In un libro dedicato all’architettura contemporanea di Beirut non può mancare uno dei progetti che, ormai più di vent’anni fa, irruppe sulle pagine delle riviste internazionali accendendo i riflettori su quello che stava avvenendo in città e rendendo noto il suo, ai tempi poco meno che trentenne, autore. L’occasione per riparlarne oggi deriva anche dal fatto che Bernard Khoury, che inaugurò originariamente il club musicale B018 nel 1998, nel 2019 lo ha ristrutturato fortemente modificandone, dopo due decenni di attività, anche alcuni tratti della sua precedente natura. La storia di questo progetto è ricca di aneddoti e vicissitudini che, come avviene alle volte quando qualcosa o qualcuno raggiunge una forte notorietà, è stato anche oggetto di interpretazioni forzate e letture fantasiose, in alcuni casi anche totalmente irreali, che hanno però contribuito ad accrescerne la fama, soprattutto all’estero. La storia delle due vite di quella che è una delle discoteche più importanti della città parte durante gli anni della guerra civile, in cui Naji Gebrane, che era considerato ai tempi una sorta di “guru musicale”, riusciva, nonostante la situazione, a organizzare delle feste private, nel suo appartamento a nord di Beirut, che chiamava “sessioni di musicoterapia underground” a cui si accedeva digitando il codice segreto B018 sul citofono. Pochi anni dopo la fine del conflitto, essendosi costruito una reputazione e un pubblico sempre crescente, Gebrane, insieme ad alcuni amici tra cui anche il giovane Khoury, decise che era giunto il momento di spostare le sue “serate di musicoterapia” in un locale più pubblico, da costruire ex novo, che voleva diventasse rapidamente la meta della vita notturna che la città, dopo anni di sofferenza, stava aspettando. Questa vicenda si intreccia con il clima che si viveva a Beirut nei primi anni ’90, con le forti aspettative di cui erano carichi dei giovani, come Khoury, che spesso avevano scelto di rientrare nel loro Paese dopo aver studiato all’estero.

Con la fine della guerra, soprattutto loro si attendevano grandi progetti di ricostruzione, in particolare avviati da istituzioni pubbliche e governative, immaginando concorsi e dibattiti collettivi. Avendo compreso, dopo alcuni anni, che le dinamiche della ricostruzione stavano seguendo altre strade, i giovani architetti si misero a cercare altre occasioni di intervento che, nel caso di Khoury, vennero fornite proprio dall’industria dei luoghi per l’intrattenimento e il tempo libero. Grazie alla ripresa del turismo (è questo il periodo della celebre definizione del Libano come “Svizzera dell’Est”), l’industria dell’intrattenimento aveva bisogno di spazi, spesso temporanei, da costruire rapidamente, nati già con l’idea di essere demoliti e sostituiti dopo pochi anni che, paradossalmente, proprio per questa loro natura effimera, diventarono anche un terreno naturale di sperimentazione architettonica e costruttiva. Trattandosi di un’operazione imprenditoriale avviata da giovani senza grandi mezzi e non avendo la possibilità di acquistarlo, i fondatori del B018 cercarono un terreno in affitto, in una delle zone più economiche della città, con l’intento di costruirvi una discoteca caratterizzata da costi di costruzione contenuti, da realizzarsi in pochi mesi. Riuscirono a trovare un lotto nell’area chiamata “Quarantine” - Karantina nella versione più popolare -, situata nei pressi del porto (a ridosso dell’esplosione del 4 agosto 2020), già tristemente nota anche per la sua storia travagliata. Il nome deriva dal fatto che, durante il protettorato francese era il luogo di quarantena per gli equipaggi marittimi in arrivo in città. Si addensarono qui anche un gran numero di armeni in fuga dalle persecuzioni turche (che si spostarono poi nell’adiacente Burj Hammoud). In seguito, la zona divenne un campo profughi occupato da 20.000 rifugiati palestinesi, curdi e libanesi del sud, che fu completamente raso al suolo nel gennaio del 1976, durante un massacro di natura etnica, avvenuto appena dopo lo scoppio della guerra civile, proprio nell’area adiacente a dove sorge il B018. Le baracche furono demolite insieme al chilometro di muro che era nato per isolare questa zona dalla città. Ancora oggi, le cicatrici di queste storie sono ancora percepibili nella disparità tra lo scarso tessuto urbano della zona e i quartieri densamente popolati situati al di là dell’autostrada che delimita il quartiere. In tale sito dal passato drammatico, al B018 venne garantito un affitto per soli cinque anni, per cui il club sorse con la convinzione di essere temporaneo e di breve durata.

