Ritratti – Secondo l'architetto piemontese, è fondamentale abbinare libertà creativa e attenzione ai gusti del cliente

Gianmarco Cavagnino è un architetto sui generis, che utilizza il colore partendo dagli aspetti emozionali e artistici del progetto. Un modo intimo d'interrogare la realtà, tipico di chi, come Cavagnino, ammette di «essere mosso da una volontà di ricerca continua». Come quella che nel 1989, dopo la laurea in Progettazione ambientale al Politecnico di Torino e un anno di leva presso l'Arma dei Carabinieri, l'ha spinto a fuggire dalla vita che il padre Dino - geometra di Canelli - s'immaginava per lui.
Non riuscendo a figurarsi impiegato nello studio paterno, «mi sono pagato un master in design e comunicazione alla Domus Academy di Milano, che mi ha permesso di entrare in contatto con persone come Aldo Cibic e raggiungere la convinzione che potevo andarmene da Canelli quando volevo». Così, presa coscienza «che niente è dovuto e tutto va conquistato», Cavagnino ha trovato sé stesso mentre cercava altro.

Da qui la scelta d'interrogarsi sull'anima delle persone divenendo quello che, su più riviste, è stato battezzato come uno “psicologo delle emozioni”.
«Ogni lavoro - ci racconta - è individuale. Il bagno, ad esempio, deve possedere i suoi profumi e riflettere i gusti di chi lo deve vivere. Un obiettivo raggiungibile solo essendo libero da contaminazioni e pregiudizi». Un po' come avvenuto per la realizzazione delle 110 camere dell'hotel a cinque stelle nel centro di San Pietroburgo, che Cavagnino si è aggiudicato nel dicembre 2006 vincendo il concorso internazionale Domina Peter. Dopo importanti commesse a Venezia e Portofino, il lavoro sta proseguendo a Santa Flavia, vicino a Bagheria, in Sicilia, «dove stiamo trasformando le 400 stanze di un “ecomostro” costruito sul mare in un vero e proprio parco a tema, che richiama gli aspetti positivi e giocosi dell'Italia della Dolce Vita felliniana».

Non senza conseguenze di metodo. «Mi accorgo - ammette Cavagnino - di essermi lasciato ormai contaminare da questo tipo di progetti, tanto che comincio a farmi coinvolgere nei difetti strutturali di un ambiente delicato come il bagno, in cui la manutenzione direttamente collegata al tema dell'acqua rimane un aspetto fondamentale, che a volte mina gli elementi di divertimento che preferirei far emergere».
Esattamente com'è avvenuto nella riconversione in hotel della veneziana Ca' Zusto, edificio bizantino del 1300 inaugurato l'estate di tre anni fa, dove Cavagnino, sopraggiungendo sul lavoro di altri progettisti, ha concretizzato l'idea del sociologo danese Rolfi Hansen, «per il quale è meglio un artista che narra delle storie, che un design progettista rigoroso che nulla sa di ciò che lo circonda».

«Per riuscirvi - afferma Cavagnino - devo conoscere la persona per la quale devo progettare il colore di uno spazio: sapere chi è, dove vive, che lavoro fa, com'è la sua casa, quali sono gli odori che gli piacciono, i cibi che mangia, la musica che ascolta e così via. In questo modo, posso creare una storia, un involucro che permea il mio progetto».
Con convinzioni così estreme da credere «nella necessità di capitalizzare i miei progetti lavorando anche a titolo gratuito», non stupisce che sia il passaparola, la leva che sta facendo conoscere l'opera di Cavagnino in Italia e nel mondo. «Il mio primo progetto importante - ricorda - è stato eseguito gratuitamente per la casa di un amico.

Nel 2004, una delle abitazioni che ho realizzato è stata vista da Marco Valente, di Valente Gioielli, che mi ha offerto la responsabilità artistica per la progettazione di tutti i negozi e degli spazi vendita e rappresentanza a Milano e, in seguito, a Lugano, Kiev e Dubai. A loro volta, le realizzazioni presso alcuni privati a Riga, in Lettonia, mi hanno aperto le porte nel 2006 alla creazione di un intero quartiere per residenze, uffici e negozi su un'area industriale dell'800 di circa 50mila mq nella medesima città».
Bisogna allora essere grati all'amico avvocato che, alcuni anni fa, ha iniziato Cavagnino alla musica esoterica spronandolo a una ricerca costante dell'eccellenza «che, proprio come nel campo del colore, permette di sviluppare una sensibilità tale da intravedere in un marrone tutte le componenti di quella tonalità, cogliendo un determinato viola e un certo tipo di rosso che ci fanno sentire e vedere meglio», soprattutto in considerazione di un dato ormai scientificamente assodato, «ossia che il colore è energia e non solo mera materia».