Aeroporto Internazionale di Kensai  

Località: Osaka
Committente: Kansai International Airport Co. Ltd.
Progetto: Renzo Piano Building Workshop
Ingegnerizzazione: Ove Arup & Partners international
Imprese di costruzione:
Joint Venture dell'Edificio del Terminal passeggeri settentrionale
(Amministratore delegato: Shin'ichi Ota)
Obayashi Corporation, Shimuzu Corporation, Fuor Daniel Japan, Toda Corporation, Okumura Corporation, Konoike Construction, Nischimatsu Corporation, Hazama Corporation, Sato Kogyo. Fudo Construction.
Joint Venture per il Terminal passeggeri meridionale
(Amministratore delegato: Mitsuhiro Onishi)
Takenaka Corporation, Kajima Corporation, Taisei Corporation, Overseas Bechtel, Fujita Corporation, Asanuma Corporation, Matsuma-Gumi Corporation, Tokyu Corporation, Tobiushima Corporation. 
Cronologia: 1990 - 1994
Dimensioni lotto:
superficie totale: 300.000 mq
lunghezza totale: 1.800 m (fronte sulla pista)
sezione: segmento di cerchio di 16,6 km di raggio

Progetto di base e progetto particolareggiato:
Consorzio per la costruzione del terminal Architetti e ingegneri:
Renzo Piano Building Workshop, Giappone
KK in collaborazione con Ove Arup & Partners International Ltd, Nikken Sekkei Ltd.
Concetto di base, analisi funzionali e progetto degli elementi mobili:
Aeroport de Paris (P. Andrei, J -M Chevalier)
Negoziati con i dipartimenti governativi, le autorità di aviazione civile e pianificazione del lato pista
Japan Airport Consultants, Inc (M. Matsumoto).
Squadra per il concorso
Progettisti: R. Piano, N. Okabe (associato incaricato), J.-P Blassel, R. Brennan,
A. Chaaya. L. Couton, R. Keiser, L. Koenig, K. McBryde, S. Planchez, R. Rolland, O. Torre, O. Touraine.
Assistiti da: G. le Breton, M. Henry, J. Letay, A. O'Carrol, M. Salerno, A. H Téménidés, N. Westphal
Ingegneri: Ove Arup & Partners international Ltd (strutture P. Rice, impianti: T. Baker).
Architetto paesaggista: M Desvigne.

Squadra per il progetto di base e il progetto particolareggiato
Progettisti: R. Piano, N. Okabe (associato incaricato),
J.-F. Blassel, A.Chavela, I. Corte, K. Fraser, R.S. Garlipp, M. Goerd, G. Hall, K. Hirano, A. Ikegamn, S. Ishida (architetto associato). A Johnson, C. Kelly, T. Kimura, S. Larsen, J. Lelay, K. Mc Bryde, T. Miyazaki, S. Nakaya, N. Takata, T. Tomuro, O Touraine, M. Turpin, M. Yamada, H. Yamaguchi, T. Yamaguchi
Ingegneri: Ove Arup & Partners International Ltd, (strutture P. Rice, impianti: T. Baker)
Architetto paesaggista: M. Desvigne
Acustica Peutz et Associés (Y Dekeyrel)
Studio della vetrata (endwall): R. Van Santen
Supervisore alla quantità: Davis Langd & Everest (C. Matby, T. Gatehouse), Futaba Quantity Surveying Co Ltd.
Paesaggio: Koung Nyunt
Squadra di supervisione del sito
Progettisti: R. Piano, N. Okabe (associato responsabile), A. Ikegami, T. dimora, P. Temere, I. Uene.
Assistiti da O. Esce. A. Ohimiao
Sviluppo della vetrata: RFR (J.-F. Blassel)
Disposizione del verde nel canyon: Toshi Keikan Sekkei Inc (S. Okumura)

