HOPPE SOMMER & PARTNER, AUDIZENTRUM, VAIHINGEN, GERMANIA
Testo di Fabrizio Carboncelli
Una semivolta in acciaio, grandi vetrate, serramenti e brise-soleil in alluminio, rivestimenti metallici costituiscono gli elementi principali di un progetto studiato per essere ripetuto e costruire, in luoghi differenti, una riconoscibilità che vuole palesare attraverso la materia e la forma il valore dell'appartenenza.
L'idea che sottende l'iterazione in luoghi diversi della medesima immagine dipende, in primo luogo, dalla necessità di rendere evidente un messaggio che secondo la committenza, una nota casa automobilistica, si mostra anche attraverso l'architettura. Appunto architetture che 'appartengono' ad un'industria, una marca, che esprime come 'casa', intesa nella duplice eccezione di azienda e di luogo protetto e accogliente, un involucro tecnologico che tenta di unire sotto una stessa logica costruttiva contenitore e contenuto. La concessionaria, tipologia recente e difficilmente catalogabile, assume allora un valore di conclamata teatralità dove le aree espositive sono concepite come un vero e proprio palcoscenico popolato di attori, le automobili, disposte secondo una precisa regia ed una chiara interpretazione dei ruoli, dalle comparse al protagonista principale.
L'Audi Zentrum di Stoccarda è uno dei numerosi complessi che l'azienda tedesca ha recentemente realizzato in diverse città europee, portando a compimento un programma costruttivo di rara intensità e portata. In questa logica ogni scelta, ogni decisione, ogni dettaglio, dalla concezione dello spazio, ai materiali impiegati, fino al design degli elementi d'arredo, appare come il frutto di ponderate scelte concepite per soddisfare esigenze fondamentalmente legate alla comunicazione. Fin troppo, poiché la tecnica tende talvolta a confondersi con un esasperato tecnicismo che forse non riesce completamente a celare un duplice intento: il raggiungimento di una imprescindibile funzionalità e razionalità di tutte le parti ' espressione tecnologica ' e la contemporanea ricerca di una scenografia spaziale in grado di accontentare una clientela esigente. Ma se lo spazio ondeggia tra l'ostentazione hi-tech e una concavità di derivazione barocca, se la sezione media tra il profilo della fabbrica e lo skyline della galleria urbana, nei materiali e nell'uso degli elementi costruttivi tutto sembra ricondotto ad una unità d'intenti sorretta da un evidente pragmatismo. L'acciaio delle strutture, dei pilastri, delle travi e delle rispettive catene o tiranti, appare misurato da un curato disegno complessivo, mentre i rivestimenti delle superfici esterne con la loro ondulatura richiamano la perfezione tecnica delle prime costruzioni aeronautiche o la precisione meccanica di molti edifici metallici come lo straordinario stabilimento per generatori eolici di Francisco Mangano Belloqui.
Per i pavimenti e in generale per le superfici orizzontali lo studio Hoppe Sommer & Partner sceglie con altrettanto pragmatismo il grès porcellanato in elementi di medio formato in modo da ottenere la massima resistenza e razionalità d'impiego in tutte le aree interne contemporaneamente carrabili e pedonali (si tratta del prodotto GranitiFiandre della collezione Graniti Reali, Black Galaxy e Indian Red nel formato 45,7x45,7). Il materiale, per sue caratteristiche costitutive unisce la resistenza meccanica, rappresentata diffusamente con l'uso degli acciai, alla precisa calibratura dei pezzi espressa contemporaneamente con l'impiego di molti elementi in alluminio, dagli infissi ai frangisole. Inoltre le superfici pavimentali interne pur utilizzate con finitura levigata evidenziano una matericità ed una costanza cromatica irraggiungibile con i materiali lapidei tradizionali.
Materiali, tecniche e dettagli costruttivi tendono allora non già alla semplice costituzione dell'involucro quanto piuttosto alla volontà di esprimere attraverso se stessi una ben precisa filosofia produttiva che non ammette deviazioni da una ricerca esasperata della perfezione. Resta da chiedersi in ogni caso se l'operazione sia lecita, se cioè l'evidente stridore dell'ossimoro lecorbuseriano della casa macchina sia effettivamente perseguibile, e se, in ultima analisi l'architettura possa essere utilizzata così direttamente come strumento di marketing. Gli interrogativi ai quali rimandiamo non sono poca cosa poiché coinvolgono chiaramente una radicata concezione dei luoghi che appare sopraffatta da una più evidente identità dei prodotti che quotidianamente consumiamo e che divengono i simboli rinnovati di una nuova urbanità .
|
|