Testo a cura di Floornature.com

POWER. Producing the Contemporary City
   Testo a cura di Floornature.com

In occasione della III edizione della Biennale di Architettura di Rotterdam,
il portale Floornature.com ha realizzato una serie di interviste con i
protagonisti della rassegna, di cui qui di seguito presentiamo la trascrizione e
le recensioni degli eventi. L'articolo integrale e la sua versione video sono
scaricabili, previa registrazione gratuita, dal portale di architettura Floornature

Floornature apre il sipario sulla scena di una delle città più vivaci e
creative d'Europa. Attraverso i nuovi progetti di architettura e la III edizione
della sua Biennale di Architettura, Rotterdam racconta sé stessa e indaga più in
generale sul concetto di "potere" nella città contemporanea.

L'Olanda è una portaerei ancorata alle coste del nord Europa con la plancia
di comando a Rotterdam.

Questa figura visiva è stata più volte messa in scena dalle avanguardie
radicali, ma mai metafora navale si presenta più calzante. Oggi, sulla tolda,
strani ibridi volanti stanno prendendo quota e determinano, con scelte teoriche,
gli assetti continentali.
Si tratta del Potere visionario, espresso tramite
astrazioni e teorie strategiche in forma costruita, che si sta delineando alla
3° Biennale di Architettura di Rotterdam, in svolgimento dal 24 maggio e che si
protrarrà fino a settembre del corrente 2007, anno che consacra Rotterdam città
capitale dell'architettura.

L'enunciato di fondo che anima questa manifestazione è racchiuso nella parola
Power. In sintesi è definibile come il sistema di forze producente la città
contemporanea ed è stato con molta precisione sottolineato dai curatori di
questa edizione Vedran Mimica e Joachim Declerck.
La Biennale di Rotterdam,
pur continuando le modalità di indagine antropologico-sociale che si erano
manifestate nell'omonima Biennale di Venezia precisa la tendenza in atto dello
spostamento nei prossimi cinquant'anni, di due terzi della popolazione mondiale
verso le città. Le varie sezioni della Biennale enucleano gli inevitabili
paradossi e i conflitti di gestione tra le varie forze che nell'assetto odierno
si intersecano per controllare lo sviluppo e l'immagine del "sé urbano".

"La terza Biennale di Rotterdam indaga sul concetto di potere e sulla
produzione della città contemporanea. Abbiamo posto l'idea piuttosto astratta di
potere al centro della nostra ricerca per cercare di capire quali sono le forze
che danno forma alla città contemporanea. Abbiamo lavorato con 14 giovani studi
di architettura emergenti, selezionando 14 città in tutto il mondo per
indirizzare certe tipologie di potere.
Analizzeremo il potere delle
corporazioni globalizzate, dello spettacolo e del turismo, della migrazione,
della paura ed infine il potere della rappresentazione architettonica. In questi
cinque gruppi individuiamo il futuro della città del XXI secolo e la possibilità
per l'architettura e la pianificazione urbana di avere parte attiva in questo
futuro. Ci piacerebbe, in diversi eventi della Biennale, discutere sulla
relazione tra noi, in qualità di professionisti, architetti, pianificatori che
produciamo la città e le influenze che questa ha su di noi. La neutralità delle
relazioni tra la città come artefatto e le nostre vite sarà affrontata
attraverso parallelismi e contrapposizioni in una serie di mostre,
presentazioni, mastercalsses. In tal senso crediamo che la Biennale di Rotterdam
possa rappresentare un evento interessante per animare realmente e in maniera
fondamentale il dibattito sulla città del futuro."
(Vedran Mimica)

Oggi stiamo generando il futuro "sub specie metropolitana" e quindi per la
prima volta possiamo definirci pienamente un'epoca urbana, il che comporta non
poche inadeguatezze concettuali da mettere a fuoco. Power sottintende istanze e
ruoli accumulati per una architettura-potenza che esprima vettori energetici i
cui postulati, mai dismessi della modernità, hanno il potere di generare un
reale come immanente sul futuro. Ciò significa un controllo a qualsiasi
livello/layer, o spessore reticolare o matriciale che diviene possibilità e
quindi immediatamente già fattibilità.

