“Under one roof”: tutto sotto un tetto, sotto un grande tetto, questo è il nome dell’Art Lab, dell’architetto giapponese Kengo Kuma molto radicato nella propria tradizione, che ha - tra le altre - tre caratteristiche permanenti: la copertura, le strutture di legno e l’orizzontalità. In tutti i periodi dell’architettura giapponese, zen, shoin, buddista, samurai, il tetto è la forma prevalente e caratterizzante, sagomato, arcuato, magari raddoppiato, aggettante, a copertura di costruzioni leggere con strutture piccole e modulari: unica parte delle costruzioni senza aperture, perché segna il forte “attacco al cielo” contro le divinità maligne (e le violente intemperie). Le strutture delle case tradizionali sono di legno - la pietra era riservata ai castelli - perché elemento di raccordo tra artificio e natura: in particolare i tetti hanno una struttura molto fitta e regolare in listelli di legno, realizzata con dettagli e tecniche di carpenteria sofisticati, tramandati nei secoli, lasciata a vista per evidenziare le sue caratteristiche e comunicare un’immagine di densità ripetitiva degli elementi che è della cultura figurativa giapponese. L’orizzontalità è propria degli edifici storici, che sono appoggiati al terreno, e in un certo senso gli appartengono; non crescono in altezza perché componenti del paesaggio in cui si immergono: l’altezza è riservata alle pagode che con sette tetti sovrapposti simboleggiano le reincarnazioni e indicano il cielo. Tetto, legno, orizzontalità: componenti dello straordinario “Impero dei segni” giapponese, uno dei più ricchi e particolari al mondo, descritto da Roland Barthes nel 1970. Kengo Kuma, che reinterpreta in chiave molto personale e a volte audace la tradizione, dichiara (Materials, structures, details, 2003) che, formatosi in un periodo di straordinario successo di Tadao Ando, lui aveva un fastidio fisico per le opere di cemento a vista, forse perché cresciuto in una casa di legno risalente a prima della guerra. Le sue opere ricercano la sintesi tra la funzione, il materiale e la tecnica costruttiva, con raffinata attenzione ai particolari, utilizzando i materiali della tradizione: legno, bambù, adobe, paglia, pergamena, ogni volta utilizzati in elementi minuti, listelli, canne, piccoli pannelli, affidando la comunicazione percettiva alla fittissima ripetitività dei moduli. L’architettura di Kengo Kuma esprime contaminazione storica e ricontestualizzazione ambientale. Kengo Kuma Associates hanno vinto il concorso per la costruzione dell’Art Lab nel 2012; l’edificio doveva chiudere il grande spazio vuoto tra il Rolex Center di Sanaa e gli edifici tecnici preesistenti. Hanno scelto di proporre un edificio lungo 235 m che appare a un unico piano, anche se ci sono piccoli spazi interni a un primo livello, un grande tetto: 3.500 m2 per il nuovo campus dell’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Losanna (EPFL).

