europarlamento24 – L'attuale testo condiviso è frutto del compromesso tra gli Stati membri: impossibile raggiungere l'obiettivo prefissato ma si è fatto un passo avanti. Prossime tappe al Parlamento europeo: Commissione Itre e plenaria a settembre.

La nuova direttiva sull'efficienza energetica procede con la cautela figlia del compromesso. Dopo diversi mesi di negoziati e timori di un fallimento su tutta la linea, le istituzioni comunitarie (Parlamento, Consiglio e Commissione) hanno condiviso un accordo di massima sul provvedimento. Che, secondo le associazioni ambientaliste, è un passo indietro rispetto alla proposta originaria di Bruxelles.

L'obiettivo è ridurre del 20% nel 2020 i consumi di energia primaria, in confronto al 1990. In altri termini: risparmiare energia attraverso misure di efficienza.

L'esempio tra le mura domestiche è la lampadina a basso consumo al posto della vecchia a incandescenza. Ma qui stiamo parlando dei 27 Stati membri che, a dispetto delle intenzioni, sono ancora lontani dal traguardo fissato.

Con le misure in vigore, infatti, potrebbero risparmiare soltanto metà dei 368 milioni di Tep (tonnellate equivalenti di petrolio) previsti. L'ultimo accordo ha faticosamente risalito la china, confermando tagli per il 17% dei consumi nel 2020, essendo partiti da una base molto più bassa, intorno al 13% dovuta all'opposizione di parecchi Governi.

Sarà quindi una direttiva annacquata? La presidenza danese di turno si è detta soddisfatta: "Ci siamo battuti come leoni - ha commentato il ministro danese dell'Energia, Martin Lidegaard -. Siamo partiti dal 13% e siamo arrivati al 17%. È un obiettivo di cui siamo orgogliosi".

Tuttavia, come ha spiegato Brook Riley di Friends of the Earth Europe (citato da Euractiv), le misure più ambiziose sono state "strizzate" da tutte le parti. Il risultato è un testo più asciutto, privo dello slancio iniziale della Commissione. Ogni Stato membro dovrà tracciare un piano nazionale per l'efficienza energetica ogni 3 anni, nel 2014, 2017 e 2020, su cui Bruxelles vigilerà per assicurarsi che i progetti siano rispettati. Una misura vincolante riguarda la riqualificazione energetica degli edifici pubblici. Si dovrà rinnovare almeno il 3% degli edifici con superficie totale superiore a 500 mq (250 dal 2015), ma solo quelli occupati dalle istituzioni dei Governi centrali e di loro proprietà.

Ecco dunque il primo annacquamento, perché inizialmente l'obbligo doveva comprendere tutte le strutture della pubblica amministrazione. Per la Germania, segnala Euractiv, la limitazione agli uffici governativi centrali riduce il campo a 37 edifici. Un'altra misura vincolante riguarda i risparmi delle compagnie elettriche e del gas, equivalenti all'1,5% dell'energia venduta ogni anno ai clienti finali.

La "strizzata" decisiva, usando l'espressione di Brook Riley, è arrivata dalla Gran Bretagna, che all'ultimo minuto ha chiesto (e ottenuto) una serie di esenzioni. Così quell'1,5% può diventare 1,1% nella pratica. Per esempio, si potranno contare i risparmi ottenuti con misure in forza dal 2010, 4 anni prima della supposta entrata in vigore della direttiva, o con interventi di efficienza pianificati nel periodo 2020-2023.

Sono le esenzioni "early action" e "future action" per edulcorare la pillola e rendere i risparmi un po' meno pesanti e costosi. La direttiva, infine, comprende altre misure: audit energetici per le aziende di maggiori dimensioni, contatori intelligenti da installare nelle abitazioni, finanziamenti agevolati per l'efficienza energetica, investimenti nella cogenerazione.

I prossimi passi al Parlamento europeo saranno il voto della Commissione Itre (Industria, Ricerca ed Energia), probabilmente a luglio, seguito a settembre dalla sessione plenaria del Parlamento.