L’edificio che ospita l’Istituto Nazionale di Genetica Molecolare fa parte di tre progetti pilota per il Policlinico di Milano, realizzati negli anni attorno al 2010, propedeutici al grande intervento di ampliamento ora in atto. Il Policlinico (Ospedale Maggiore) è un polo ospedaliero molto ampio, posizionato in una zona urbana delicata, con preesistenze architettoniche rilevanti. Oltre alla Ca’ Granda del Filarete, nell’intorno si trovano anche la Torre Velasca, la basilica di San Calimero, la basilica di San Nazaro e altri importanti episodi architettonici, che seppur non posizionati nelle immediate vicinanze, strutturano un ambiente molto sensibile con cui misurarsi.
Misurarsi con il contesto è, secondo l’architetto Traldi, una delle due missioni cui un intervento di architettura contemporanea deve rispondere. L’altra missione è quella di interpretare il tema di progetto e rappresentare la destinazione dell’edificio anche tramite elementi di identità formale. In questo caso, l’intervento ospita un centro di ricerca avanzata nell’ambito della genetica. Con queste premesse, l’architetto ha configurato l’edificio come un vascello, in una raffinata metafora ripresa nei volumi, nella scelta dei materiali e nella ricerca tecnologica delle soluzioni di facciata. L’edificio infatti interpreta tre concetti chiave della ricerca scientifica: la sperimentazione (nella ricerca tecnologica), l’osservazione, ovvero la possibilità di scorgere dall’esterno le attività dei ricercatori, e la comunicazione.

L’edificio sorge su un isolato parzialmente già occupato dal giardino di pertinenza del padiglione Marangoni, un edificio storico di fine ‘600. Dall’altro lato, l’edificio affaccia su via Francesco Sforza: l’affaccio verso la città è tuttavia quello di un fronte corto e non principale, e questo aspetto ha reso particolarmente delicata la gestione del volume che si sviluppa in un volume a forma di L, con un corpo principale disposto perpendicolare a via Sforza e uno secondario di dimensioni inferiori. L’architetto ha deciso di differenziare le due facciate per rappresentare simbolicamente i due aspetti della ricerca: da un lato la trasparenza, che consente anche un grande comfort luminoso all’interno per i ricercatori, e il rapporto con il verde, evocati nella facciata continua trasparente sul giardino. Dall’altra invece, la grande facciata rivestita in pietra Giallo Provenza simboleggia la parte istituzionale, burocratica e amministrativa della ricerca, e si confronta con la città. Queste strategie hanno consentito all’architetto di definire un edificio di sembianze indubbiamente contemporanee, ma di grande rispetto per il contesto. L’edificio è modellato dai percorsi: quello orizzontale, molto visibile anche perché sottolineato da una pensilina che lo attraversa trasversalmente, collegando la hall al giardino e al fronte urbano. La vocazione ‘pubblica’ di questo percorso è integrata da una caffetteria e da un piccolo auditorium ubicati al piano terra. La prosecuzione esterna del progetto è definita da una passerella che conduce al ‘giardino’ e a una piccola piazza, ribassata rispetto al livello del giardino, che, oltre a fornire uno spazio esterno per l’incontro e la comunicazione, porta luce ai laboratori posizionati al piano seminterrato. Il percorso orizzontale attraversa l’edificio in posizione baricentrica, e lo suddivide in due parti circa equivalenti, che agevolano la distribuzione interna.