'Se si osservano gli aeroporti di recente realizzazione, si potrebbe pensare che un aeroporto non è un edificio, almeno non nel senso tradizionale del termine. L'equazione che determina un aeroporto è soprattutto una combinazione di tecnologia e funzionalità e solo raramente contiene altri fondamentali parametri di progetto, quali per esempio il luogo. Questi aspetti tecnico-organizzativi sono a un grado così estremo da dover essere affidati a specialisti, che talvolta condizionano il lavoro dell'architetto in maniera determinante. Il progettista si trova così di fronte a una complicata macchina, per certi versi 'preconfezionata', alla quale è chiamato a dare un'immagine e una veste architettonica. Parrebbe essere tornati al problema degli edifici industriali del primo `900, quando si era trattato di progettare un contenitore di qualità alle macchine allora di nuova invenzione. La grande differenza rispetto a quell'epoca è che oggi l'architetto possiede i mezzi e le capacità per interagire, tramite il suo progetto, con il contenuto tecnologico del suo edificio.
L'aeroporto di Osaka, per il fatto di essere uno dei più grandi del mondo e di trovarsi in terra giapponese, ha esasperato gli aspetti descritti sopra, tanto da risultare in buona parte un lavoro di organizzazione e di coordinamento dei molti interlocutori; un lavoro tuttavia particolarmente adatto a un personaggio come Renzo Piano, dotato di capacità organizzative notevoli e di una grande passione per la sperimentazione, da anni condotta all'interno del suo Building Workshop. Un cantiere come quello di Osaka è in realtà un immenso laboratorio, reso possibile dalle dimensioni (e dunque quantità) straordinarie. E il più importante aspetto di questo lavoro di Piano ci sembra essere proprio la ricerca di sperimentazione artificiale, atopica, resasi necessaria nel corso della progettazione.
La stessa isola creata dal nulla nella baia di Osaka che ribalta ogni concetto di luogo e di preesistenza, è per certi versi atopica, ma forse più concettualmente che non fisicamente, cioè più nell'idea di isola artificiale che non nell'isola in se. Il suo Master Plan (non controllato da Piano) presenta problemi proprio nei punti chiave della sua organizzazione, cioè nell'interscambio tra mezzi pubblici o privati e l'aerostazione vera e propria. Gli edifici e le infrastrutture accessorie sono anonime e rendono triste il percorso di avvicinamento.
Il bando del concorso determinava anche la tipologia da adottare nell'aeroporto: un terminal organizzato su tre livelli principali, destinato ai voli nazionali quello centrale, alle partenze internazionali quello superiore, agli arrivi internazionali quello inferiore. All'interno di questo schema semplice, basato sulla sezione, si articola il complesso sistema dei percorsi obbligati e dei dispositivi di sicurezza. Tutto lo spazio è orientato in modo deciso in senso perpendicolare alla pista, verso la quale si apre con una grande vetrata. Sul lato terra, un ambiente a tutt'altezza è il salone principale con i check-in e i collegamenti verticali. Sul lato verso la pista -dove si trovano gli imbarchi nazionali- un altro spazio a tutt'altezza è posto dietro alla vetrata curva. Lungo la pista l'edificio del terminal presenta due ali (ospitano gli imbarchi internazionali), che ne sono la continuazione sia in prospetto sia nello spazio interno. È proprio questo spazio interno continuo, lungo 1800 metri -grazie all'incurvarsi del tetto verso le due estremità appare infinito- a colpire per la sua eccezionalità. All'eleganza e alla dinamicità del fronte verso pista fanno riscontro un retro deludente e una zona d'ingresso dimessa, quasi in accordo con le infrastrutture circostanti. Ciò nonostante l'aeroporto ha il grande merito di apparire finito in se stesso, con una propria forte identità: non è un oggetto indefinito e predisposto a futuri ampliamenti.
Tutto il progetto si sintetizza in due parti distinte: l'aeroporto con le sue componenti (in pratica il volume costruito) e un grande tetto che lo copre. Se la prima parte rappresenta quella complessa macchina funzionale di cui si parlava, la seconda parte costituisce invece il segno dell'architetto, al quale non ci dispiacerebbe poter attribuire solo questo. Allo 'zoccolo duro' egli contrappone un gesto molto leggero che si pone però a una scala decisamente superiore. La stessa sensazione si avverte in tutto il complesso, nel rapporto tra le enormi componenti della struttura e del tetto e le altre parti che sono invece a scala d'uomo.