Il progetto nacque in tali condizioni e volle, proprio per questo, essere una reazione sia alla realtà difficile della storia del suo tragico sito, sia alla contraddizione di realizzare proprio qui, un luogo di intrattenimento. Scegliendo di non partecipare a quella “prevalente operazione di ingenua amnesia collettiva” che in città cercava di far dimenticare rapidamente le ferite della guerra costruendo acriticamente, il progetto reagì collocandosi sottoterra. Si scelse di rendere il B018 quasi invisibile, decidendo di non esporre un volume che emergesse dal terreno rischiando di diventare un oggetto attrattivo e retorico. L’edificio è incorporato in un disco circolare di cemento leggermente al di sopra del livello dell’asfalto e, a riposo, è quasi invisibile, con un voluto gesto di recesso. La copertura ha un’estetica che ricorda un’infrastruttura militare in disuso, quasi un residuo del conflitto civile, esteticamente dura, resistente e metallica. Gli “attori” dello spettacolo che si svolge di notte nel B018 si immergono nel terreno attraverso una scala, come se stessero entrando in un bunker residuo della guerra, e si ritrovano in un locale buio che, a tarda ora, prende vita aprendo la sua grezza copertura in pannelli metallici azionati da pistoni idraulici, stupendo e permettendo di rivelare il cielo e il paesaggio urbano. In superficie, il “bunker” è circondato da anelli di cemento e asfalto che realizzano un parcheggio circolare e concentrico. Di notte, le luci dei fari delle automobili in continuo movimento, insieme ai puntuali fari radiali posizionati a punteggiare le piazzole di sosta, si riflettono nel B018 grazie al rivestimento a specchio posto sui pannelli del tetto aperto e portano all’interno del locale la sensazione di una città in movimento, diventando un elemento essenziale dello scenario del club. Nella versione del 1998, gli interni del B018 erano scarsamente decorati, leggeri e in legno, pensati in tal modo poiché all’interno di un edificio temporaneo. Nel riprogettarlo nel 2019, si è voluta invece trasmettere l’idea di un luogo che è “sopravvissuto”, con un affitto del sito che è nel frattempo diventato permanente, sostituendo il legno con pareti, pavimenti, soffitti e arredi rivestiti in pietra, in voluta e radicale opposizione alla versione precedente. Come avviene in altre opere di Khoury vi è qui un aspetto scenografico in cui il progetto diventa anche una sorta di palcoscenico per le persone, un oggetto che nasce come reazione al contesto volendo manifestare molte delle domande e delle situazioni che lo circondano, con un’idea di “narrazione” in cui il gesto architettonico vuole prendere dei tratti della vita quotidiana e trasformarli, raccontando una storia.

TRASFORMARE UNO SPAZIO TEMPORANEO IN PERMANENTE
Come si è già avuto modo di accennare, la sede del B018 nacque come spazio temporaneo di cinque anni, che avrebbe poi portato a un’ulteriore sede, in una continua migrazione da un luogo all’altro, che sembrava essere la natura di questo spazio per la musica sperimentale inizialmente poco compreso dalle autorità cittadine. Ora come allora il club ha un’atmosfera di rave, sempre con una quantità di avventori all’interno che appare superiore alla capienza nominale, con un’offerta sonora aperta all’elettronica d’avanguardia e al dark-wave pop-rock, ma anche alla musica araba, all’acid jazz o alla World Music. Sin dal 1993 in cui iniziarono le prime feste, il club è sempre stato un luogo aperto a tutti, cristiani e musulmani, beirutini e turisti, occidentali e non. Un progetto nato per essere anche un’isola cosmopolita di resistenza all’interno di una città che vive continuamente crisi, disgrazie e difficoltà. Sia nella versione originaria che in quella rivisitata, il layout del B018 ha una configurazione fortemente simmetrica. La versione del 1998, nel suo carattere di (supposta) temporaneità, era caratterizzata da arredi in legno di mogano “disposti sul pavimento come strumenti musicali in una semplice formazione ortogonale”. Divani e poltrone imbottiti con schienali pieghevoli (apribili con una pratica maniglia a incasso collocata sulla superficie) che una volta chiusi diventavano superfici rialzate e resistenti per ballare e mettere ancora meglio in scena i performer. I tavolini bassi erano rivestiti in marmo bianco con una foto ritratto incorniciata di un musicista locale, dotata di fiori, con un rimando esplicito all’architettura cimiteriale. Il pavimento ricordava la strada esterna, in blocchetti quadrati di cemento. A completare l’insieme vi erano tende rosse e gli sgabelli scultorei del bar, fuori scala, anch’essi in mogano. Dopo vent’anni, per sottolineare l’avvenuta “sopravvivenza” e il passaggio a luogo permanente, i nuovi arredi sono stati realizzati con rivestimenti in pietra, a simboleggiare la “permanenza”, e rendono l’ambiente ancora più scuro, con elementi “gotici” che sembrano rimandare all’architettura religiosa e ai mattatoi. La nuova configurazione è meno piatta rispetto alla precedente, grazie a dei lavori di scavo che hanno permesso di abbassare l’area centrale, con arredi che consentono configurazioni flessibili, disposti su tre diversi livelli leggermente scalettati tra loro. Vi sono sgabelli e divani aperti e cabine più chiuse con cuscini in pelle dall’aspetto industriale e griglie di pietra che aggiungono interesse visivo dando un po’ di privacy ma permettendo anche agli occupanti di spiarsi a vicenda. Le parti superiori delle cabine servono anche da bancone di appoggio per chi è in piedi o seduto nelle file retrostanti. Lunghe e appariscenti lampade appese sopra a dei tavolini bianchi poste al centro della sala, che tanti hanno visto come un rimando alle spine dorsali dei vicini macelli, sono nate anche per essere “compagni di ballo per i più disinibiti”.