Il percorso orizzontale intercetta quello verticale, che è definito dalla grande scala di forte valore architettonico che collega tutti i piani. Ciascun piano inoltre, allo sbarco della scala, è caratterizzato da un’ampia hall: predisposta come spazio di relazione e incontro a disposizione dei ricercatori, costituendo così una ‘piazza’ verticale all’interno dell’edificio che risponde alle necessità degli utenti. Ai vari livelli dell’edificio, i solai della hall verso il giardino sono arretrati rispetto alla facciata, creando così un volume interno a tutta altezza che fa percepire l’unitarietà dell’edificio. La scala ha una struttura interamente metallica: i rivestimenti invece sono in vetro acidato e retroilluminato: di notte la scala è visibile dall’esterno attraverso la facciata a doppia pelle e ricorda la struttura a doppia elica del DNA.
La distribuzione orizzontale ai piani è articolata attorno a un corridoio a sezione quadrata, di 2,4x 2,4 m, che ospita anche gli armadietti, richiesta esplicita della committenza, e un controsoffitto ribassato che fa da dorsale impiantistica. La distribuzione interna è tale per cui tutti i laboratori affacciano sul giardino e tutti gli uffici affacciano verso il fronte urbano. La modulazione degli spazi interni è basata sul passo strutturale dell’edificio; la struttura è realizzata interamente in carpenteria metallica, con solai misti in lamiera grecata e getto collaborante.
I rivestimenti delle facciate disegnano l’aspetto dell’edificio e riflettono le funzioni interne: l’involucro è modellato principalmente dalla pietra gialla usata sulle facciate nord, nord est e sud est, dal vetro extra light per le facciate continue, dal vetro usato sulla doppia pelle in corrispondenza della hall d’ingresso e dal vetro acidato sulla scala. I colori chiari dominano anche gli interni, diffondendo la luce naturale, filtrata dall’innovativo sistema di schermatura esterna delle “ciglia” in alluminio che rendono l’involucro cangiante e dinamico a seconda della loro apertura o chiusura. La cura del dettaglio e l’approccio dell’architetto sono espliciti a tutte le scale: da quella di dettaglio, nelle scelte tecnologiche più minute, sino alle strategie generali e non tralascia nessun aspetto. Quindi, affianco a raffinate scelte relative all’alternanza dei materiali, si accompagna anche un’attenzione agli aspetti meno vistosi della progettazione. Il piano di copertura infatti è destinato a ospitare gli impianti tecnici dell’edificio e le macchine a carrello mobile per la manutenzione e la pulizia delle facciate.
I locali tecnici fanno parte del disegno dell’edificio, e sono ospitati in tre grandi volumi ellissoidali concentrici, dove trovano spazio la centrale termica, la cabina elettrica, le pompe, gli scambiatori di calore, e le UTA. I volumi sono rivestiti da una lamiera grigliata a protezione visiva. Questi volumi si integrano con l’immagine complessiva dell’edificio, disegnando grandi “nuvole” sulla copertura. Parte del piano di copertura è inoltre accessibile per eventi dedicati agli utenti dell’edificio, offrendo scorci suggestivi sulla città.

SOLUZIONI DI FACCIATA INNOVATIVE PER LA RICERCA
Il disegno delle facciate, nella filosofia complessiva del progetto, ha richiesto grande attenzione sia ai fini della composizione sia dell’ottimizzazione del bilancio energetico dell’edificio. Sono stati svolti studi sull’irraggiamento per ottimizzare l’efficienza energetica e l’illuminazione naturale. Le facciate in pietra, sul lato degli uffici verso la città, sono facciate ventilate con intercapedine da 25 cm, rivestite in pietra Giallo Provenza in lastre da 3 cm, fissate a una struttura retrostante in lega d’alluminio anodizzato, fissata a sua volta alla muratura perimetrale tramite staffe in acciaio zincato. La muratura è isolata tramite pannelli in polistirene da 5 cm. Sulle superfici della facciata comprese tra le finestre a nastro, la sottostruttura è fissata ai pannelli perimetrali prefabbricati in calcestruzzo che costituiscono parapetti e velette dei locali. Le schermature previste per le facciate in pietra sono fisse: si tratta di lastre in pietra fissate su profili tubolari rettangolari in alluminio con lunghezza variabile. La facciata verso il giardino sul quale affacciano tutti i laboratori è invece una facciata continua a montanti e traversi, con telai in profili di alluminio verniciati chiari a vista, composta da moduli rettangolari orizzontali con altezze variabili. In questo caso, le schermature sono costitute da ciglia mobili realizzate su misura, che rendono la facciata, esposta a sud-ovest, cangiante e dinamica. Il sistema di schermature è integrato con tende a rullo filtranti poste all’interno della facciata, che consentono un controllo solare completo e una riduzione di eventuale abbagliamento. Ogni modulo di facciata sull’altezza di un piano è dotato di tre ‘ciglia’ con funzione di schermi; ciascuno di essi è composto da due ‘ali’ tra loro incernierate sul lato lungo. Un sistema motorizzato consente di muovere ciascuna delle due ali a seconda della posizione più favorevole dal punto di vista energetico e illuminotecnico. Le ‘ali’ superiori sono dotate di griglie che consentono di filtrare la luce e di guardare all’esterno quando aperte. Le ciglia sono realizzate in alluminio, e sono fissate ai due lati a elementi verticali in vetro, le ‘pinne’, che fuoriescono dalla facciata; ciascun elemento è dotato di due motoriduttori che comandano il movimento delle ‘ali’.