La struttura è composta da 57 portali di legno tutti diversi anche se simili, concepiti come le centine di una barca che sostengono l’orditura, sempre di legno.
L’altra finalità del concorso era che ospitasse la galleria Technology and  Information (Data Square) con lavori svolti dagli studenti, posta nel corpo a nord, il Montreux Jazz Café con l’archivio dei festival jazz della vicina città, posto nel corpo a sud per avere un dehors aperto al sole, e il padiglione Art and Science per esposizioni temporanee, collocato nel corpo centrale. ll Montreux Jazz Café occupa la parte meridionale, la più ampia del complesso, che si affaccia sulla piazza con un salone a doppia altezza; sempre centrali, il blocco cucina e la scala di risalita, i servizi igienici e i magazzini ciechi sul lato ovest. Al primo piano una sala conferenze. Il Caffè, non è solo un salone per il cibo, ritrovo e musica, ma anche un punto dedicato agli archivi audiovisivi del Montreux Jazz Festival digitalizzati dall’EPFL, che comprendono parte della memoria dell’UNESCO (Memoria del Mondo dal 2013). Oltre a guidare la digitalizzazione e la conservazione delle registrazioni, EPFL ha progettato dispositivi per navigare, visualizzare e ascoltare gli archivi rendendoli disponibili al pubblico. Al centro lo spazio dello sviluppo, il laboratorio per sperimentare progetti per il futuro: Art & Science permette di testare le innovazioni del museo in situ, creare nuove interazioni tra i visitatori e le mostre, arricchendo l’esperienza, promuovendo la comprensione storica e simbolica di un’opera d’arte. La sala espositiva, con entrata e uscita dalla bussola trasparente a sud, sotto il portico, ha due pareti oblique verso ovest ed è a doppia altezza con copertura a vista. Sul retro, una piccola sala espositiva e un magazzino collegato al box truck, accessibile dal portico. A nord, il primo spazio dedicato alla promozione di progetti chiave di ricerca EPFL in uno spirito di condivisione di conoscenze e di interazione con il grande pubblico è stato progettato come area espositiva unitaria con ingresso principale dal portico a sud e quello secondario al livello superiore, a nord. I tre corpi sono separati da due portici passanti, coperti sempre dalla stessa copertura: il primo in asse con una strada e aperto prospetticamente verso il Rolex Center, il secondo allineato alla strada che separa il Centro dai laboratori progettati da Perrault. La copertura si sagoma leggermente in lunghezza per accompagnare l’edificio, che nella parte terminale supera un dislivello, e si allarga dalla testa nord di 5 m e da quella sud di 16 m, segnando così la sua predominanza e unicità allungandosi molto oltre l’edificio con sbalzi sulle due testate che si piegano fino a terra sostituendo la facciata.

Un tetto nero, coperto di scandole di ardesia, trovata in luogo, ma che Kengo Kuma trae dalla sua esperienza. Il progettista scrive, in L’anti oggetto nel 2008, di averle cercate per il tetto del teatro del Nô, nella foresta di Miyagi, in quanto era stato colpito da studente dal loro impiego in due edifici di Tokio, il palazzo di giustizia e la stazione ferroviaria, perché quel nero dà forza alla sagoma, la sottrae alla caratterizzazione del colore e la apparenta alla terra (e con questo si torna ai segni). Per chiudere devo notare che un edificio così specifico e particolare è stato accolto con normalità in Svizzera che negli ultimi decenni si è aperta alla architettura internazionale, con grande sensibilità per la cultura globalizzata.

STRUTTURA: 57 PORTALI DALLE FORME VARIABILI
Per sostenere la copertura sono stati progettati portali ad hoc, strutture che potessero mantenere la leggerezza progettuale, la modularità e la prefabbricazione del processo costruttivo per l’intera struttura. Si tratta di telai a sezione e profondità costanti, 12x66 cm, e larghezza variabile, costituiti da un’anima di legno lamellare accoppiata a piastre di acciaio a spessore differente e parzialmente perforate; una serie di 57 elementi a sandwich che dai 16 m del fronte sud ai 5 m di quello nord vedono tre macro tipologie a seconda del blocco da realizzare (15 per il Montreux Jazz Café, 25 Art & Science Pavilion, 17 Data Square). La maglia geometrica, ideata su un passo costante di 3,80 m, scansiona la lunghezza di 235 m secondo luci decrescenti in larghezza da sud a nord, mantenendo uniformità compositiva nei fronti longitudinali e lasciando libertà espressiva nelle testate. La peculiarità dell’involucro, costituito da tamponamenti ciechi e trasparenti, sul fronte est consiste nel delicato arretramento di 25 cm di ogni campata rispetto alla precedente che, unito alla differenza altimetrica, crescente verso nord, e alla lunghezza considerevole dell’intero impianto, danno all’Art Lab un profilo rigorosamente estroso. Le testate fanno da contro altare ai fronti; i pannelli di finitura rincorrono l’imbotte della copertura che si afferma come elemento sorprendente. La composizione della facciata dall’interno all’esterno vede una doppia lastra di cartongesso termo-insonorizzato, posato su una struttura portante di 10 cm, che raccorda i portali secondo una linea obliqua, andando a chiudere lo spazio restante con un pannello coibentato. Dopo l’intercapedine, di dimensioni variabili tra i 20-25 cm, si trova un pannello isolante OSB giustapposto alla struttura portante; ultimo strato di finitura è il rivestimento in pannelli di abete rosso, invecchiato fino a ottenere la coloritura grigio chiaro.
Oltre 200 m del fronte est verso la piazza sono scanditi dalle linee verticali dei pannelli di due larghezze diverse (120 e 45 cm) e da porzioni vetrate, munite di tende parasole. La struttura metallica di rivestimento dei portali rivela forometrie a diametro variabile e lascia intravedere la trave lamellare sottostante che, nelle testate esterne verso lo spazio pubblico, è rivestita di acciaio, all’interno dei portici di collegamento è lasciata a vista e, negli spazi espositivi, scompare dietro al cartongesso.