Power sembra dare continuità, tramite il libro Visionary Power, a quel
Delirious Nuovayorkese in cui Rem Koolhaas andava analizzando le sorti di una
modernità compiuta sulle rive del fiume Hudson, e che finalmente ancorato a
Rotterdam, sulle rive della Mosa, ora come allora, intende formulare,
tabulare... intorno all'architettura, capacità espressive ancora di
"avant-garde", escogitando le sottili visionarietà delle culture
metropolitane.

C'è un "senso di urgenza" sostengono gli organizzatori della Biennale nello
snodare i punti di partenza che si mostrano sempre graficamente, vettorialmente
come grovigli, nodi, in cui le texture sottostanti mancano autenticamente, non
possono essere completate, definite, in quanto outline prive di corporeità e
sono assenze dal/del sistema, vacanti.
Questa verità di presenze/assenze è
facilmente coglibile nei vari piani inclinati della Kunsthal, sede della
Biennale. Nel suo cuore, il Powerlounge, il morbido sofà cognitivo,
l'intellettuale europeo può fare esercizio, ogni giorno, di Powertalk aderendo o
meno alla serie di profondi paradossi che Martijn de Waal mette come intercalari
testuali nel puntuale book ricco di saggi.

Tre mostre e un seminario si snodano tra la Kunsthal, il NAI, il Netherlands
Architecture Institute e il Porto sulla Mosa: Visionary Power e The New Dutch
City da una parte, nella linea tracciata dai curatori, e A Better word- Another
Power, di altra tonalità; il seminario Form and the City, gestito da dieci
scuole di Architettura di tutto il mondo, fa della messa in forma un motore per
il rinnovamento urbano della zona sud di Rotterdam. I progetti puntano alla
realizzazione di nuove 'stazioni culturali multifunzionali' che riportino
identità in una vasta area degradata della città.

Il Berlage Institute dimostra, con questa Biennale, di essere un osservatorio
di eccellenze, interessato al movimento interno delle corde sinaptiche del
today-future. Se entriamo nel merito della mostra-libro-talk dal titolo
Visionary Power si dà conto delle forze che producono "power-affect", accusativi
d'azione, che meritano altrettanti capitoli della sequenza illustrativa che vede
migrazione - commercio - paura - turismo - rappresentanza come tassonomia
inquietante e forse illogica. Tutto ciò è dispiegato attraverso alcuni apparati
esemplari:

Città Corporate, le capitali globali, intese come pianificazioni tipiche del
controllo economico. Sono prese ad esempio la sudcoreana Busan, la cinese
Luoyang, l'americana New Jersey: nei progetti proposti la resistenza al potere
multinazionale prende la forma di una nuova critica regionalista sorretta da
ecologie sostenibili. Città spettacolo dove il turismo come forma di attrazione
spettacolarizza nuclei già ammantati tradizionalmente e dove lo sviluppo è
cristallizzato da cartoline della storia. Contro la tendenza di far diventare
Havana, Innsbruck o Roma "patrimoni dell'umanità" da proteggere, il turismo,
allora, diventa unica ironica leva progettuale. Città capitali, ovvero i luoghi
dove la città prende forma aderendo completamente alla sua rappresentabilità.
Nella kazaka Astana, una città monumentale emersa dal nulla viene ridato
contenuto collettivo all'enorme spazio statuale. La libanese Beirut, resto
invivibile risultato dell'antagonismo di troppe etnie e religioni viene
ricentrata su un nucleo simbolico, la Foresta dei Cedri. Una serie di torri
intensificano la forma urbana di Mosca, città espansa immersa nelle periferie
prefabbricate. Le proposte della Biennale quindi analizzano e sovvertono la
monotonia e le diastonie per una nuova riconoscibilità. Dal lato opposto vengono
esemplificate strutture urbane soggette al panico che si presentano come Città
nascoste. Assurgono a città disvelate la spagnola Ceuta, luogo vissuto dai molti
rifugiati marocchini in cerca di nuove collocazioni urbane in quanto l'onda
demografica imprevista genera paura e di conseguenza, arginata, segregazione;
Johannesburg è invece ancora immersa nell'antico apartheid, parti urbane dai
bordi invisibili imbozzolate dentro la città chiedono nuove rifondazioni in
grado di con-fondere confini. Infine le Città informali che si modificano
squattandosi sotto la spinta della migrazione: Mexico City, São Paulo, e la
lunga direttrice di emigrazione tra Tijana in Messico e San Diego in California
si presentano come luoghi in cui architetture pianificate si contrappongono
all'informalità e all'instabilità di improvvissate forme insediative. I nuovi
colonizzanti occupano spazi trasformando il territorio in slums, favelas e
bidonvilles. I progetti proposti dalla Biennale, invece, chiedono integrazione e
ricucitura come controllo della discriminazione.

