La luce combinata

di Massimiliano Falsitta

Combinare la luce è normalmente a tutt'oggi considerata un'opera da fotografo o da cineasta. Combinare la luce naturale del sole con potenti riflettori, flash o con la luce proveniente da materiali riflettenti è una caratteristica dei set fotografici e cinematografici. La luce viene miscelata al fine di riscaldarne il colore, al fine di sfumare ombre troppo scure nello spazio di un'inquadratura. Proprio i fotografi sono etimologicamente i disegnatori o addirittura gli scrittori della luce. Essi, come prima di loro i pittori sui loro modelli, ma ancor più di questi, dipingono un soggetto con la luce, programmano gli effetti luminosi in modo che questi siano i portatori di un valore semantico.La combinazione è in particolare una frontiera della progettazione illuminotecnica, non già perché si tratti di un argomento nuovo, tutt'altro. Come si è già detto questa è da tempo materia di studio da parte dei fotografi e in generale di tutti coloro che si occupano della raffigurazione di immagini tratte dal reale. Quel reale che è reso tale quale esso appare dalla luce e che nella stessa luce trova i propri effetti di infinita variabilità e in definitiva di inimmaginabilità. La combinazione è invece una frontiera per coloro che forse più di altri si occupano non tanto di raffigurare quanto proprio di realizzare dei brani di realtà spaziale cioè gli architetti e in generale i progettisti. In effetti è la combinazione stessa di naturale e artificiale ad essere di per sé la condizione che più approssima la realtà delle cose e se ne desume che in questo l'architetto è fortemente radicato ad una fenomenologia tutta introversa del fenomeno luminoso, anziché guardarsi intorno per scoprire gli effetti reali della luce nello spazio. La luce fisica, quella cioè che proviene dal sole e dalle lampade è un fenomeno dai tratti imprevedibili, essa scorre rimbalza gioca con e attraverso le ombre. Questa luce esteriore è in realtà la risposta del nostro sistema percettivo alle sollecitazioni prodotte dalle onde elettromagnetiche in una data gamma di lunghezze d'onda. Questa luce in effetti non esiste, essa è uno spettro in ultima analisi del tutto interiore. La luce al pari dell'occhio con i suoi apparati di cristallino , retina ecc. fa parte di una dotazione strumentale umana che viene proiettata sul mondo esterno ricostruendolo, attribuendogli forme e colori.Gli architetti imparano con duro lavoro e sperimentazione a fare i conti con questa entità interna ed esterna al tempo stesso. I loro progetti sono spesso assoggettati ad una luce che dovrebbe essere ordinata e girare nel corso del giorno come le lancette di un orologio, quasi che le ombre proiettate dall'architettura costruissero nelle città un'unica gigantesca meridiana segna-tempo. Ma non è così. Questa luce netta, metafisica esiste solo nella mente. La realtà è invece popolata di bagliori improvvisi, riflessi e luminescenze incontrollabili alle quali anche l'architetto si deve approssimare con il dovuto rispetto e spirito empirico.
Si potrebbe così giungere ad ipotizzare l'esistenza di due luci corrispondenti a due principi tra loro identici ed opposti: da una parte una luce mentale portatrice di chiarezza e di ordine, la luce della conoscenza e dell'immaginazione, intesa quest'ultima come strumento e tecnica del processo di invenzione; d'altra parte si può invece ipotizzare una luce fisica e reale, portatrice di un principio di infinita variabilità e leggerezza, portatrice di un'immagine di soffio divino, questa è la luce che può invece popolare i sogni e la fantasia, intesa come il momento dell'abbandono di ogni risorsa tecnica nell'ambito del processo di invenzione. Il nostro desiderio è di tracciare alcuni percorsi che introducano al vasto campo del progetto illuminotecnica, per indurre l'architetto a occuparsi della luce reale e delle sue infinite possibilità combinatorie, che per noi sono come altrettanti percorsi iniziatici attraverso i quali riuscire a scorgere finalmente la scatola di luce che è lo spazio, abbandonando l'immaginazione di terse superfici bianche, che sono solamente il piano. La luce cioè come metafora finale di una nuova quadratura del cerchio. Una nuova alchimia che attraverso l'osservazione di curve fotometriche e di inattesi effetti luministici  conduca alla percezione di un umanesimo progettuale complesso.

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Tratto da "Qualità e uso della luce", supplemento di AREA n. 63, Federico Motta Editore

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