Pulitura di incrostazioni calcaree

Autore testo: Giuliano Cosi

Come è noto, il carbo­nato di calcio (calcite) ha una certa solubilità, per quanto bassa (0,0 14 g/l a 250C) in acqua. L'acqua piovana o di ruscellamento, specie se acida per effetto dell'anidride carbonica in essa disciolta, può quindi sciogliere la calcite dei calcari sedimentari e dei marmi quando la reazione con formazione di bicarbonato

CaCO3+ H20 +CO2 « Ca(HCO3)2

va da sinistra a destra, e ridepositarla successivamente, quando essa va da destra a sinistra. L'equilibrio chimico sopra riportato è influenzato dalla temperatura, dalla pressione e da altri fattori, e trova frequenti e numerosissimi riscontri in natura (formazione di stalattiti, depositi incrostanti, ecc.). Esso avviene sulle pietre carbonatiche degli edifici (dove parti esposte in alto possono corrodersi e altre in basso, accrescersi per deposizione di incrostazioni calcaree), e si verifica frequentemente nelle fontane. In queste ultime si possono formare spessori anche ragguardevoli (3-4 cm) di carbonati provenienti dalla continua dissoluzione esercitata dall'acqua ruscellante sui calcari com­ponenti statue o altre parti della fontana stessa, e/o dalla deposizione di carbonato di calcio da acqua molto dura.
 
Le incrostazioni che si formano generalmente sono molta compatte, e ricoprono anche interamente vaste superfici lapidee, cancellandone gli effetti cromatici e appiattendo i rilievi.
Esse vanno quindi rimosse, con metodi opportuni, evitando l'impiego di acidi forti (acido cloridrico), che asportano le incrostazioni ma corrodono anche il substrato originale sottostante (spesso di compo­sizione chimica uguale a quella della crosta); oppure a mezzo di scalpelli, frese e sabbiatrici, col pericolo di danneggiare meccanicamente la pietra.
 
È stato messo a punto un metodo di rimozione di sottili depositi calcarei non dannoso e controllabile, basato sull'impiego di resine scambiatrici di ioni. Sono composte da polimeri sintetici contenenti gruppi funzionali acidi o basici capaci di effettuare, attraverso il mezzo acquoso con cui vengono applicati, un doppio scambio ionico tra gli ioni labili della resina e i cationi e anioni del materiale calcareo componente l'incrostazione.
La dissoluzione del carbonato di calcio è sufficientemente lenta da permettere il controllo del progredire dell'azione, e la rimozione delle resine prima che queste arrivino ad intaccare la pietra sottostante. In alcuni casi, soprattutto in presenza di abbondanti quantità di gesso, sono risultate efficaci resine anioniche capaci di scambiare ossidrili con gli anioni dei sali. È molto importante la scelta dei tipi di resine da impiegare: esse devono essere di granulometria sufficientemente fine da permettere la preparazione di paste aderenti anche su superfici verticali, e non devono dar luogo sottoprodotti dannosi all'oggetto da pulire.
Anche in questo caso gli impacchi vanno coperti opportunamente per evitare l'evaporazione dell'acqua, e prolungare così l'azione solvente (per croste di 1 mm circa di spessore, sono necessari contatti di 4-3 giorni).
Qualora ci si trovi di fronte a incrostazioni di notevole spessore, conviene asportare il grosso con mezzi meccanici opportuni, e applica­re le resine solo per la rimozione finale dello strato residuo.
 
Fonte testo:
L. Lazzaroni, M.L. Tabasso, Il restauro della pietra, CEDAM, Padova, 1986.
G.G. Amoroso, Il restauro della pietra nell'architettura monumentale, ed. D. Flaccovio, Palermo, 1995.
La conservazione dei monumenti, atti del 1° corso di informazione ASSIRCO, Perugia, 6-7-8 novembre 1979, a cura dell'Arch. Rosanna Cazzella, edizioni Kappa, Roma, 1981.