“Non volevamo che la cantina emergesse in alcun modo dal terreno, perché dalla tenuta la vista verso le colline maremmane e il promontorio dell’Argentario era mozzafiato e non ammetteva intrusioni di sorta”, è quanto afferma Gabriele Pinca - cofondatore insieme a Francesca Zorzetto di Ubik architecture, studio con sede a Firenze - a proposito dell’obiettivo da raggiungere insieme a WINO Srl, azienda leader del settore enologico. Ed è quanto viene icasticamente raffigurato nel primo schizzo realizzato per presentare al cliente il concept di progetto. La nuova cantina vinicola avrebbe dovuto quindi evitare ogni forma di monumentalismo e “presenzialismo” in ossequio alla bellezza del paesaggio e mostrare un atteggiamento rispettoso verso il luogo, nel quale la architettura è chiamata a integrarsi senza urlare la propria presenza, ma mostrandosi, semplicemente, come uno degli elementi che concorrono alla composizione di un paesaggio già consolidato e caratterizzato, non come l’Elemento. La nuova cantina della società agricola Tenuta Il Quinto, che si trova nel comune di Magliano in Toscana, un piccolo paese in provincia di Grosseto, è talmente integrata nella collina che quando si accede alla tenuta si vedono solo gli edifici preesistenti, nulla lascerebbe presagire la presenza di un altro edificio, peraltro non di piccole dimensioni. Il progetto di Ubik architecture sembra utilizzare alcune operazioni tipiche del paradigma della Landform Architecture, un approccio al progetto, formulato fra gli altri da Aron Betsky nel libro Landscrapers: Building with the Land (Thames & Hudson, 2005), che postula una nuova disciplina del suolo e del paesaggio nella quale l’opposizione figura/sfondo, ossia architettura emergente contrapposta al suolo-vassoio tabula rasa, viene obliterata a favore di un approccio in cui l’artefatto si raccorda al paesaggio e, attraverso le operazioni compiute sul suolo - scavi, piegature, sollevamenti, tagli, innesti, incisioni, sovrapposizioni, fusioni -, architettura e paesaggio si contaminano, si integrano, si ibridano, senza rimanere entità distinte.

In generale l’approccio della Landform Architecture verso il suolo può essere sintetizzato con i Morphosis quando affermano: “comprendemmo che non ci saremo mai più confrontati con e che avremo potuto allontanarci dalle convenzioni standard della figurasfondo, edificio e sito. Iniziammo a considerare il suolo come il centro del nostro lavoro. Ci trovammo a lavorare contemporaneamente sul suolo e sull’oggetto dal momento in cui iniziammo a considerare il suolo come condizione dinamica, parte di un flusso, in opposizione all’idea di un oggetto dinamico definito contro lo stabile sfondo di un suolo statico”1. La metafora proposta dai Morphosis è quella del surfista contrapposto allo sciatore: mentre il surfista è costretto a interagire continuamente con le onde “instabili” e deve adattarsi ed entrare in relazione con il loro incessante mutare, lo sciatore, diversamente, si confronta, in modo meno avvincente e interessante, con un suolo statico, non dinamico: un vassoio neutrale. Nel caso della cantina Il Quinto, Ubik architecture ha approfittato dello scoscendimento della collina nel versante a sud-ovest dell’area di progetto per “annidare” proprio lì la nuova architettura, rimodulando il terreno con i terrazzamenti tipici delle colline coltivate. Una volta definito il concept di progetto e l’ubicazione della cantina nel sito, l’approccio messo in campo dagli architetti è stato schietto, razionale, come conferma la sequenza di tre immagini da loro elaborata. La prima mostra un parallelepipedo di due piani, stretto e lungo, incastonato nel terreno, le cui dimensioni sono quelle strettamente necessarie per ospitare tutte le funzioni della cantina, nulla di più, nulla di meno. La seconda immagine illustra le mosse fatte da Ubik architecture: tagliano in due il parallelepipedo di partenza e traslano indietro e di lato il volume corrispondente al secondo livello, poi su quest’ultimo sovrappongono un nuovo volume più piccolo. Le semplici operazioni compiute dagli architetti sortiscono i loro effetti a livello morfologico e distributivo, come viene illustrato nella terza immagine della sequenza. La divisione e la traslazione dei volumi consentono di ridurre l’impatto dell’edificio, quasi fino a farlo scomparire, e di rimodulare il salto di quota della collina per integrare i volumi della cantina a mo’ di terrazzamenti così da “massimizzarne l’integrazione nel paesaggio, riducendo al contempo gli scavi”. Inoltre, continua Gabriele Pinca, “i suoi volumi si inseriscono nel reticolo stradale esistente ricongiungendo i vari percorsi posti a livelli diversi, così da evitare di realizzare nuove strade, nella consapevolezza che in ambito paesaggistico tali elementi possono essere più impattanti degli edifici”.

