzitutto il fenomeno presuppone una disponibilità, che può provenire da un abbandono prolungato, da una riconversione brutale o da uno slittamento progressivo da un impiego ad un altro. È dunque tramite il fattore tempo o attraverso la sua natura che possiamo distinguere:
- la riutilizzazione, nel vero senso del termine,
di un'architettura utilizzata di nuovo dopo una fase abbastanza prolungata di diversa destinazione;
- la riconversione volontaria di un'architettura alla quale si toglie arbitrariamente il suo uso precedente, benché questo sia ancora ad essa congeniale;
- la riappropriazione come passaggio progressivo da una destinazione ad un'altra, senza interruzione di utilizzo, né conversione brutale. Inoltre, conviene porsi la domanda del legame funzionale che esiste, o che non esiste, tra il vecchio ed il nuovo utilizzo. Qualunque sia il lasso cronologico che intercorre tra loro, può esservi una filiazione simbolica quando per esempio un tempio pagano viene trasformato, subito o anche qualche secolo più tardi, in una chiesa. È per un legame funzionale di natura similare, anche se di effetto contrario, che questa stessa chiesa può essere più tardi trasformata in deposito di foraggio, se questo viene fatto in vista di una sconsacrazione volontaria, e non per semplice comodità. Ma queste filiazioni coscienti non sono le sole a stabilire legami funzionali tra vecchi e nuovi usi.

La continuità di utilizzo, vale a dire la similarità di struttura funzionale, può essere inerente alla struttura spaziale che la induce. Sono le potenzialità degli spazi o della loro distribuzione che fanno sì che si ritrovino nei nuovi modi d'uso i principi dell'antico. Al limite, la funzione che viene a collocarsi in uno spazio preesistente, per caso più che per necessità, può finire per essere influenzata dal quadro in cui si inserisce. Non è forse perché i primi ministeri si sono installati in case private abbandonate dai ci-devant (appellativo dato agli aristocratici durante la Rivoluzione Francese - n.d.t.) che i 'gabinetti' dei ministeri sono sempre preceduti dalle 'anticamere'? Riutilizzazioni o riconversioni possono sempre comportare delle modifiche. Questo è uno degli aspetti della dialettica tra forma e funzione. Entrambi sono adattabili. Tutti i gradi di trasformazione sono prevedibili, anche se le riconversioni, e soprattutto le riappropriazioni progressive hanno la tendenza ad utilizzare quanto più possibile ciò che già esiste. Mentre le riutilizzazioni che invece considerano l'edificio, in particolare se esso è in rovina, come oggetto naturale, possono permettersi una maggiore libertà, fino alla metamorfosi, e finanche alla variazione di scala. Questo filone ha anch'esso i suoi limiti, quando la realizzazione consiste nel ricostruire su fondamenta, o perpetuare delle linee. In effetti, ogni trasformazione deve essere considerata secondo il livello di strutturazione dell'architettura, sia che essa riguardi lo spazio, la materia o la loro proiezione al suolo. Ogni situazione inoltre può descriversi con una certa combinazione di criteri precedenti. La roccaforte medievale che diventa residenza di vacanza nel Rinascimento, slitta progressivamente da un uso militare ad un uso ludico: l'impiego residenziale assicura in tal modo la continuità funzionale e limita le trasformazioni architettoniche a qualche sistemazione di maggiore comodità e ad un adeguamento di stile. La costruzione di un palazzo sulle rovine di un teatro antico, come il Palazzo Savelli sul Teatro di Marcello a Roma, è una riutilizzazione che è successiva ad un momento di abbandono, basata sul semplice uso delle potenzialità di un luogo, nel quale la nuova costruzione restituisce ed esalta la curva del monumento antico. Al limite, la lenta diluizione dei grandi impianti romani (anfiteatri o terme) in tessuti urbani posteriori, procede anch'essa dallo stesso fenomeno, nella misura in cui ognuna delle sue tappe - che divengano fortezze o vengano privatizzate e suddivise - è una riutilizzazione, una riconversione o una riappropriazione.

