Adolfo Natalini, mancato ieri, è stato il cofondatore e l’animatore di Superstudio, Firenze 1966, per l’architettura radicale, in opposizione al conformismo teorico e pratico del dopoguerra, ai residui storicisti, con una forte proposta di contenuti provocatori, in parallelo -ma senza apparentamenti- con gli altri movimenti radicali degli anni ’60 Archigram, Metabolism, il pop americano e Archizoom in Italia. Un'avanguardia che non ha avuto uguali, i cui progetti sono stati accolti e pubblicati in tutto il mondo e sono esposti nei principali musei di arte contemporanea, anche recentemente in una mostra a Milano. Dagli anni ’80 ha svolto attività professionale in Italia, Germania e Olanda, con edifici dal forte carattere volumetrico, facciate in cotto con inserti in cemento bianco, dettagli e coperture sorprendenti e inusuali: un linguaggio personale e immediatamente riconoscibile, con qualche riferimento postmoderno e storico. Il grande “circus” a Helmond, gli isolati nei centri storici di Ferrara e San Marino, l’università a Siena così ben inserita, il complesso del Muzenplein a L’Aja, un vero brano di città. Tra le ultime opere il Museo dell’Opera del Duomo a Firenze, uno dei più coinvolgenti d’Italia, senza citazioni, solo per la qualità degli spazi e i criteri espositivi, che conducono a una totale riscoperta di opere già note. Natalini era un convinto assertore che l’architettura può essere solo “contemporanea” senza dimenticare la storia, ma oltre le immagini dei suoi lavori credo che bisognerebbe riscoprire il suo “fare architettura” con l’appassionato disegno dei dettagli commentati da molte note.