Nel suo Giornale di Bordo, Renzo Piano evidenzia a più riprese come il rapporto con il mare abbia contribuito in maniera determinante a plasmare una sensibilità rispetto ad aspetti immateriali della sua poetica, quali il fascino per l’esplorazione, l’attenzione alla vibrazione della luce e l’anelito alla leggerezza. Tutti questi elementi si ritrovano nel Centro Botín di Santander, esempio più recente di una feconda serie di edifici che l’architetto ha realizzato in stretta correlazione con l’acqua.
Direttamente affacciato sulla baia di Santander, il Centro, da un lato, richiama suggestioni di tipo acquatico e navale, evocando le immagini della chiglia di una barca, o di un animale marino squamato, oppure ancora di due sassi levigati dalle onde; dall’altro, riallaccia il rapporto fra la densa città storica e il mare, mediato dalla vegetazione dei Jardines de Pereda e precedentemente impedito dalla presenza di un’importante arteria viaria. Come un’astronave gentile (quanta differenza rispetto al provocatorio atterraggio del Centre Pompidou nel Marais di Parigi quarant’anni addietro), i volumi del Centro Botín si posano proprio lungo il bordo della banchina esistente, ancorati alla terraferma, ma al tempo stesso slanciati verso l’acqua. Questa collocazione permette all’edificio una certa autonomia formale rispetto all’artificio geometrico della città. Come di consueto, tuttavia, Renzo Piano sfugge abilmente al rischio della classificazione estetica, e il Centro Botín assume caratteri diversi a seconda del punto di vista. Se dal mare, infatti, l’edificio presenta una forma forte, emergendo dinamicamente dal fondale compatto del centro storico, provenendo dalla città l’approccio è improntato alla massima discrezione. La priorità era quella di non interrompere la vista del mare per i pedoni e di non entrare in competizione con la lussureggiante vegetazione degli storici Jardines de Pereda, aperti nel 1905 e ampliati in occasione di questo intervento. Il Centro, che nelle parole di Renzo Piano doveva “volare”, è quindi sollevato su esili pilastri, che si mimetizzano con i tronchi degli alberi, e i suoi volumi non superano l’altezza delle loro chiome.

La correlazione del Centro Botín con il contesto, però, va oltre questi aspetti fisici, e si manifesta anche attraverso la sua reazione agli elementi immateriali del luogo. Il carapace che avvolge l’edificio, rivestito con 280.000 dischi di ceramica smaltata dalla forma tondeggiante, cattura e moltiplica le vibrazioni di luce generate dai riflessi del sole sull’acqua della baia e riflette la luce del cielo della Cantabria, spesso di un caratteristico grigio metallico. Inoltre, il Centro fornisce una risposta specifica anche al clima locale, restituendo alla città uno spazio pubblico protetto sia dalle frequenti precipitazioni che dall’intenso sole estivo. L’idea di donare alla città uno spazio per l’arte, la cultura e la formazione nasce da Emilio Botín, presidente del Banco Santander, che ne finanzia la realizzazione tramite la Fondazione Botín, dal 1964 una delle più importanti fondazioni private spagnole. Coerentemente con la missione della Fondazione, il Centro ospita gallerie espositive e spazi per la formazione in due volumi dalla forma arrotondata, laboriosamente affinata per garantire condizioni ottimali di illuminazione degli spazi coperti al piano terra e una vista il più possibile libera della baia dai Jardines de Pereda.
Il volume a est, di dimensioni minori, ospita le funzioni più pubbliche, quali un auditorium polifunzionale a doppia altezza per conferenze, concerti e cerimonie e un centro educativo, mentre quello a ovest accoglie il museo, con un doppio affaccio sia sul mare che sul parco. Il livello superiore è illuminato zenitalmente grazie a una copertura vetrata, che si iscrive nella lunga genealogia di raffinate soluzioni espositive sviluppate negli anni dal Renzo Piano Building Workshop. In questo caso, il sistema è composto da quattro livelli: uno esterno, composto da lame di vetro serigrafato per ridurre l’incidenza della radiazione diretta, un secondo strato composto da pannelli di vetrocamera, che assicura impermeabilizzazione e isolamento termico, un terzo strato composto da piccole lame di alluminio mobili, controllate da un sistema di sensori che garantiscono la flessibilità dei livelli di illuminazione, e, per ultima, sotto le travi principali, una tela bianca traslucida, che uniforma lo spazio e diffonde la luce lasciando intravedere la complessa struttura del tetto.

In qualche modo, il Centro Botín completa un trittico di edifici culturali affacciati sull’acqua lungo la costa nord della penisola iberica, assieme al Kursaal di Rafael Moneo a San Sebastián (1999) e al celeberrimo Museo Guggenheim di Frank Gehry a Bilbao (1997). L’inevitabile confronto con quest’ultimo rivela che, se da un lato il museo di Bilbao apriva, in un periodo di espansione economica, la stagione degli edifici-icona, il Centro Botín incarna opportunamente lo Zeitgeist di un’Europa più sobria per necessità. Renzo Piano dimostra, con la sua serena maturità, come sia possibile progettare un’opera dal carattere forte, ma in grado di inserirsi nel contesto con discrezione e una naturalezza quasi disarmante. A Santander, Renzo Piano torna all’uso del “pezzo” come invenzione e simbolo del tutto, che combina tradizione e tecnica in oggetti dove forma e funzione si fondono: i dischi ceramici, elementi di piccola scala ripetuti innumerevoli volte, conferiscono ai volumi astratti del Centro la tattilità della loro produzione artigianale. Lungi dall’essere esibite con compiacimento, la prodezza tecnica e l’espressione tettonica della costruzione sono qui funzionali all’idea di catturare gli elementi immateriali del luogo, diluendo così il Centro Botín nella luce rarefatta della Cantabria.

