editoriale paolo favole

editoriale paolo favoleIl contemporaneo sembra evolvere verso la fluidità delle definizioni disciplinari.
Installazioni, video, objets trouvés, sostituiscono pittura e scultura tradizionali – come è sempre più evidente nelle fiere di Bologna, Basilea, Kassel -; il teatro produce performances di recitazione, mimo, danza, prodotte in luoghi inusuali come fabbriche, case private o lungo percorsi con scenografie multimediali; la musica è quella sgretolata da Cage in poi o un misto di classico, etnico, jazz, magari con video e rappresentazioni in contemporanea in più luoghi e gli spettatori in altri; la letteratura produce testi scritti e in parte registrati talora con la tecnica del “non detto” che rinvia a non si sa quali altri mondi.
Tutti i rassicuranti nominalismi di significato immediato, storicizzati in secoli di poesia, pittura, scultura, musica, sono sostituiti da un’avanguardia definita  “di massa” e non più selettiva, ma diffusa, sperimentale, creativa, borderline. Avanguardia non simile a quelle di inizio XX secolo, che pure sono state fondamentali, ma linguistiche e non strutturali.
Con un parallelo molto settoriale, ma significativo: anche gli oggetti d’uso diventano sempre più multifunzionali, dagli elettrodomestici a quelli di diffusione popolare come l’iphone, l’ipad, e così via.

Anche in architettura troviamo edifici polifunzionali: residenze con uffici, commercio e stazione ferroviaria inglobata; teatri con museo, ristorante, shop e uffici; scuole con centro civico, circolo anziani, club giovani e residenze per docenti; capannoni produttivi con palestra, spa, discoteca; laboratori di ricerca con residenza, scuola e commercio; incubatori di creativi di ogni tipo nello stesso edificio.
La città, per sua natura polifunzionale, è stata interpretata e progettata a cominciare dalla rivoluzione industriale con una rigorosa distinzione in azzonamenti monofunzionali – residenza, commercio, servizi, produzione -, perfezionata dal razionalismo e corredata da rigide normative (con effetti limitativi e a volte disastrosi): criterio razionale semplificativo, sempre criticato, ma persistente.

Nel tempo si è sviluppato un raffinato nominalismo per una sempre più articolata definizione delle funzioni e un corrispondente lavoro di caratterizzazione tipologica, accompagnato da una manualistica di misure, standard e parametri. Come i Ciam di Francoforte e Bruxelles hanno teorizzato con diffusione europea: “La storia dell’architettura ha lavorato per la definizione del tipo” scrive Gregotti in “Il territorio dell’architettura” del 1965, proprio alla soglia della crisi delle definizioni. Giedion, che, lavorando dall’interno, è stato il più acuto critico del razionalismo, nello stesso anno scrive che l’evoluzione dei tempi avrebbe portato a una sempre migliore definizione dei tipi. La monofunzione era un’utile semplificazione progettuale: la tipologia definita permetteva di acquisire la distribuzione per progettare la conformazione dell’architettura – per chi ne era capace – aumentando la produzione e apprezzando come “ricerca” la proposta di varianti tipologiche.
I primi edifici polifunzionali sono, negli anni ’60, alcuni rari casi a Barcellona e Copenhagen (Sas di Jacobsen) con residenza-uffici-albergo che non incidono sulla conformazione che ha indifferenza tipologica per destinazioni fungibili.
Le modifiche si generano dal plurifunzionalismo della città versus gli edifici che ne derivano che di conseguenza inizialmente sono macrostrutture.

Come sempre, il primo è Le Corbusier con le Unitè che sono ben noti pezzi di città in un edificio. La definitiva rottura teorico progettuale è quella degli utopisti degli anni ‘60 Archigram e Metabolism, con Friedmann, Cook, Tange, Maymont che rompono il monofunzionalismo edilizio proprio perché risalgono dalla città agli aggregati edilizi e alla loro forma Plug-in, Walking, o Instant-city hanno prodotto il centro civico di Cumbernauld – con molte funzioni comunali – e il Corviale (che è una copia a scala maggiore di un progetto polifunzionale di Tange per Skopje) e i centri civici di new towns e nouvelles villes a cominciare da quello davvero polifunzionale di Evry.
La storia ha accelerato nel XXI secolo: il web, internet, la globalizzazione istantanea, la moltiplicazione dei rapporti virtuali tra sconosciuti, la diffusione dell’informazione senza limiti e superficiale, hanno aperto un nuovo mondo “culturale”, democratico e imprevedibile e travolto le storiche classificazioni. Uno dei protagonisti di Notre Dame de Paris di Hugo con il primo libro a stampa in una biblioteca di manoscritti dalla finestra pronuncia il famoso “celui tuera cela”: ucciderà la cattedrale in quanto grandioso coacervo di informazioni popolari. Carrère nel suo recentissimo “Il regno” teme come massimo rischio la fine delle grandi tradizioni: di certo si è resa inutile la memoria – a 50 anni dal saggio della Yates che inizia da Democrito -: tutto è atopico, astorico, impersonale, immediato. Un flusso postplatonico, ma non aristotelico, piuttosto eracliteo, scorrevole, sperimentale, spiazzante, provocatorio, di cui non conosciamo le conseguenze, ma sarà un bene secondo il positivo Bauman.

Per l’architettura alle trasformazioni dovute alla globalizzazione si è aggiunta l’esplosione urbana e l’impossibilità – di fatto – di pianificare le megalopoli, scompaginando i rigidi azzonamenti, e, anche se l’architettura ha una inerzia specifica, la richiesta è divenuta quella di edifici polifunzionali rispondenti a esigenze puntuali, con una grande ricchezza di assortimento e libertà di conformazione. Rossi in “Autobiografia scientifica” del 1976, scrive “Il dimensionamento è importante non come pensavano i funzionalisti per assolvere una determinata funzione, ma per permettere più funzioni … e tutto ciò che nella vita è imprevedibile”. La progettazione si sposta, finalmente, dal disegno di piante prospetti sezioni al 3D: ogni edificio avrà un mix di utenti che favorisce la socializzazione, non ci sono più standard monotipo e l’accessibilità deve essere ridefinita in funzione del target previsto. Si modifica definitivamente la relazione tra edifici e città e la conformazione ha nuove potenzialità perché la polifunzionalità richiede nel tempo flessibilità dimensionale e di destinazione: componenti innovative del progetto. Un grande potenziale per la progettazione. Magari metterà anche un po’ in crisi i linguaggi consolidati di alcune archistar. Una prospettiva che dà speranza e questo numero della rivista lo coglie. La profezia di Giedion è superata dalla “vita imprevedibile” di Rossi.

Paolo Favole

 

“L'eletto” di Ferdinand Hodler  -  “Evoluzione” di Piet Mondrian
“L’eletto” di Ferdinand Hodler – “Evoluzione” di Piet Mondrian

Per prima cosa ho visto tre ragazze
Dopo ho intuito che era una soltanto,
moltiplicata
Finché ho capito che ogni ragazza
Ne contiene altre due

Valerio Magrelli
Il sangue amaro, 2014