Alla fine dei conti, unicamente le variazioni funzionali e le trasformazioni morfologiche possono, raggiungendo il loro più alto grado, persino farne perdere la memoria. Ma la sua percezione non scompare mai completamente, essa resta leggibile nei catasti o nelle fotografie aeree. In tal senso la sedimentazione urbana non è che la somma di una successione di riutilizzazioni architettoniche. I restauri e i ripristini contemporanei possono anch'essi seguire gli stessi criteri, potendo così il 'monumento storico' in sé costituire una riutilizzazione o una riconversione.
 
I momenti storici della riutilizzazione
Se ogni edificio è suscettibile in qualunque momento di essere diversamente destinato oppure dismesso, il fenomeno non diventa storico se non per la sua entità. Accanto alle lente evoluzioni che vedono, nel corso dell'Antichità, le agorà o i forum trasformarsi in semplici mercati, affollati di bancarelle che comportano una sorta di raggruppamento dello spazio pubblico, esistono rotture più brutali. Un giorno un teatro vede la sua ultima rappresentazione, un giorno un calidarium non viene più riscaldato! Dopo aver tolto ciò che poteva essere rimosso (rivestimenti di marmo, colonne, capitelli) o anche prima, esso conosce l'abbandono, la città ridotta lo consegna alla campagna. La distruzione comincerà a consumarlo.

L'Alto Medio Evo è uno di questi momenti di abbandono. Al contrario il X e l'XI secolo sono un momento di riconquista, di reimpiego dei materiali, di riutilizzo delle costruzioni; i marmi scampati ai fornaciai orneranno le nuove chiese, ma anche le fortezze si ergeranno sui teatri o gli archi di trionfo. Il passaggio dall'Antichità al Medio Evo è palesemente una di quelle rotture storiche generatrici di riutilizzazioni.
La fine del XVIII secolo, anche prima della Rivoluzione francese e l'inizio del XIX costituiscono un grande momento nella storia della riconversione. Il decadimento finanziario delle congregazioni religiose, la volontà politica di rendere civile la società, poi la confisca dei beni ecclesiastici e aristocratici, comportano innanzi tutto la dismissione di conventi, di palazzi privati, trovando rapidamente nuovi proprietari in una totale continuità d'impiego. Per la maggior parte di essi seguirà un grande processo di riappropriazione, solamente i conventi situati in piena campagna conosceranno talvolta l'abbandono. Le trasformazioni sociali e industriali contemporanee vedranno molti castelli impiegati come colonie di vacanza e molte fabbriche lasciate incolte. La nostra epoca vive anch'essa uno di questi momenti. Ben presto si porrà il problema delle chiese rurali! I momenti di riutilizzazione come quelli di riconversione sono infatti composti da due fasi più o meno ravvicinate nel tempo. A quelle della regressione, della soppressione delle funzioni, piuttosto negative, succedono poi un giorno delle fasi di riconquista costruttiva. Le riutilizzazioni e le riconversioni si situano tra le due, ma soprattutto all'inizio della seconda. I primordi della feudalità e dell'arte romana porteranno alla consunzione di molte vestigia antiche senza eredi; come pure il Primo Impero per molti conventi. Più tardi, sarà il Medio Evo a stabilizzare o la Restaurazione a costruire di più ex-nihilo.

