Pulitura di superfici fortemente deteriorate

Autore testo: Giuliano Cosi

Non è infrequente che ci si trovi a dover affrontare il restauro di superfici fortemente deteriorate, presentanti ad es. estesi fenomeni d'esfoliazione o di scagliatura.
Si può intervenire con il laser (e in alcuni casi con l'aeroabrasivo), senza correre il rischio di perdere irreparabilmente delle considerevoli porzioni di materiale, ciò che non è ammesso (nonostante, purtroppo, sia ancora pratica non desueta quella di rimuovere tutto ciò che non è ben aderente alla superficie lapidea), specie se si sta intervenendo su rilievi o sculture d'importanza storico-artistica. A questo proposito poi, c'è da osservare che sono proprio le sculture e i rilievi gli elementi più deteriorati di una facciata, in quanto oltre al fatto che la pietra è stata più lavorata (la scultura, e la lavorazione meccanica in genere provoca­no un'infinità di microfratture superficiali che sono altrettanti punti deboli d'attacco chimico, e di penetrazione di soluzioni aggressive o saline), essa presenta una superficie di esposizione maggiore al degrado, per effetto della sua forma. Non a caso, ad esempio, gli spigoli, i gomiti e le parti sporgenti delle sculture sono i punti più deteriorati, essendo i siti ove l'acqua evapora preferenzial­mente e più velocemente, dove quindi i sali cristallizzano più facil­mente.
In casi difficili come quelli citati, si deve allora avere un diverso approccio, e invertire quella che è la normale successione dei tratta­menti da condurre su un edificio da restaurare: si dovrà in pratica prima consolidare la pietra e poi pulirla.
In linea di massima il criterio da seguire sarà quello di procedere gradualmente fissando le scaglie sollevate, facendole aderire al substra­to, fino ad ottenere una superficie sufficientemente consolidata sulla quale si potrà intervenire con la pulitura.
In alternativa, un sistema più semplice, ma forse meno efficace (rispetto al consolidamento che si riesce ad ottenere) consiste nel trattare a spray con una resina reversibile le sfoglie sollevate e riadagiarle progressivamente, alternando passate con resina ad altre con solvente, per mezzo di utensili di forma apposita in teflon, che si possono modellare a partire da barrette (spatole) o tondelli (premitoi) di questo materiale. Il teflon (politetrafluoroetilene) è una plastica che, oltre ad avere un'ottima resistenza agli agenti chimici, ha un altissimo angolo di contatto nei confronti di molti liquidi, tra cui le resine sintetiche in solvente, perciò non aderisce alle superfici bagnate con esse. Si evita così che toccando con strumenti di teflon le scaglie sollevate di pietra, queste aderiscano agli stessi, con il rischio di asportarle involontariamente, o di staccarle ulteriormente dalla loro sede. 
 
Fonte testo:
L. Lazzaroni, M.L. Tabasso, Il restauro della pietra, CEDAM, Padova, 1986.
G.G. Amoroso, Il restauro della pietra nell'architettura monumentale, ed. D. Flaccovio, Palermo, 1995.
La conservazione dei monumenti, atti del 1° corso di informazione ASSIRCO, Perugia, 6-7-8 novembre 1979, a cura dell'Arch. Rosanna Cazzella, edizioni Kappa, Roma, 1981.