biennale di architettura – Per la prima volta, il Padiglione degli Stati Uniti alla Biennale di Venezia non presenta una rassegna di progetti differenti ma un'installazione collettiva, dedicata ai casi di design per lo spazio pubblico concepiti dalle stesse comunità locali.

Spontaneo si dice di quello che non ci aspettiamo di fare, o di veder accadere. Spontaneo si dice di quello che comunque accade, in quanto conseguenza di cause già poste.
Può darsi per spontaneità il bene comune? Sì, se è il risultato di una volontà condivisa, anzi della somma delle volontà di una comunità. Da quale dei suoi individui avrà origine il gesto, difficile a dirsi: verrà spontaneo, appunto.
Questa, in buona sostanza, è la tesi sostenuta dall'installazione Spontaneous Interventions: Design Actions for the Common Good, realizzata al Padiglione degli Stati Uniti per la 13. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia.

Fedeli al tema del "territorio comune" come punto di partenza per lo sviluppo della progettazione, per la prima volta gli USA hanno scelto di realizzare una sintesi di ben 124 progetti - o meglio, azioni di una strategia urbana in divenire - invece di passare in rassegna un numero più o meno ampio di singole eccellenze architettoniche.
La stessa installazione invita a una fruizione fisicamente partecipe: se i singoli progetti sono presentati come locandine appese al soffitto, per approfondirne i contenuti bisogna tirarle a sé; si muoverà così il rispettivo contrappeso a parete, che alzandosi permetterà di leggere l'obiettivo raggiunto e fino ad allora "ostacolato". Traduzione letterale, eppure suggestiva, di quanto si verifica quando un intervento di progettazione urbana "libera" la collettività di un impedimento, sia fisico che sociale.
Ancora, nel suo essere metafora della tendenza rappresentata l'installazione rifiuta un punto di vista privilegiato, si presenta diffusa e centripeta; appendendo i progetti al soffitto e gli obiettivi al muro o facendo scorrere la storia a pavimento, lungo una linea temporale che si sussegue di stanza in stanza.
Il percorso attraverso l'installazione viene deciso singolarmente, attraverso un'assunzione di responsabilità che ricalca quella dei vari autori delle azioni in mostra: architetti, designer, progettisti, artisti e cittadini che, dal loro posto all'interno della comunità e dal preciso momento in cui vivevano, hanno scelto di apportare un cambiamento positivo al proprio quartiere o alla città.

Le possibilità concrete di rivilitalizzazione urbana sono innumerevoli, dipendenti come sono dalla sensibilità di chi le agisce e dal contesto che va a recepirle: si spazia dalle piste ciclabili "abusive" ai salotti all'aperto, dai mercati notturni agli orti urbani, passando per la realizzazione di installazioni artistiche e arredi urbani estemporanei.
Quello che la massa critica evidenzia degli interventi è la loro progressiva normalizzazione: la quantità delle azioni intraprese segna lo scarto qualitativo dall'eccentrico al quotidiano, dal gesto compiuto come rivendicazione personale a quello che risponde a un'esigenza sentita da più parti. Non a caso, i progetti presentati costituiscono una selezione tra più di 450 proposte, giunte in seguito a un invito a segnalare da ogni parte degli Stati Uniti i più recenti interventi "spontanei".

Contributi all'installazione

Lo studio di design di Brooklyn Freecell, fondato da Lauren Crahan e John Hartmann, ha ideato il sistema di locandine semoventi per presentare le 124 possibili strategie di miglioramento dello spazio pubblico urbano.
Lo studio di design M-A-D con sede a Sausalito, guidato da Erik Adigard e Patricia Mc-Shane, ha ideato un sistema grafico per ogni progetto, che richiama l'iconografia di bandiere cittadine, e il disegno grafico a pavimento. L'obiettivo era quello di creare un ambiente avvolgente, che ponesse i progetti in un più vasto contesto storico e contemporaneo delle città americane.
In un'installazione video del regista Kelly Loudenberg, i partecipanti condividono le loro speranze, sogni e  preoccupazioni per il futuro delle città americane.
Lo studio Interboro di Brooklyn, vincitore lo scorso anno del Young Architects Program del MoMA/PS1, ha progettato un “salotto all'aperto”, luogo di ritrovo del Padiglione e spazio per i workshop.
Lo spazio, chiamato Commonplace, è caratterizzato da componenti mobili che possono essere facilmente riconfigurati per ospitare diverse funzioni: durante i tre mesi della Biennale, il Padiglione ospiterà infatti un'intensa serie di iniziative.
Il progetto Imagination Playground, ideato dallo studio Rockwell di New York e qui presentato, comparirà anche in A Better World, un evento collaterale della Biennale organizzato da Microclima e Alfred von Escher/Studio427 presso la Serra dei Giardini, a cui verrà infine donato per la fruizione da parte della comunità.