residenze unifamiliari – La residenza unifamiliare Hojo a Tokyo, progettata da Akira Yoneda.

La parola giapponese hojo, che identifica anche la residenza
unifamiliare progettata da Akira Yoneda e recente vincitrice
del WAN (World Architecture News) Award 2009, è stata utilizzata originariamente per descrivere uno spazio di 1 jo per 1 jo, (1 jo = circa 3m); successivamente lo stesso termine viene attribuito a edifici di simile dimensione e scala, autentiche micro-architetture in grado di saturare i mini lotti, costosissimi, disponibili a Tokyo. Nell'architettura tradizionale giapponese questa piccola unità spaziale divenne il punto d'inizio che condusse alla definizione della stanza ove svolgere la cerimonia del tè e quindi allo stile "Sho-in". Yoneda, pensa alla possibilità di introdurre uno spazio naturale in miniatura all'interno di un appartamento urbano, così da tradurre la sensazione di un cortile, che nel passato era rustico nel mezzo di un distretto urbano, seguendo la logica dell'estetica "Wabi-sabi". In questo contesto contemporaneo il concetto di hojo è valido sia per la parte che per l'intero, sia per lo spazio interno che per l'intorno in virtù della sua sottointesa espressione tipicamente giapponese di "esternalità" e di scala stratificata di materiali in sequenza o frammentazione. Questo Hojo contemporaneo, su più livelli e su più frammentazioni spaziali, è il medium in grado di unificare lo spazio circostante e la natura in modi differenti. Di conseguenza Akira Yoneda porta, all'interno dell'ambiente urbano super-densificato di Tokyo, un'architettura in grado di liberare, chi ne fa esperienza, dallo stress quotidiano, sia fisico che mentale. Il sito di progetto è circondato da case in adiacenza e da un muro di confine. Ciò produce una pre-condizione di "internalità" che sottintende la vista di alberi dalle varie quote dell'abitazione. L'architetto giapponese è anche noto come "cantilever man", l'uomo degli sbalzi, per la personale predilezione verso questo schema strutturale estremo che mostra la ricerca di un'architettura "antigravitazionale" dove i volumi fluttuano metafisicamente uno sull'altro e nel vuoto.

Permeabilità visiva
All'interno del micro-spazio semi chiuso, i progettisti hanno inserito
un volume trasparente, in gran parte vetrato, filtrato da una quinta
effimera realizzata in tubi metallici, generatrice del limite del  territorio e memoria di una superficie fragile a filigrana. Questa limitazione fisica del luogo, che consente sempre allo sguardo di attraversare il confine, è una trasposizione contemporanea dei tradizionali engawa, dove lo spazio intermedio garantisce una meraviglia superiore, fatta di ombre e spiragli anziché di masse e volumi pieni. Questa sorta di "gabbia per canarini" alla scala umana, genera un'architettura che fonde tutti i principi base della filosofia zen buddista giapponese: terra, acqua, aria, fuoco e il vuoto. È infatti questo ultimo e misterioso elemento che permea l'edificio di Yoneda, dove ogni materiale, ogni partizione, ogni frontiera sembrano galleggiare, appunto, sospesi.
Simultaneamente lo spazio intimo viene estromesso all'esterno
che viene a sua volta attratto all'interno grazie alla frontiera vibrante
fatta di tubicini metallici. La percezione è straniante, allo stesso tempo estensiva e molto intima secondo un equilibrio di contrari tipicamente zen. L'effetto è ottenuto anche grazie al sistema giapponese noto come shakkei, utilizzato per la progettazione dei paesaggi, che sancisce l'importanza della relazione tra il primo piano del giardino e il panorama di sfondo, mediata tramite un muro basso. Ciò consente di chiudere lo scenario dietro al giardino ma allo stesso tempo di aprire la vista verso il panorama e lo sfondo. La cortina a filigrana dell'edificio produce il medesimo effetto: limitare lo spazio come scenario di fondo visto dall'interno ma anche aprire verso il contorno circostante grazie alla permeabilità visiva.

Un progetto su misura
Durante il percorso progettuale l'autore è entrato in piena sintonia
con la psicologia del committente e con la geografia urbana dell'intorno e del lotto. Ogni vista dall'abitazione è studiata accuratamente sia per la visione verso il vicinato, sia per l'introspezione, sia per la vista dei vari piani che compongono l'edificio in verticale verso il cielo. I serramenti in alluminio, scorrevoli o a battente, sono minimalisti, quasi assenti, e le aperture così create sono quadri di cielo, di giardino o di quartiere. Il tetto è una membrana tessile su struttura metallica ed è sollevato rispetto alla chiusura sommitale piana dello spazio abitato. Gli impalcati sono realizzati in lamiera grecata con getto collaborante, in modo da diventare diaframmi in grado di trasferire il carico sismico, mentre le pareti sono in gran parte vetrate e scorrevoli. La luce è quindi diretta, riflessa, rifratta, filtrata; è un "progetto di luce e vuoto" dove  lo spazio è stato personalizzato sul proprietario, tailored come fosse un abito su misura. Per esempio ricordiamo che il cliente ha la sua casa principale al di fuori del centro di Tokyo; il desiderio personale era di avere uno spazio esclusivo, di meditazione e riposo, intimo e speciale e con una piscina per il proprio cane nel centro della città, in uno dei quartieri storici più tradizionale anche se oggi molto trasformato. Il budget era effettivamente ridotto tuttavia i progettisti scavano un pozzo sul retro del lotto che fornisce l'acqua per la piscina del cane e per gli sprinkler che gettano sopra la copertura in modo da consentire raffrescamento per evaporative cooling e innescare ventilazioni naturali ascensionali, dal fondo in ghiaia a piano terra che viene irrorato, e trasversali sfruttando i differenziali termici e di pressione dell'aria.