 

COPERTURA: FALDE SPAZZATE IN SCANDOLE DI ARDESIA
Art Lab è la traduzione architettonica dell’espressione giapponese “vivere sotto lo stesso tetto”. Tre realtà separate tra loro da portici di collegamento mantengono l’unitarietà di intenti grazie alla copertura. Le aperture generano due assi, due linee che contribuiscono a fluidificare il flusso di persone e organizzare gli edifici del campus. Osservando le sezioni delle coperture dei templi giapponesi, elementi a doppia falda stratificati nello stesso edificio, si riconosce la matrice del tetto dell’Art Lab: una copertura a sbalzo con sbracci e inclinate variabili, in cui la falda spezzata in due o più parti, sembra unificare i complessi elementi della copertura di un tempio in un solo elemento. Il pacchetto della copertura è corposo, si tratta di 80 cm, che dall’esterno all’interno sono composti da un manto in scandole di ardesia messe in opera in diagonale come da tradizione svizzero tedesca, sottostanti listelli, correnti e assito, terzere con interposto isolamento, doppia ventilazione e isolamento termoacustico. L’imbotte rivela l’assito di legno a vista che disegna con costante ripetizione la lunghezza della falda e integra il sistema di illuminazione, un punto di luce led posto tra un pannello e l’altro nell’intradosso della copertura. Il canale di gronda si dispiega lungo i fronti est e ovest assecondando il movimento della copertura e trasformandosi in conversa alla necessità. Sempre con pendenze differenti, le porzioni di copertura non ne denunciano mai la presenza: da un lato si percepisce solo il rivestimento ligneo, da sopra il canale è un continuum al manto di ardesia di cui riprende anche il colore. I pluviali, a sezione rettangolare, scendono lungo le testate dei portali, nascondendosi alla vista nei carter forati. Nella testata nord la copertura perde la sua continuità, si taglia, si impenna per riappoggiarsi a terra e la porzione di testa viene trattata con lo stesso rivestimento scuro in netto contrasto con i pannelli dell’imbotte. In quella a sud la copertura abbraccia e accompagna l’involucro chiudendolo a terra.

 

Scheda progetto
Architectural design: Kengo Kuma and Associates
Local architect: CCHETotal
Structural engineer: Ingphi (project phase) EjiriEng, Util (competition and preliminary phase)
Localizzazione: Lausanne, Switzerland
Progetto architettonico: Kengo Kuma&Associates - Javier Villar Ruiz (partner in charge) with Nicola Maniero, Rita Topa, Marc Moukarzel, Jaeyung Joo, Cristina Gimenez
Architetto locale: HolzerKoblerArchitekturen
Ingegneria strutturale: EjiriStructuralEng, Util
Consulente impianti: BuroHappold Engineering
Progetto illuminotecnico: L’ObservatoireInternationale
Ingegneria strutturale: Ingphi (project phase), EjiriEng, Util (competition and preliminary phase)
Impianti: BG IngénieurConseils
Consulenza termica e acustica: AABWoodworks, JPF Ducret
Impresa principale: Marti Construction SA
Photos: Adrien Barakat, Michel Denance, Valentin Jeck

Legno, Arketipo 114, 2017