I poteri che spingono e danno l'input a molte capitali, come migrazione,
turismo, crimine, sono sostantivi molto mobili, categorie del pensiero così
complesse da risultare incontrollabili e fuori della teoria dei tipi
architettonici. Sorge la domanda se il mediatore politico o tecnico conosca
ancora ciò di cui parla, dato che la città per un lungo periodo è stata
considerata il luogo della mediazione pubblica collettiva. Power tenta una
risposta in quanto ora si manifesta nel "delirious" del privato, come detto
nella presentazione al pubblico della mostra, e sono private tutte le
forze-poteri che agiscono sul consenso mediatico di una massa di migliaia di
persone che si affacciano giornalmente alle porte veicolari della città "gate"
con imbarchi immediati di spettatori paganti la loro stessa capacità
rappresentativa. Ecco la ragione per cui i politici, superandosi nella
demagogia, chiamano a testimoni come co-protagonisti i soggetti della scelta già
compiuta, escogitando forme derivanti da topiche neutrali.

Altri problemi di maggiore pragmaticità, giocati in casa, sono presentati
nella mostra The New Dutch City curata da Rients Dijkstra. Randstad, la nuova
'global metropolis', la città-regione dai molti centri, uniti da networks
congestionati e da un 'cuore verde' interstiziale in contrazione, sta perdendo
il suo appeal. L'obiettivo è pensare, progettare e governare ad una scala più
alta. Un terzo della popolazione olandese vive nella 'North Wing' compresa tra
Amsterdam, Almere ed Utrecht, mentre nella South Wing una ragnatela di città e
villaggi si fa sempre più intricata tra le città di The Hague, Delft e
Rotterdam. Con abilità grafica i progettisti olandesi mettono in mostra circuiti
e traiettorie in grado di connettere gli eterogenei tessuti urbani.

A Better World - Another Power, al NAI, a cura di Emiliano Gandolfi, è una
mostra che si discosta dalle esposizioni della Kunsthal oltre che per location
anche per i soggetti presenti e per i temi di cui si occupa, attraversati da
protagonisti di percorsi sperimentali che condividono volontaristicamente i
territori dell'emarginazione come atto creativo, una people boat che fiancheggia
la portaerei ancorata a Rotterdam. Una mostra ben riuscita piena di invenzioni
formali capaci di stimoli cognitivi nel visitatore e di impegni civili non
epidermici.

