SCHEDA PROGETTO
Luogo: via Guido Reni, Roma,
Italia
Committenza: Ministero per i Beni e le AttivitÃ
culturali
Progettisti: Zaha Hadid e Patrick Schumacher
Capoprogetto Gianluca Racana
Progetto strutture: Antony Hunt
Associates OK Design Group
Progetto Impianti: OK Design
Group
Progetto Illuminotecnica: Equation
Lighting
Progetto acustico: Paul Gilleron
Acoustic
Esecuzione: Consorzio Maxxi 2006
Progettazione esecutiva-costruttiva: Studio S.P.C.
srl
Consulente miscela scc: Mario
Collepardi
Strutture in cemento: armato Ati I.C.O. srl e
Tholos srl
Carpenteria metallica e serramentistica: Lorenzon
Techmec System italia spa
Tempi progetto: 1998 -
2003
Tempi di realizzazione: 2003-2008
Superficie
costruita mq: 23.816
Volume costruito
mc:
Costo complessivo: 80 milioni di
euro
Fotografie: Roberto Galasso - DARC
L'area di cantiere e la centrale di
betonaggio
Il Museo di cemento
Il Maxxi, a Roma, il grande centro culturale che conterrà un museo per le
arti del XXI secolo e un museo dell'architettura, è uno dei cantieri italiani
più raccontati degli ultimi tempi. Forse perché è il primo cantiere italiano
dell' "archistar" irachena Zaha Hadid, o perché è il primo museo d'arte
contemporanea nazionale; sicuramente perché è stato sin dall'inizio un fenomeno
mediatico seguito e monitorato da un'istituzione, la DARC (Direzione generale
per l'architettura e l'arte contemporanee), che si è occupata della sua
comunicazione attraverso l'organizzazione di mostre, visite guidate e
pubblicazioni.
Tra tutti gli aspetti che hanno reso il cantiere Maxxi un
evento, quello che più interessa sottolineare è che si è rivelato un luogo di
sperimentazione di tecniche costruttive "nuove". Stiamo parlando, in
particolare, del largo utilizzo che si è fatto del calcestruzzo autocompattante,
meglio noto come SCC (Self Compacting Concrete): un'innovativa miscela, solo
recentemente diffusa in Italia, impiegata dalla progettista.
Il perché di un progetto e la scelta di un materiale
Obbiettivo principale del progetto, da un punto di vista urbano, era quello
di mettere in relazione due parti del quartiere Flaminio fino a ora separate dal
recinto della caserma Montello. La volontà della progettista di creare uno
spazio ricco di percorsi e connessioni, sia all'interno del museo sia in
relazione al tessuto urbano circostante, si è tradotta in un'architettura
contrassegnata dalle forme sinuose dei grandi setti curvi che riflettono la
fluidità dello spazio.
L'edificio è prevalentemente costruito in cemento con
i setti delle pareti portanti, in alcuni tratti sono inclinati, che raggiungono
lunghezze di quaranta metri e altezze di nove. Le pareti-setto assumono, di
volta in volta, configurazioni strutturali differenti; molte sono, poi, le parti
a sbalzo aggettanti (saranno rivestite in cemento fibrorinforzato anche le lame
della copertura).
Per riuscire realizzare il progetto, gli esecutori si sono
trovati a dover realizzare getti di grosse dimensioni con una grande quantità di
ferri di ampia sezione. La complessità geometrica dell'architettura in cemento,
insieme alla scelta della "faccia a vista" per quasi tutte le pareti esterne,
hanno reso indispensabile l'utilizzo dell'SCC.
I setti curvilinei
Il cemento autocompattante SCC
Il cemento SCC è una particolare miscela, inventata in Giappone alla fine
degli anni Ottanta del secolo scorso, per la costruzione di ponti, tunnel e
costruzioni industriali. Molto diffusa in oriente - si pensi ad esempio alle
superfici lisce del cemento a vista delle architetture di Tadao Ando - in Europa
l'SCC ha iniziato a comparire solamente nel 2000.