Vi è sempre un po' di urgenza, nella riutilizzazione come nelle riconversioni. Ed è infine l'urgenza delle necessità e dei bisogni che ne costituisce il motore. Ed è d'altronde ciò che differenzia maggiormente le destinazioni antiche da quelle contemporanee, o l'edificio esistente per il quale ci si chiede cosa farne. Dal punto di vista architettonico, a questi diversi momenti o fasi corrispondono attitudini specifiche. Tra l'abbandono e la riconquista, le riutilizzazioni sono spesso passive. Le vestigia antiche vengono usate come riparo o supporto, ma solo una parte delle loro potenzialità viene utilizzata. Si tratta di un atteggiamento tipicamente medievale. Nel Rinascimento, al contrario, i reimpieghi divengono più coscienti, possono essere preceduti da un rilievo, implicitamente da un'analisi. L'architetto compone con le rovine, pratica delle aggiunte che le valorizzano, traendone il maggior vantaggio dal punto di vista spaziale e non solamente costruttivamente, come Michelangelo quando nell'aula centrale - basilica - delle Terme di Diocleziano sistema la chiesa di Santa Maria degli Angeli. È come una ri-creazione volontaria. La riutilizzazione è allora palesemente attiva. Conviene infine ritornare alla dialettica della domanda e dell'offerta che abbiamo evocato precedentemente per inserirla in una collocazione storica. Nella sua riutilizzazione dei monumenti antichi, il Medio Evo parte dalle sue necessità. Sono esse lo stimolo alla ricerca degli edifici disponibili concepiti come siti. Gli altri vengono abbandonati se sono in posizioni difficili o se non hanno un'utilità particolare. All'inverso qualche volta ci troviamo oggi (in particolare dopo il XIX secolo) di fronte a edifici che vogliamo conservare e per i quali cerchiamo l'impiego più consono. Vi è l'offerta, ma non sempre la domanda. La riutilizzazione (poiché vi è una sospensione di uso) giustifica una conservazione che è stata prevista in precedenza. Questa situazione non è forse del tutto nuova, e nel progetto di Baldassarre Peruzzi o di Antonio da Sangallo il Giovane per le Terme di Agrippa o per il Foro di Augusto, si può notare un tentativo di salvare dei monumenti antichi legandoli a degli usi moderni, che siano palazzi o abitazioni. Pretesti per composizioni sapienti, le rovine dell'Antichità potevano mettere gli architetti nella situazione di presentarsi come conoscitori e restauratori. La fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX si trovano in una situazione intermedia. Sembra che allora ci fosse una felice coincidenza tra la liberazione di edifici come i conventi urbani - piuttosto forzata, ma senza resistenze, dato che anche prima della Rivoluzione i loro occupanti non avevano mezzi sufficienti - e l'emergenza di nuove funzioni sociali o della loro laicizzazione.

In conclusione sembra già manifestarsi il carattere essenziale del fenomeno legato alla riutilizzazione ed alla riconversione nella storia degli edifici. Esso dovrebbe occupare un posto rappresentativo della sua importanza in tutta la storia dell'architettura. Ciò che la storia ci suggerisce, è il fatto che la giusta appropriazione è quella che utilizza al meglio le potenzialità di un edificio, le sue qualità spaziali o costruttive preesistenti. Distruggerlo in parte o modificarlo troppo, significa spesso privarsene. Non si dovrebbero tuttavia impedire le trasformazioni necessarie all'adattamento o a un nuovo utilizzo (accuratamente scelto in funzione delle caratteristiche architettoniche dell'edificio), soprattutto se esse possiedono la facoltà di valorizzarlo. Ma non si deve fraintendere questa espressione: valorizzare un monumento non significa isolarlo, renderlo asettico, cancellare la sua storia per un restauro che sarebbe la riproduzione troppo fedele della sua restituzione archeologica. Anche dopo aver a lungo riflettuto, non ci si dovrà impedire di meditare sull' `humour' di alcune varianti, sull'effetto estetico e sul gusto di certe alterazioni. Nessuna dottrina dovrebbe resistere al loro fascino. Una ricerca relativa alla riappropriazione del patrimonio architettonico non dovrebbe assumere il significato di negare la sua storia.

Arco di trionfo d'Orange, XVII sec.

Arco di trionfo d'Orange, XVII sec.

Duomo di Siracusa

Duomo di Siracusa

Teatro Marcello e Palazzo Savelli, A. Uggeri, XIX sec.

Teatro Marcello e Palazzo Savelli, A. Uggeri, XIX sec.

Agorà di Atene

Agorà di Atene

Foro romano

Foro romano

Calidarium a Pompei

Calidarium a Pompei

Terme di Diocleziano

Terme di Diocleziano

Terme di Agrippa

Terme di Agrippa

Foro di Augusto

Foro di Augusto