LA FACCIATA CERAMICA
Oltre alla tenuta all’acqua e agli altri requisiti tecnici, il sistema di facciata doveva garantire, da un lato, la realizzazione della forma organica prevista per i due lobi del Centro Botín, derivante da una combinazione di superfici piane e curve; dall’altro, il supporto dei 280.000 dischi ceramici in modo da valorizzarne l’importanza architettonica senza distrazioni dovute a dispositivi di ancoraggio troppo visibili. Grazie a un intenso scambio fra progettisti architettonici, consulenti ingegneristici e produttori, si è pervenuti a una soluzione che combina progettazione digitale, processi artigianali e produzione seriale in un risultato finale di apparente semplicità. Il sistema costruttivo si basa sulla combinazione fra un sistema di chiusura standard, che garantisce il supporto meccanico, l’isolamento termico e la tenuta all’acqua e all’aria, e un sistema sviluppato su misura per il sostegno dei dischi ceramici. L’involucro a tenuta è impostato su un piano continuo di lamiera grecata, sul quale sono ancorati, tramite clip di poliammide, pannelli pro lati di alluminio a giunto aggraffato meccanicamente. Su tali giunti si ancora, ogni 336 mm, un profilo di alluminio sul quale se ne innesta un secondo continuo, disposto in verticale; la connessione fra questi due profili consente la regolazione geometrica della superficie esterna d’involucro e le dilatazioni termiche. Su tali costole verticali si fissano poi delle bande pro late di alluminio, dotate di laccatura speciale per l’ambiente marino aggressivo e preforate in corrispondenza dell’attacco dei dischi di ceramica. Questi ultimi, prodotti dalla celebre Cerámica Cumella, sono elementi di diametro standard pari a 156 mm, realizzati in grès cotto ad alta temperatura (1.250 °C) e a basso assorbimento d’acqua (< 2%). I dischi ceramici sono smaltati a due riprese, prima con uno smalto feldspatico bianco brillante e successivamente con un trattamento iridescente che conferisce loro un caratteristico aspetto madreperlaceo. Sul retro dei dischi si trova un alloggiamento per il fissaggio di una barra filettata tramite resina: ogni elemento è stato poi individualmente avvitato sui nastri di alluminio di supporto con un apposito attrezzo. Tale sistema di fissaggio su misura è stato preventivamente testato in termini di durabilità e di resistenza meccanica allo strappo e a fatica. I 280.000 dischi sono stati disposti in linea retta, mantenendo l’equidistanza in verticale e in diagonale su tutte le superfici piane e a curvatura semplice. Nelle zone a doppia curvatura, invece, per mantenere l’omogeneità visiva del rivestimento è stato necessario variare leggermente il diametro dei dischi, arrivando a un totale di cinque misure differenti.

LA SPINA DI CIRCOLAZIONE CENTRALE
L’accesso ai volumi sopraelevati del Centro Botín avviene attraverso una struttura di circolazione centrale costituita da una carpenteria metallica a vista e da solette di vetro traslucido. Qui la costruzione, ridotta ai suoi elementi essenziali, si ritira in secondo piano per consentire ai visitatori di godere pienamente della luce e della brezza della baia, in particolare sul cosiddetto “trampolino”, che si protende sul mare per 20 m, di cui 9 interamente a sbalzo. Le leggere passerelle di acciaio e vetro definiscono una nuova piazza in quota, interamente pubblica, dalla quale si accede ai due corpi del centro culturale per mezzo di scale e ascensori esterni. Il movimento dei visitatori, completamente rivelato all’osservatore, diventa quindi un elemento centrale, secondo una poetica progettuale già sperimentata per il Centre Pompidou e, più recentemente, per la nuova sede del Whitney Museum nel Meatpacking District di New York. La piazza pubblica, luogo di transito obbligato per accedere alle funzioni del Centro Botín, costituisce quindi un vero e proprio hub sociale. Nei giorni di maggiore affluenza, le scale sono così animate da aver suggerito l’adozione del soprannome “Pachinko”, il famoso gioco d’azzardo giapponese basato sul movimento frenetico e imprevedibile di una pallina all’interno di una macchina.

Scheda progetto
Progettisti
: Renzo Piano Building Workshop in collaboration with Luis Vidal + Architects
Committente: Fundación Botín
Design and construction period: 2010 - 2017
Gross surface: 6.823 m2
Localizzazione: Santander, Spain

Gruppo di progetto: E. Baglietto, M. Carroll (partners in charge), F. Becchi (associate in charge), S. Lafranconi, M. Monti, R. Parodi, L. Simonelli with M. Cagnazzo, P. Carrera, S. Ishida (partner), M. Menardo, A. Morselli, S. Polotti and I. Coseriu, P. Fiserova, V. Gareri, S. Malosikova, T. Wozniak, A. Zambrano; F. Terranova, F. Cappellini, I. Corsaro (models)
Consultants: Dýnamis, Arup, Typsa (structure); Arup, Typsa (MEP, façade); Müller-BBM (acoustics); artec3 Studio, Arup (lighting); Gleeds, Typsa (cost consultant); Fernando Caruncho (landscape)
Responsabile di progetto: Bovis
Committente: Fundación Botín
Superficie galleria: 2.485 m2
Photos: Enrico Cano, Roland Halbe

Arketipo 118, Acqua, Marzo 2018