Confronto tra Paolo Portoghesi e Guglielmo Monti
a cura di Michela de Poli

Paolo Portoghesi
Ho dedicato buona parte della mia vita a studiare, scrivere, insegnare la storia della architettura di cui, a mio modo di vedere, la storia del paesaggio è parte integrante e quindi mi ritengo in piena sintonia con l'azione di tutela svolta dalle Soprintendenze. In tempi recenti, però, il Ministero dei Beni Culturali è diventato Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Gli aggettivi "ambientali e demo-antropoplogici", aggiunti ai Beni Culturali nel titolo delle Soprintendenze, hanno creato il problema della estensione della tutela a tutto ciò che è "testimonianza" demo-antropologica. E che cosa non rientra in questa categoria? In Italia nemmeno un sasso; di qui l'idea che tutto vada tutelato rigidamene in quanto "testimonianza" del passato o del presente. L'avvenire, a questo punto, è ipotecato a vantaggio di un qualsiasi passato, anche recentissimo. E le attività culturali? Cioè la creazione di nuovi beni culturali? Si è creata una direzione generale che si occupa soprattutto di vincoli e di archivi. Non credo che Monti, collaboratore di "Controspazio" quando ne ero direttore, e quindi insieme a me nella battaglia per una nuova architettura basata sulla analisi urbana e territoriale, ritenga giusto che si debba congelare tutto ciò che testimonia qualcosa di interessante: gli esempi tedeschi di cui si è parlato non sono nati da iniziative vincolistiche, ma da iniziative culturali autonome. Congelare un paesaggio agricolo, anche quando ha un indiscutibile valore, è quasi impossibile, perché il mutamento delle tecniche agricole incide in modo drammatico sulla sua immagine.