La forma del tetto è molto complessa: la sua `onda' asimmetrica nella zona del terminal è una composizione di segmenti di cerchio, nelle due ali laterali segue una geometria toroidale. Nella direzione perpendicolare la sua sezione è un segmento di cerchio di 16,6 km di raggio, inclinato di 670° rispetto all'orizzontale. La forma della copertura nella sezione corta, quella su cui è stato studiato il progetto, è in gran parte determinata dal flusso dell'aria erogata nell'interno in modo da avere un movimento preciso che la disperde nello spazio. Strisce di soffitto ribassato appese alla struttura direzionano come condotte aperte l'aria emessa da enormi bocchettoni. L'idea della forma determinata dall'aria, simbolicamente attraente, non è nuova -il principio dell'aerodinamica- ma il fatto nuovo è che il flusso dell'aria qui avviene all'interno della forma.
La stupefacente leggerezza del tetto, che appare come un sottile velo tecnologico, è dovuta alla chiara separazione tra struttura e rivestimento. Questo rivestimento è in pannelli d'acciaio inossidabile con un trattamento speciale (sono gli stessi pannelli che qualche anno fa Piano aveva utilizzato nello Shopping Center Bercy II a Parigi). È un materiale che vibra in modo particolare sotto l'effetto della luce e, sensibile ai cambiamenti climatici, varia il suo colore dall'oro al grigio al nero. Il tetto di Kansai ricorda così le coperture tradizionali giapponesi in tegole argentee, studiato con una sensibilità sicuramente mediata da Noriaki Okabe, responsabile nello studio Piano dell'aeroporto (e già di Bercy). La trama dei pannelli e la loro standardizzazione sono anche una chiave di lettura di tutto il progetto. È prassi comune concepire un edificio dapprima nella sua struttura primaria, che stabilisce per così dire le regole, e poi applicare una pelle che a queste regole si adatta. Qui invece il principio è stato ribaltato ed è la struttura che segue la logica del rivestimento, al fine di limitare al massimo la tolleranza tra un elemento e l'altro, che è poi il limite fisico della realizzazione di un'idea teorica.
In pratica l'applicazione di 85.000 pannelli su una superficie cosi complessa come quella del tetto di Kansai imponeva un'unica dimensione e esigeva margini di aggiustamento tra essi che dovevano essere esattamente calcolati. Il problema era squisitamente geometrico, e proprio la geometria rappresenta una logica fondamentale del processo progettuale, come quella tendenza della cultura architettonica contemporanea che vede nella geometria il mezzo per l'astrazione. Anche quando Piano nel suo lavoro porta riferimenti alla natura, pensiamo che il suo sia un interesse puramente scientifico e dunque riconducibile agli aspetti geometrici. Comunque un interesse non etico ma pragmatico. Fondamentale in questo senso è stato l'apporto di Peter Rice (della Ove Arup and Partners), che sin dal Centre Pompidou ha collaborato come ingegnere strutturalista con Piano. Sia l'approfondimento del potenziale dei materiali (ricerca principale del Renzo Piano Building Workshop), sia appunto l'approccio preciso e matematico al progetto sono indirizzi professionali che in parte si devono a lui. Come a Bercy, anche a Osaka la complessità geometrica esigeva una interpretazione matematica per la quale le formule tradizionali non si sono rivelate appropriate. Si è dovuto ricorrere alla matematica topologica e alla teoria del caos (Fractal), secondo una logica contraria alla consueta razionalità di pensiero.
Quale grande opera pubblica, anche l'aeroporto di Osaka si deve porre il problema del tempo, della continuità di significato. La concezione dell'edificio affronta questa idea di durata non attraverso la solidità, ma attraverso un doppio concetto di temporaneità fisica e di continuità di valori, come succede per i templi giapponesi in legno che vengono demoliti e ricostruiti identici ogni cinquant'anni.
L'aeroporto di Osaka può essere considerato la più importante opera di Renzo Piano dopo il Centre Pompidou: a Parigi si era trattato di mettere in opera una macchina, mentre in Giappone si è trattato di dare una veste a una macchina. Ancora una volta l'architetto genovese è riuscito a trasformare l'idea razionale in poetica, con una estetica che coniuga geometria e tecnica, dimostrando a modo suo che, oggi, ha creatività passa più per la scienza che per l'arte.' Luca Gazzaniga

(tratto da 'DOMUS', 764, Ott. 1994, da p.8)