Y House  

Località Chita, Aichi, Giappone
Progettisti Architects Kei'ichi Irie + Power Unit Studio
Collaboratore Keiko Yoshida
Strutture MIAS: Masahiro Ikeda, Akira Suzuki, Shin Yokoo
Impresa di costruzione Maeda
Progetto Aprile 2001 - Aprile 2002
Realizzazione Maggio 2002 - Gennaio 2003
Superficie lotto 324,73 mq
Superficie costruita 124,47 mq
Superficie calpestabile 132,29 mq
Volume 559,07 m3

Rimanere da soli o cambiare sistema. Tessiture periferiche e sottoboschi suburbani, quel mostro fagocitante di natura ed equilibri ancestrali che si chiama suburbia, ed il suo patto, con compromessi al ribasso e noncuranza, con le peggiori interpretazioni di tre avventori bramosi e sempre interessati come modernizzazione, industrializzazione e tecnologia. Y House è un manifesto contro. Manifesto ridimensionale, spaziale, dalle forme apparentemente violente, dai tagli netti, dalle estensioni dinamiche.
Non è un ideale, non è una speranza. È una denuncia. La negazione di ciò che lo circonda, di ciò che l'accoglie. È il primo concetto inverso spazialmente realizzato del tanto decantato, strattonato ed abusato genius loci. È rinuncia ad appartenere al proprio luogo, e grido sofferto per la trasformazione di un sistema corrente in un altro ancora a venire, ma con radici nel passato.
L'architetto Kei'ichi Irie metabolizza un processo urbano che, partendo da tempi pre-moderni, testimonia la disintegrazione di ogni relazione organica, l'annientamento progressivo e programmato di qualsiasi espressione naturale, tra gesture artificiali. Cartilagini e capillari urbani hanno svenduto la propria unicità a modelli stereotipati, ovunque uguali a se stessi, ed una fede indiscussa nello sviluppo industriale e nei cunicoli della tecnologia ha regalato soltanto forme globalizzate, svuotate di contenuti personali.
È un'architettura di resistenza, che protesta e che propone la propria soluzione: terra bruciata divorerà periferie e sobborghi finché
non sarà ammainata la bandiera della ricostruzione urbana attraverso scienza e tecnologia. Dignità e serenità paesaggistiche sono razze in via d'estinzione, Kei'ichi Irie propone la propria teoria d'originale fattura ed affida la realizzazione strutturale al giovane Masahiro Ikeda, architetto dal grande futuro e con la passione nel rendere bella la struttura.
La funzione è data, forma e struttura fanno pace e vanno a braccetto in questa casa avvolta nel cemento ed appoggiata, appena adagiata, su un pendio naturale, tra abitazioni unifamiliari prefabbricate che poco dialogano tra loro, e per niente con il linguaggio della terra che li sostiene. Muri d'ambito circostanti diventano così minacciosi per un inedito spazio domestico che non vuole essere né distruttivo né violento nelle intenzioni, e che contemporaneamente si protegge, gridando la propria diversità.
Uno squarcio di Chita, città della prefettura di Aichi, nel Giappone centrale, è messo a fuoco dall'occhio quadrato, e riquadrato dalla spessa cornice metallica nera, che introduce alla casa dal fronte su strada. Entrate rivestite di vetro traslucido permeano luce da diffondere nelle zone d'ingresso e concludono il collo dell'edificio che aggancia il manto stradale e mantiene in sospensione il corpo strutturale, la pancia.
La forma geometrica esterna irregolare, né organica né decostruita, ma espressivamente isolata sia dal circondante scenario urbano che da movimenti ed inclinazioni morfologiche del terreno, intravede se stessa negli spazi interni cavi e si dimentica di spazialità e temporalità conosciute. Diagonali, angoli acuti ed ottusi mettono a dura prova teoremi pitagorici, mentre inclinazioni e prospettive atipiche disorientano principi canonici.
Pareti verticali e piani orizzontali sfuggono all'assimilazione con tutto ciò che è altro e si rincorrono nell'ampio ambiente soggiorno che si getta giù, a capofitto, e sfocia nella foresta. La grande vetrata sul bosco delinea la propria ortogonalità e ostenta la massiccia cornice nera su parete scorrevole vetrata, che diventa diaframma mobile su natura cangiante.
I pavimenti sono in legno, caldi. Il corpo strutturale ha muscoli e pelle liscia, avvolgente, in cemento armato, per uno spessore costante di appena 15 cm. Ambienti privati e servizi tutelano la loro intimità, ma hanno lo sguardo sempre dedicato ai colori castani e verdeggianti che sbucano da tagli indolori, di vetro. Gli arredi sono pochi, solitari ed asettici, posati con discrezione sul fondo di una placenta genitrice di pensieri e suggestioni. L'interiore è azione e reazione al proprio esteriore, e, per ciò, ha bisogno di esso. La vista non ha sosta e si riabilita come senso, lo spazio riacquista l'ancestrale presenza ed il tempo ferma il proprio affanno. L'ambiente intero riscopre quanto ricco possa essere il silenzio che colma l'eco di un passo, come tale silenzio possa essere cadenzato dalle percussioni della pioggia, dal cantare di un passero o dal frastuono di una foglia d'autunno, che cade.

Testo di Sergio Pirrone
Estratto da Materia n. 46

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