d'Architettura 24
ITALIANI ALL'ESTERO
Arturo Frediani

a
cura di Vincenzo P. Bagnato

   Ho studiato e mi sono
laureato a Barcellona, ma già da studente avevo iniziato a lavorare per alcuni
studi di architettura di Barcellona, che sono stati per me una scuola molto più
stimolante della stessa università. Ho lavorato con Antoni Bonet, Alfred
Arribas, Joan Pascual, ma soprattutto con Elias Torres Tur e Josè Antonio
Martinez Lapeña, e con Pep Llinas.

   Lavorare con Torres
e Martinez è stato tanto stimolante quanto traumatico. Giunto in studio trovavo
sul mio tavolo schizzi, bozzetti, disegni impossibili da interpretare, tanto a
livello formale quanto funzionale: macchine strane, forme impossibili da
risolvere direttamente con le regole della geometria descrittiva; iniziavo così
a maneggiare plastici, modelli, in un modo totalmente diverso da come facevo
all'università.

   Llinas è stato una guida, un esempio
da seguire. Da lui ho ereditato tante cose, ma soprattutto un certo scetticismo
nei confronti della serietà e del rigore in architettura. Uno scetticismo che
Llinas estendeva anche a se stesso, fino a farlo diventare addirittura
autoironia quando, soffermandosi a valutare il proprio modus operandi, vi
scorgeva segnali di eccessivo rigore: iniziava a prendere le distanze
dall'oggetto del suo lavoro per liberarsi dalla seriosità di alcuni temi che
attanagliavano il progetto e lo portava ad una dimensione di giocosa banalità.

   Riconoscere l'inconsistenza di certi argomenti,
accettare la banalità come elemento d'architettura, da utilizzare però in modo
sempre maturo e consapevole, è stato per me un grande insegnamento.