I principali vantaggi
della miscela sono:
- maggiore durevolezza nel tempo
- elevata resistenza
meccanica alla compressione (C>75)
- migliore risultato estetico garantito
dalla superficie liscia e uniforme
- massima fluidità con conseguente
capacità di infilarsi all'interno di armature anche fitte e complesse senza il
rischio che si formino segregazioni d'aria
- scarsa permeabilitÃ
Altrettanto fondamentali sono i vantaggi rispetto alla messa in opera: il
termine autocompattante, infatti, indica proprio che non necessita di interventi
di vibrazione durante il getto. Grazie alla sua fluidità , infatti, la miscela si
compatta autonomamente riducendo così il numero di persone necessarie in fase
esecutiva. Non ultimo, va sottolineata una riduzione dei rischi per gli
operatori.
Il "mix design" del Maxxi
Il termine "mix design" deriva dal fatto che la miscela dell'SCC viene
pensata e progettata di volta in volta per essere adattata alle condizioni
ambientali e architettonico-costruttive. Nel cantiere del Maxxi, sin da subito,
in seguito alle prime prove di getto eseguite in cantiere, si sono rese
necessarie una serie di prove di laboratorio, condotte sotto la guida dei
consulenti responsabili della progettazione esecutivo-costruttiva, per affinare
la composizione più adatta: una ricerca che è durata circa sei mesi (che si sono
sommati ai ritardi iniziali causati dai problemi di finanziamento
dell'opera).
Oltre che da una proporzione particolare fra acqua e cemento, la
miscela dell'SCC è caratterizzata da una serie di superfluidificanti di ultima
generazione (della famiglia degli eteri policarbossilati), di viscosizzanti (che
riducono le deformazioni da ritiro) e da un filler calcareo (carbonati macinati
finemente) che determina il colore chiaro o colorato, fondamentale per le
superfici "faccia a vista".
Nonostante sia stato studiato un mix
autocompattante, le dimensioni particolari dell'opera di Zaha Hadid hanno
imposto egualmente l'utilizzo di dispositivi vibranti, che sono stati collocati
all'esterno dei casseri. Una decisione scaturita in seguito ai risultati
ottenuti dalle numerose prove di getto (in scala 1:1) realizzate sul posto. GiÃ
nella fase di progetto del cantiere è risultata indispensabile la presenza di
una centrale di betonaggio per produrre la miscela e gettarla in opera senza
interruzioni. Le grandi dimensioni dei setti lineari prevedevano infatti getti
che raggiungevano quantità di 120 mc per una durata di 12 ore consecutive.
I grandi casseri colorati
Il Maxxi è un'opera imponente: 40.000 mq di superfici di cui 20.000 in faccia
vista. Chi abbia avuto occasione di vedere alcune delle fotografie scattate dai
numerosi "reporter da cantiere" invitati a documentare i lavori, avrà notato
l'imponenza strutturale e cromatica (il giallo e il rosso) delle opere di
banchinaggio.
Tali strutture sono frutto di un complesso progetto delle
casserature, tutte centinate e accuratamente puntellate. Una soluzione
inevitabile viste le ingenti spinte provocate dal cemento appena gettato e la
rigida prescrizione di una superficie a vista chiara e liscia.
Per ottenere
la qualità di superficie richiesta sono stati utilizzati casseri dal manto
pregiato, forniti dalla Peri, azienda leader nel campo delle casseforme, che ha
predisposto paratie in multistrato laccato prodotte su misura e utilizzate,
nella maggior parte dei casi, una sola volta.
Le opere di banchinaggio
La finitura della faccia a vista
Terminati i getti - la cui durata si è protratta nel tempo a causa delle
condizioni atmosferiche della Capitale visto che il range di temperature entro
cui realizzare le opere in calcestruzzo a vista, in modo da evitare fessurazioni
sulla superficie, deve mantenersi tra 15 °C e i 23°C - si passa alla finitura
finale. Contrariamente a quanto siamo abituati a vedere nelle architetture di
Tadao Ando o Louis Kahn, Zaha Hadid ha richiesto di sigillare tutti i fori con
fibra di cemento in modo da nasconderli: l'unica trama leggibile rimane quindi
quella delle fughe fra i diversi casseri. Per quanto riguarda la finitura
superficiale definitiva si è ancora in una fase sperimentale; per ora, i
responsabili dell'esecuzione, d'intesa con lo studio Hadid, stanno ancora
campionando delle soluzioni per il trattamento della superficie che prevede un
consolidante protettivo a base di resine eventualmente pigmentato e,
probabilmente, dato a pennello. Naturalmente la superficie dovrà ve essere
trattata con sostanze idrofobizzanti per garantirne una prolungata
esistenza.
La superficie licia del cemento
autocompattante