UNA COPERTURA APRIBILE SEMPLICE E ARTIGIANALE
Il B018 nasce come reazione al suo contesto ed è frutto di un’estetica militare e meccanica. L’idea del luogo sotterraneo, del bunker, in cui gli avventori accedono dal lato sud attraverso una rampa di scale in asse con la struttura, come se stessero scendendo in un luogo misterioso, deriva anche dall’idea di affrontare il vuoto del suo contesto. Il fatto di essere collocato in un luogo dal passato tragico che da sempre è rimasto relativamente spopolato e dove le uniche attività che vi si svolgono sono concerie, macelli, trattamento dei rifiuti, caserme e qualche industria leggera, nonostante sia situato a ridosso della pregiata zona costiera, ha portato all’idea di uno spazio in cui la vita, le luci, il movimento e la musica, scaturiscono in modo inaspettato nel cuore della notte da una buca. “Questo club è un progetto sul presente, sull’impossibilità di erigere il suo programma in questo sito… per chi capisce che c’è qualcosa di spirituale nell’atto di ballare in una città perennemente circondata dal disastro”. In questo contesto di architettura che sembrava essere effimera, Khoury vide il B018 come un’occasione per sperimentare: “da un punto di vista concettuale, un architetto può permettersi di fare certe cose, quando costruisce per un luogo temporaneo, che altrimenti non farebbe”. Uno degli aspetti più noti che ha reso possibile la realizzazione di queste idee è sicuramente il tetto apribile. Esso è costituito da quattro pannelli da 6x3 m che scorrono su ruote lungo delle travi trasversali poste sul lato corto dello spazio centrale. Questi si muovono per mezzo di pistoni idraulici con una corsa di 3 m consentendo di aprire un vuoto centrale di circa 6x12 m. Essi hanno una struttura in profilati laminati metallici e sono rivestiti da una lamiera in acciaio grezzo. Un ulteriore pannello da 4x6 m è posto invece in testa, sul lato nord, e si schiude per mezzo di un pistone idraulico dando luogo a un’apertura sopra la zona del bar. Il suo lato interno è ricoperto da pannelli in acciaio specchiato che riflettono all’esterno ciò che succede all’interno (e viceversa). Proprio la copertura mobile, ma in generale tutto il progetto del B018, nasce dalla collaborazione con artigiani locali, provenienti da ambienti diversi rispetto all’industria delle costruzioni. All’interno della sperimentazione, si vollero così testare soluzioni e idee che la maggior parte delle imprese probabilmente avrebbero ritenuto rischiose o difficili. In questo modo, si riuscì a mantenere i tempi e i costi al di sotto degli standard dell’epoca e il progetto venne costruito molto rapidamente, in soli sei mesi. Visti i notevoli carichi termici presenti nel club affollato, le macchine per il condizionamento sono consistenti e collocate sul lato nord, con una immagine esterna che riprende anch’essa una estetica di tipo militare, con canali che scorrono in ampi controsoffitti localizzati sui lati lunghi al di sotto dei pannelli di copertura che rimangono fissi.

Scheda progetto
Progettista: Bernard Khoury
Progetto prima versione: maggio 1997
Costruzione prima versione: giugno 1997 - aprile 1998
Progetto seconda versione: agosto 2018
Costruzione seconda versione: settembre 2018 - febbraio 2019
Movable roof area: 98 mq
Outer diameter: 61 m
Neighbourhood: Quarantine, Port
Photos: Ìeva Saudargaité, Jon Shard, Karim Nasser, Anne-Francoise Pélissier

Arketipo 149, Recupero, Settembre 2021