"A Better World è un tentativo di mettere assieme quattro gruppi di
architetti ed artisti che lavorassero sulla città con un'idea di cooperazione
tra i vari componenti sociali. I gruppi scelti sono: F.A.S.T., uno studio di
Amsterdam, interessato a denunciare a livello internazionale i casi in cui la
pianificazione viene usata come arma di segregazione. In questo caso vediamo dei
progetti in Israele dove alcuni paesi Palestinesi sono stati annientati e gli
abitanti, inizialmente trasferiti in campi profughi, hanno dovuto costantemente
lottare in maniera creativa per trovare una forma di sopravvivenza. Altro caso è
un campo profughi, un edificio a Tbilisi in Georgia, dove molte persone sono
costrette ad abitare, in un momento di crisi, segregate in uno spazio chiuso
perché la loro presenza disturba il potere centrale. Un esempio lampante è il
lavoro di Jeanne van Heeswijk e Dennis Kaspori: Jeanne è un artista di Rotterdam
e Dennis è un architetto che si sono messi assieme per condurre dei progetti
all'interno dei quartieri olandesi. Il loro obiettivo è quello di essere degli
stimolatori di processi: vanno per esempio in un quartiere periferico, come
quello di Slotervaart ad Amsterdam, abitato da turchi e marocchini, e chiedono
alle persone cosa vorrebbero.
Occupano poi uno spazio chiedendo ai bambini
di tutte le scuole del quartiere di intervenire ed aiutarli a disegnare una
piazza. In questo caso l'architetto non è più il designer, inteso come colui che
definisce una forma, ma colui che stimola un processo in cui i bambini, e in
fasi successive i diversi componenti sociali della comunità, disegnano e
definiscono cosa vogliono. L'architetto diventa semplicemente uno strumento per
definire una prospettiva migliore della città. Un altro esperimento importante è
il lavoro di Santiago Cirugeda, un architetto di Siviglia, che stranamente ha
lavorato molto più nei musei d'arte perché non riesce a trovare una piattaforma
in architettura per fare i suoi progetti. Egli cerca di capire, all'interno
delle città, quali sono i punti in cui si possa by-passare la legge per
permettere alle persone di abitare degli spazi.
La soluzione di Santiago è
quella di preparare dei kit che contengano tutto il materiale per costruire una
casa sul terreno pubblico, spesso inutilizzato e quindi privo di ogni
funzionalità. Presenta una serie di istruzioni, spesso molto dettagliate, molto
giocose, quasi un kit Ikea che permettano ad una persona di costruirsi la casa,
compresa l'assistenza legale che gli consenta di vivere in quel posto un periodo
almeno di un paio di anni prima che il comune e le autorità riescano a cacciarli
fuori. L'ultimo caso, il quarto presente in questa mostra, è un gruppo di
attivisti che si chiamano CUP - Center for Urban Pedagogy di New York. Il loro
interesse è quello soprattutto di educare le persone, di insegnargli a leggere
la città. Insegnano loro le leggi e cercano di capire come la città si sviluppa.
Le persone devono comprendere che per intervenire e scegliere una realtà
migliore è necessario conoscerne le dinamiche della città, alle quali viene
richiesta partecipazione: più ci si astrae ad una posizione di semplici
spettatori del cambiamento urbano e più si è succubi di un sistema in cui non
abbiamo parte. Molto spesso questi quartieri, quando vengono riedificati per un
processo di gentrification e quindi di ristrutturazione urbana, vengono di
solito modificati a tal punto da divenire inagibili per queste persone. Gli
abitanti sono costretti a lasciare il quartiere perché questo è stato in qualche
modo "bonificato", cacciati via perché i prezzi sono aumentati e sono diventati
troppo proibitivi. Quello che sta cercando di dire CUP è che la politica non può
rappresentare l'unica soluzione: le persone devono intervenire dal basso, gli
abitanti devono intervenire per modificare la città. Questa mostra vuole essere
una sorta di manifesto per spingere la gente a partecipare alle dinamiche della
società e a capire cosa vogliamo, altrimenti il cambiamento sarà
impossibile."
(Emiliano Gandolfi)

Rotterdam ha una vocazione internazionale! I prossimi 50 anni saranno teatro
di grandi eventi progettuali. Ora bisogna essere a Randstad per vedere sorgere
il futuro!

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