video – Bologna, 23 settembre 2011. "L'architettura come motore del cambiamento", Cameron Sinclair, co-fondatore di Architecture for Humanity, spiega come è riuscito a portare un aiuto concreto a un milione di persone in difficoltà.

Inserito all'interno del ciclo "Costruire, abitare, pensare" proposto a CERSAIE 2011, l'appuntamento con Cameron Sinclair ha come tema dell'evento "Cosa può fare l'architettura per migliorare la vita delle persone?". 

La risposta è fornita dalla straordinaria esperienza di Architecture for Humanity, nata per sviluppare soluzioni architettoniche e di design per crisi umanitarie e per offrire, senza scopo di lucro, servizi di progettazione a comunità bisognose. I risultati: 72 sezioni dell'organizzazione in 14 Paesi. 1500 edifici costruiti in tutto mondo. Tra i progetti seguiti: la ricostruzione dopo il terremoto del 2010 ad Haiti e in Cile, l'uragano Katrina e lo Tsunami in Asia meridionale, nel 2004. E poi una miriade di interventi, anche piccoli ma strategici, in villaggi o in quartieri disagiati di grandi città, dal Brasile al Sud Africa, dallo Sri Lanka al Sudan, dal Guatemala alla striscia di Gaza. E tantissimi quelli in cantiere, con le antenne sempre alzate, grazie a un sistema open source, per carpire idee utili alla comunità, fattibili, replicabili. Attualmente sono oltre 7mila i progetti in open source. Un milione, calcola l'architetto, le persone aiutate in tutto il mondo. Un approccio rivoluzionario per il settore, tanto che nel 2004 Sinclair è stato inserito dalla rivista Fortune tra gli Aspen Seven, le sette persone in grado di cambiare in meglio il mondo. Non solo: l'anno seguente è nominato RISD/Target Emerging Designer of the Year e, nel 2006, riceve il TED Prize. Nel 2008 è stato selezionato dal World Economic Forum come Young Global Leader.
 
L'obiettivo è intervenire per dare riparo alle persone dopo grandi catastrofi - terremoti, alluvioni o grandi migrazioni - e per avviare la ricostruzione. A volte bastano obiettivi semplici e concreti, per realizzare una trasformazione positiva per la comunità: "Se i mass media decidono che c'è stato un disastro in un luogo e danno visibilità a quello, le risorse per la ricostruzione andranno solo lì", ha raccontato Sinclair. "Ma pensiamo al Perù, quasi dimenticato: il 35% delle scuole, 3 o 4 anni dopo il terremoto non erano state neanche toccate. I bambini non potevano ricevere un'istruzione. È lì che siamo intervenuti per ricostruirle in poco tempo. Ma quando progettiamo dobbiamo tenere presente che i nostri clienti sono le persone che utilizzeranno gli edifici. E chiedersi: alla gente piace la struttura che ho creato? La comunità la apprezza, la vive? Perché l'architettura c'è se vi scorre la vita. Altrimenti c'è solo un edificio vuoto, bello da fotografare e da mettere su una rivista".     
 
È questo quindi il metro per valutare il successo di un progetto: "Deve dare vita a un luogo che la comunità sente proprio, solo così anche persone che non sanno nulla di architettura, imparano a rispettarla, ad averne cura". La strada è quella di progettare insieme a loro, coinvolgere professionisti locali, ma anche la gente. "Pensando che disegniamo non per il 2011 ma per il 2041 e che quindi dobbiamo immaginare il futuro. È questa la vera sostenibilità intergenerazionale. Non futuri ghetti, ma comunità che crescono intorno alle famiglie".

Fondamentale quindi è il coinvolgimento della comunità locale, che usufruirà della nuova struttura: "Non vogliamo sostituirci agli architetti locali. Noi troviamo i professionisti che servono in quel posto. Inoltre è necessario retribuire equamente le persone del luogo per il loro lavoro e fare in modo che poi possano applicare e diffondere le nuove conoscenze". La ricostruzione infatti è anche business e crea lavoro. "Non si tratta di carità: è un settore", ha aggiunto. "In tutto questo, se il nostro ruolo non è immediatamente richiesto subito dopo i disastri, ma successivamente è fondamentale. In molti casi saremo lì fino a quattro anni dopo il disastro per portare avanti la ricostruzione. Il nostro obiettivo è costruire bene, cose di qualità, che durano. Spendere bene. Perché non sono i terremoti che ammazzano le persone, ma gli edifici che cadano perché fatti male. Per questo dobbiamo formare professionisti".
 
Architecture for Humanity è sempre alla ricerca di nuovi collaboratori: "L'architetto-tipo che lavora con noi attualmente - ha concluso Sinclair - è un giovane laureato, tra i 26 e i 32 anni, donna, con esperienze internazionali."