La divisione in tre del volume originario ha poi consentito agli architetti di orchestrare in modo semplice e lineare il percorso per visitare la cantina, che inizia dal volume posto più in alto, quello in prossimità degli edifici preesistenti. Esso è ubicato sotto un lembo di terra tagliato e sollevato dal terreno, la soluzione ricorda le Proposte per il concorso Trigon ’71, consistenti in una serie di tagli, incisioni e sollevamenti degli strati più superficiali del suolo, dal titolo “Grass Architecture” di Gianni Pettena, docente alla Facoltà di Architettura di Firenze all’epoca degli studi di Gabriele Pinca. Il volume dell’ingresso alla cantina ospita uno spazio di accoglienza, il negozio e la sala per la degustazione, le cui ampie vetrate consentono allo sguardo di spaziare a perdita d’occhio verso le colline maremmane. Nell’area dell’ingresso è collocata una scala, affiancata a una parete rivestita in blocchi di pietra, che conduce al livello inferiore, nel cui volume si trovano la barricaia produttiva e quella aperta al pubblico, il magazzino per lo stoccaggio del prodotto finito, la sala per l’enologo, gli archivi, l’officina/rimessaggio e dei locali tecnici. Da qui si scende attraverso una scala in metallo al livello più basso, che contiene gli spazi più tecnici e del lavoro, ossia la sala con i tini per la vinificazione, la sala per l’affinamento in vetro, la sala per l’imbottigliamento e il magazzino delle materie prime. Sempre a proposito di atteggiamento razionale e schietto, nella copertura-strada della sala contenente i tini per la vinificazione Ubik architecture ha realizzato dei boccaporti in modo tale che le uve raccolte nel periodo della vendemmia possano essere fatte cadere per gravità attraverso delle tramogge direttamente dai mezzi agricoli ai tini, semplificando e velocizzando le procedure di scarico e stoccaggio. I due volumi destinati alla barricaia e alla vinificazione si mostrano entrambi con un’unica facciata rivestita con blocchi di pietra naturale locale interrotta da vetrate, che, oltre a garantire luce in abbondanza, laddove necessario, consentono a chi lavora di mantenere sempre il contatto con il paesaggio circostante, in ossequio al quale è stato modulato tutto il progetto.

1 Morphosis Buildings and Projects 1993-1997, Rizzoli lnternational, New York 1999, Appendix 11.3.

BLOCCHI IN PIETRA E CEMENTO A VISTA
Come illustra il primo schizzo del concept di progetto, i terrazzamenti sui quali è impostata la Cantina vinicola Il Quinto sono stati definiti a partire dalle linee del paesaggio esistente, in particolare “il prospetto dell’edificio sembra rincorrere le linee dei filari”, i quali sono stati tradotti nei nastri metallici in acciaio Corten alti 60 centimetri che segnano la cantina e “cambiano - afferma Gabriele Pinca - significato nel loro scorrere, trasformandosi da strada a muro, da muro a copertura, fino a fondersi nuovamente nel reticolo viario poderale”. L’altro elemento caratterizzante le facciate della cantina sono i muri rivestiti con blocchi di pietra dello spessore di 20 centimetri, provenienti dagli scavi. La scelta di impiegare la pietra per le facciate è motivata da tre ragioni. La prima: poiché è un materiale estratto in loco, ha le stesse tinte e sfumature della terra circostante; si tratta quindi di una strategia che attraverso il colore mira a confermare l’obiettivo di progetto, ossia “fondere” il nuovo edificio con il paesaggio e le preesistenze senza farlo emergere. Seconda ragione: è una soluzione sostenibile, perché le pietre sono, letteralmente, materiali a chilometro zero. Terza ragione: il muro è stato realizzato ricorrendo alle tradizioni costruttive locali, altro omaggio al genius loci. Veniamo ora alle scelte costruttive. Le fondazioni sono a platea. La struttura portante perimetrale dei volumi è lineare, in setti di cemento armato gettato in opera dello spessore di 30 centimetri. Nel livello più basso della lavorazione le due partizioni longitudinali interne, ossia quella che divide la sala dell’affinamento in vetro del vino dallo scannafosso e quella che divide la stessa sala da quella della vinificazione, sono in pilastri di cemento armato combinati con murature pluristrato con isolamento in intercapedine rifinite a intonaco dello spessore complessivo di 32,5 centimetri. Le stesse soluzioni sono adottate nel livello intermedio delle barricaie. Le maggior parte delle partizioni trasversali sono state realizzate con blocchi di laterizio dello spessore di 20 centimetri rifinite a intonaco. Le pareti e le tramezze interne delle barricaie sono state isolate come se si affacciassero verso l’esterno, per garantire una temperatura di 17 °C e un’umidità dell’80% costanti durante tutto l’anno. I solai sono a piastra in cemento armato gettato in opera. Tutte le coperture della cantina sono a verde intensivo e il loro spessore è adeguato alla piantumazione di arbusti e fiori le cui essenze locali garantiscono un’adeguata integrazione con la vegetazione circostante e i suoi colori. Per quanto possibile gli architetti hanno cercato di utilizzare i materiali in modo “sincero”, lasciandoli così come sono o come vengono realizzati: i blocchi in pietra per il rivestimento delle facciate, il cemento a faccia vista per i setti e i solai.

Scheda progetto
Client: Tenuta il Quinto
Project leader: WINO srl
Project type: winery
Design year: design November 2018 - July 2019
Construction: July 2019 - May 2021
Photos: Alessandra Chemollo, Filippo Romani

Arketipo 170, Hypogeum, dicembre 2023