Architettura: ricchezza e povertà
Carlo
Quintelli

Un titolo questo che sembrerebbe portare il Festival, e
l'architettura che vi scorre, verso la dimensione dei massimi sistemi, dei
grandi spartiacque, delle categorie generali. L'istanza morale appare scaturirne
spontaneamente, come se si provasse a resuscitare alcune liaison dangeureuses
tra architettura e moralità. L'avanzare il tema, così assunto, tradisce quindi
intenzioni anacronistiche. Ma, per via strumentale, non è forse anche attraverso
un anacronismo che si riesce a rompere le convenzioni totalizzanti di un
architettura contemporanea agnostica, prevalentemente dedita al relativistico
gioco simulacrale della città spettacolo, alla prassi di un'efficienza
comunicazionale di cui si fa copertura un tecno-fantasismo progettuale
velleitario quanto pervasivo? Fuori quindi da ogni tentazione neo-ideologica, da
ogni convinzione assoluta sul ruolo etico del progetto, appare però giustificato
il richiamo ad una ricerca di significato, di funzione di un architettura che
possa appartenerci, attraverso cui poter sperare. In questa prospettiva, parlare
di ricchezza e povertà significa interrogarci innanzitutto sul substrato
concreto della realtà, e su come l'architettura ne risponde.