FLESSIBILITÀ E INNOVAZIONE NEGLI SPAZI INTERNI
Un punto cruciale della progettazione dell’edificio è stato quello della flessibilità; una richiesta strettamente correlata alla funzione di ricerca scientifica, che evolve rapidamente sia in termini di strumentazione che di organizzazione del lavoro. In questo senso, due sono gli aspetti prevalenti che sono stati studiati: la struttura dell’edificio e le partizioni interne. L’edificio presenta una struttura a travi e pilastri intelaiate; le travi longitudinali presentano forometrie che consentono il passaggio impianti. Le travi trasversali secondarie sorreggono i solai in lamiera grecata e getto collaborante. L’edificio è suddiviso sulla larghezza in due campate strutturali asimmetriche: la prima, di dimensioni minori, è destinata alle attività di servizio e supporto, mentre la seconda più ampia ospita i corridoi e i laboratori, e consente una futura riorganizzazione del layout interno. I laboratori sono progettati con un modulo base di larghezza 3,3 m, permettono di essere allestiti anche con differenti layout oltre che con soluzioni ‘open space’: questa scelta risulta perfettamente adeguata rispetto al passo strutturale di 6,6 m. Le partizioni interne dei laboratori sono realizzate in pareti attrezzate modulari a secco che potranno eventualmente essere smontate e ripensate in base alle future necessità. Il laboratorio base ha quindi dimensioni di 3,3x8,2 mi, con una superficie netta di 26 mq e un’altezza interna di 3 m. Anche i controsoffitti sono stati pensati e disegnati in accordo alla logica della flessibilità: si tratta di controsoffitti a doghe in alluminio ispezionabili, disegnati insieme ai corpi illuminanti, posizionati parallelamente ai banchi di lavoro. In corrispondenza delle finestre, il controsoffitto si alza per massimizzare la luce naturale interna; il comfort luminoso è assicurato dalla combinazione degli elementi di schermatura esterni regolabili e delle tende interne.
La flessibilità è resa possibile anche dalle scelte impiantistiche, l’edificio è climatizzato da otto distinti impianti che servono le varie aree con diverse esigenze: uno degli impianti è interamente dedicato ai quattro laboratori a elevato livello di biocontenimento posizionati al quarto piano, ed è dotato di particolari filtri sia sull’immissione dell’aria che sull’emissione. Anche i quattro laboratori dove avvengono manipolazioni cellulari che compongono la Cell Factory sono considerati camere bianche o “clean room”, e sono soggetti a rigorose normative, che impongono un certo numero di ricambi orari, una filtrazione minima e un progressivo accesso al locale laboratorio attraverso una successione di ambiente via via sempre più sterili; per questa ragione, i laboratori sono mantenuti in pressione rispetto agli altri ambienti.

Scheda progetto
Committente: Fondazione IRCCS, Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena
Architetti: Alessandro Traldi, Marzio Rusconi
Development manager: Ing. Santo De Stefano, Ing. Alessandro Caviglia
JV: Politecnica Società Cooperativa Ingegneria ed Architettura - Modena Turner & Townsend Group Limited - Londra
Architectural design: Arch. Alessandro Traldi, Arch. Marzio Rusconi con la collaborazione di Erich Hoeding, Ines Mori Prendes, Giuseppe Tonelli, Giorgio Merico, Chiara Peyrani, Paolo Di Vara, Giuseppe Guglielmino, Andrea Amighetti, Luca Frova
Structural design: Politecnica Società Cooperativa Ingegneria e Architettura - Modena, Ing. Fabio Camorani
Mechanical services design: Politecnica Società Cooperativa Ingegneria e Architettura - Modena, Ing. Cavazzuti
Electrical services design: Politecnica Società Cooperativa Ingegneria e Architettura - Modena, Ing. Montorsi
Progetto Sicurezza: Politecnica Società Cooperativa Ingegneria e Architettura - Modena, Ing. Simonini
Safety design: Politecnica Società Cooperativa Ingegneria e Architettura - Modena, Ing. Fabio Camorani
Project manager: Politecnica Società Cooperativa Ingegneria e Architttura - Modena, Ing. Fabio Camorani con Ing. Barbara Frascari e Arch. Giovanni Daniele Malaguti
Artistic direction: Arch. Alessandro Traldi
Contractor: ATI costituita da Impresa Claudio Salini spa – Roma; Impresa Gastone Guerrini Costruzioni Generali spa – Torino; Barbieri Fratelli srl; Samico BRV Calor srl; Automazioni Industriali Elektronorm srl, T.S. Tecnosistemi srl, Studio Aren srl, Studio Ferrari Brocajoli srl
Anno: 2005-2012
Photos: Atelier Traldi, bruno montorsi– Politecnica Società Cooperativa Ingegneria e Architettura

Arketipo 137, Curare, aprile 2020