La gestione dei rifiuti è una pratica di rimozione, equivalente alla rimozione di un trauma o un ricordo. Non si può arrivare ad altra conclusione, se si guarda al confronto delle nostre pratiche di riciclo con quelle della comunità di Kamikatzu.
Un passo indietro: una persona virtuosa, in Italia o in qualsiasi paese dell’Unione Europea, si preoccuperà dei suoi rifiuti finché non lasciano la soglia di casa. Se ne preoccuperà, se appunto virtuosa, al punto da lavare i contenitori sporchi, separare lo scotch di plastica dalle scatole di cartone, raccogliere tappi e bottiglie a parte. Una volta consegnati i sacchi ai camion o alla piattaforma ecologica, il loro futuro è un mistero. La vita continua. La gestione di quei rifiuti è, appunto, rimossa dalle nostre preoccupazioni. La loro vita è però radicalmente diversa da come la immaginiamo. È piena di falle, a partire proprio dalla comparsa dei camion: ciò che è differenziato all’origine viene spesso mischiato nel trasporto per ridurre il numero di camion, e poi separato nuovamente, male, al termine del viaggio.
La presenza di contenitori sporchi tra plastica, carta, vetro o alluminio contamina i sacchi, e impedisce di passare quei contenitori a un appropriato percorso di riciclo, spostando parte di essi verso il grigiore dell’indifferenziato. Tutto ciò che non si sa cosa sia e dove farlo finire viene incenerito o sepolto. Sepolto dove? In buchi nel terreno profondi centinaia di metri, appena fuori dalle metropoli europee. Quando uno si riempie, si passa al successivo: decine di colonne di scarti conficcate nel terreno.
In numeri: città virtuose come Barcellona riciclano il 40% dei rifiuti, il 35% è versato nei landfill, meno del 20% va agli inceneritori [la somma non è 100% poiché c’è una perdita di massa nella decomposizione della materia organica tra raccolta iniziale e destino finale, NdA]. Tutto questo è però fatto sprofondare, legato a un blocco di cemento, negli abissi al limite della nostra mente.
Il nostro io cosciente non se ne cura, e se lo fa, non ha modo di contrastarlo: l’intero sistema è progettato per togliere dagli occhi e dal cuore il problema. Non è così a Kamikatzu. Il paese di Kamikatzu è un comune di 1.500 abitanti, distribuiti in circa cinquanta gruppi di abitazioni su una grande superficie boschiva tra le montagne dell’isola di Shikoku, in Giappone. Dal 2003 ha intrapreso un percorso che entro il 2030 lo porterà a essere la prima municipalità Net Zero al mondo - e stimano di essere circa all’80% del percorso. Una delle iniziative più innovative in assoluto per raggiungere questo risultato è proprio la gestione dei rifiuti, che ha, conseguentemente, dato luogo a un progetto incredibilmente innovativo per il luogo dove avviene.
Il nome “waste center” trae, infatti, in inganno. Il nostro immaginario evoca al più un MBT: una struttura fatta di rulli trasportatori e macchine che separano i rifiuti per tipologia e dimensione; forse una piattaforma ecologica, maleodorante e fuori dal centro cittadino. Di sicuro non un centro civico a un piano, in legno, in cui si trovano un thrift shop, un birrificio indipendente, un hotel, un café, e, anche, un punto di smistamento di rifiuti. Ciò che rende straordinario questo edificio non è tuttavia il mix funzionale, bensì il principio alle sue spalle: non deve cambiare il modo in cui i rifiuti vengono gestiti, ma il modo in cui i prodotti vengono preparati, confezionati, poi consumati, e infine trasportati al termine della loro vita. L’intera catena deve essere ristrutturata, poiché l’unica soluzione al problema dell’inquinamento non è tanto gestire bene i rifiuti, quanto non generarli.
L’iniziativa, a Kamikatzu, nasce dalla necessità. Nei primi anni Duemila la dismissione dell’inceneritore pone il problema di come smaltire gli scarti degli abitanti. Il primo passo è privato, dal basso, ed è la decisione di introdurre il compostaggio dei rifiuti biologici per tutti i nuclei familiari; il secondo è invece municipale, con l’adesione al modello Net Zero. A questa scelta segue l’introduzione di nuove categorie per la raccolta differenziata: nove, poi trentaquattro, poi quarantacinque.
Il Zero Waste Center è emblema di questa iniziativa, e anzi, più ancora che emblema: traduzione letterale. Il contenuto ruota completamente attorno alle iniziative di riuso sostenibile delle materie di scarto, e il contenitore viene progettato e realizzato seguendo la stessa concezione. La struttura è interamente in legno di cedro, raccolto e lavorato da fornitori di Kamikatzu nei boschi locali, che per circa l’80% sono cedui. Le fondamenta si installano su un precedente landfill di materiali di costruzione e terreno di riporto. Più di ogni altra però, la cosa che rende riconoscibile questa vocazione è il gesto plateale delle aperture vetrate dei corpi di fabbrica chiusi.
Le pareti, infatti, sono un mosaico di infissi, forniti dalla popolazione dietro un’iniziativa di progettazione partecipata dello studio di architettura - ciascuno, preso singolarmente, è testimonianza di un brano della storia di Kamikatzu, e la loro composizione racconta lo scopo comune dei suoi abitanti: nulla va buttato. Il disegno di pianta tradisce ancor più la tensione verso il futuro di questo edificio. È inevitabile, osservandolo dall’alto, non notare che si tratta di un grande punto interrogativo. Anche in questo caso, però, l’autonomia del gesto dal suo contesto è ben radicata nelle necessità che esprime: la porzione aperta, rivolta verso strada, fornisce spazio per l’ingresso di auto e camion che si dirigono verso la zona di gestione dei rifiuti propriamente detta, collocata lungo la parte semicircolare della pianta.
Le 45 aree di differenziazione si dispongono lungo i settori circolari scanditi dai moduli strutturali, dove civili e addetti si incontrano per dividere appropriatamente i rifiuti pubblici e privati. Visitatori e abitanti del comune hanno però a loro dedicati anche il corpo di fabbrica più longilineo, nel quale si collocano le funzioni del centro civico. Il tutto si conclude, formalmente, con l’edificio distaccato, a pianta circolare, dell’hotel, con il quale si apre una domanda: siamo certi di non poter fare di più?
Scheda progetto
Architects: Hiroshi Nakamura & NAP
Location: Kamikatsu-cho, Katsuragun, Tokushima
Client: Kitajima Corporation
Area: ca. 5,600 sqm (area), ca. 1,176 sqm (built)
Completion: March 2020
Structural design: Yamada Noriaki Structural Design Office Co., Ltd
Branding, creative production and experience design: Transit General Office
Furniture design & production: Wrap architect office
Principal use: public hall
NAP team: Hiroshi Nakamura, Masaki Hirakawa, Masaya Matsushita
AWARDS: AIJ Prize 2021 Architectural Design Division, JIA 2021 Environmental Architect, Dezeen Awards 2021 sustainable building of the year, Ministry of Internal Affairs and Communications, 2021 Furusato Zukuri Awards, Grand Prize (Kamikatsu, Tokushima), KUKAN OF THE YEAR 2022, KUKAN DESIGN AWARD Sustainable Space of the Year 2022
Photos: Koji Fujii, Toreal