Arizona Science Center  

Progettista: Antoine Predock
Committente: Città di Phoenix
Destinazione d'uso: museo

Le architetture di Antoine Predock, che si collocano per la maggior parte nelle regioni occidentali degli Stati Uniti, propongono attraverso l'assemblaggio di forme scultoree e massive un'interpretazione poetica e visionaria dei paesaggi di questi luoghi, evocandone lo spirito e gli elementi, la luce e il clima, con una valenza esplicita di ritorno allo "stato di natura" e di manifestazione del senso di mistero che promana da terre ancora poco segnate dall'attività dell'uomo.
Nel "centro per la scienza" di Phoenix le caratteristiche del contesto, in una zona urbanizzata circondata da centri commerciali ed edifici pubblici - quali il Convention Center e la Symphony Hall - ma già in vista del deserto e con l'orizzonte segnato dal profilo delle montagne di Sonora, hanno guidato le scelte formali di questo particolare museo, dedicato alla comunicazione dei saperi scientifici e alla natura. Secondo Predock "il sito, pur ancora urbano, possiede un'affinità con gli ambienti post-cataclismatici della fantascienza, con il deserto inospitale che un tempo era verdeggiante e ora si è perduto. L'esuberanza dell'edificio si ispira alla natura specifica di questo sito.
L'architettura che ne risulta corrisponde a un viaggio altamente processionale e partecipativo, che inizia con una discesa verso la frescura della terra nella corte d'ingresso e nel passaggio verso l'atrio protetto dalla luce, e che culmina in una celebrazione del cielo nella sommità della galleria con la celestiale terrazza panoramica".
In effetti i volumi dell'edificio evocano, con la loro astrazione geometrica, i picchi, le valli e i canyon e le mesas dell'Arizona, creando un profilo architettonico che si manifesta esso stesso come nuovo orizzonte. Così, ai blocchi emergenti compatti e "cementizi" delle sale espositive, dell'auditorio e della sala cupolare per le proiezioni del planetario, si contrappongono le parti basse dei servizi e la piazza ribassata, ombreggiata e rinfrescata da giochi d'acqua come un patio, mentre la lunga e alta spina cuneiforme che si proietta verso il cielo, quasi fosse una rampa di lancio, con il suo rivestimento in alluminio diventa uno schermo riflettente, smaterializzato ed evanescente come un miraggio.
Nel museo di Phoenix, come negli altri progetti di Predock, ritroviamo l'attenzione per le tecniche costruttive tradizionali dei nativi del sud-ovest americano, quali l'adobe, con le imponenti masse murarie a formare uno schermo energetico passivo al clima torrido delle regioni desertiche, e l'uso dell'acqua per rinfrescare gli ambienti esterni e interni. Un insieme di pratiche consolidate in cui è possibile ritrovare una saggezza antica e dove potrebbero essere celate molte risposte ai quesiti che la società del XXI secolo pone per la propria sopravvivenza nella crescente carenza di risorse. In questo senso l'edificio del Science Center diventa in sé parte attiva dell'esposizione, quasi una struttura didattica che intuitivamente ci porta a comprendere i valori della storia e della cultura di un territorio e di un popolo.

Estratto da: MUSEI - architetture 1990-2000

									pianta generale pianta del livello inferiore
sezione longitudinale