Coperture e paesaggio

Testo di Alfonso Acocella
 
Non è dato evocare città, luoghi, manufatti senza essere ricondotti a forme, materiali, colori.
Il materiale da costruzione si è sempre configurato come elemento di trasformazione (in direzione, a volte, dell'integrazione, altre, dell'opposizione) rispetto all'ambiente antropizzato, assumendo comunque sempre un ruolo centrale nella definizione dell'immagine paesaggistica o urbana.
In genere il materiale dominante (sotto il profilo della 'disponibilità') di un luogo - sia esso stato terra, pietra, laterizio, legno - ha influenzato, nel tempo, la sensibilità percettiva e le stesse capacità di invenzione dell'uomo dando vita a peculiari culture locali d'uso dei materiali trasferendoli spesso dall'ambiente naturale all'ambiente costruito. Indubbiamente non si è trattato sempre di un rapporto lineare, deterministico fra risorse disponibili in loco e uso dei materiali per la costruzione degli insediamenti, questo sia perché in alcuni luoghi si è potuto scegliere fra materiali diversi, sia perché gli stessi materiali (o i loro derivati per l'edilizia) hanno dato vita, nel corso della storia, ad una sorta di migrazione, di irraggiamento geografico ben oltre i tradizionali e consolidati luoghi di produzione soggetti anch'essi alle mutevoli situazioni indotte dai vari cicli storici ed economici.
Nel passato, comunque, l'uso continuato e prevalente, per generazioni e generazioni, di materiali abituali reperibili in loco - vere risorse dell'economia edilizia urbana - ha, in genere, attivato tecniche esecutive, sensibilità estetiche, culture omogenee e condivise dalle collettività sia pur diversificate, spesso, per ambito territoriale o regionale.

Ad alcune aree geografiche (o specifiche civiltà) ha corrisposto, in genere, un uso più marcato e diffuso, a volte, delle pietre, altre, dei laterizi, altre ancora, del legno, o anche la combinazione delle diverse essenze materiche.
Tutta l'Italia, specialmente se riguardata attraverso le sue mirabili città e i suoi paesi storici, è uno straordinario campionario per chi voglia applicarsi a studiare il rapporto di interazione - mai meccanico o causale - fra le risorse del luogo e le capacità trasformative, configurative dell'uomo.
Immersi negli insediamenti storici d'Italia, gettato che si è lo sguardo sulle immagini urbane stratificatisi lentamente, non vi è dubbio che il materiale (i materiali) ricomposto a formare oggetti, manufatti, spazi pubblici (quali piazze, strade, portici, tetti) salta agli occhi prima di qualsiasi altro elemento della composizione urbana. Materiali con i loro colori, la loro grana, il loro linguaggio, che ci parlano di una sapienza costruttiva e di equilibrio ambientale oggi spesso dimenticato.

Poi, nel XX secolo, la lunga parentesi modernista sembra aver voluto dimenticare questi valori, queste qualità del costruito storico. Sino alle soglie degli anni Ottanta del secolo appena conclusosi l'ideologia pervasiva della mutazione continua dell'ambiente, intesa come spirito vitale dei 'tempi nuovi', ha regnato nella mentalità degli architetti e degli urbanisti. Per decenni tutto è avvenuto velocemente, tutto si è trasformato attraverso meccanismi di ubiquità e aspazialità alimentati dall'idea di modernità, di innovazione spregiudicata dell'architettura (e dell'ambiente in genere) come se il territorio, le città, i paesi consegnatici dai nostri predecessori fossero totalmente sprovvisti di valori, di immagini urbane da preservare ed eventualmente da sviluppare in chiave di una modernità dotata di memoria, di continuità rispetto al passato. Progressivamente, a partire dall'azione di posizioni culturali minoritarie (quali il movimento per la conservazione dei centri storici, gli studi tipo-morfologici sulle città antiche, le prime riflessioni storiografiche non più agiografiche rispetto all'esperienza del 'moderno' ecc.) la stessa cultura progettuale sembra spinta a produrre, sia pur tardivamente, una riflessione critica che investe i propri modelli e le proprie tecniche di intervento nella città e nel territorio.

La ricerca progettuale - dopo decenni di sostegno ideologico e strumentale alla trasformazione del territorio e delle città effettuate a partire dalla posizione di innovazione, di perenne ricominciamento - riscopre il valore delle stratificazioni del costruito storico valutabili come tracce su cui rinnestare il proprio operare. La nozione di appartenenza ' a un territorio, a una cultura urbana, a un luogo specifico ' si impone con forza sempre più evidente rispetto all'idea di tabula rasa, di spazio omogeneamente plasmabile attraverso tecniche e modelli indifferenti ai siti e alle tradizioni.
Sempre più nello spirito dei luoghi urbani si riconosce l'importanza della diversa fisicità, apparenza e invecchiamento dei materiali; in questa direzione si è definitivamente messa da parte la fiduciosa ed incondizionata delega in bianco accordata nel recente passato ai prodotti artificiali della produzione tecnologica moderna, riesprimendo un rinnovato apprezzamento per i materiali storici unitamente agli elementi costruttivi di tradizione (fra cui anche l'articolato ventaglio di soluzioni morfologiche e materiche dei tetti a falda) capaci di assicurare da soli, se non 'valori architettonici', sicuramente una più elevata 'compatibilità ambientale'.

In passato, per secoli, dal materiale di copertura è stato possibile risalire alla zona geografica di appartenenenza dell'architettura: così lastre di pietra e scandole di legno per le aree alpine e montane in genere, ardesia nera o grigia lungo le coste liguri, tetti di canne o paglia nelle zone palustri come nel delta del Po, tegole e coppi in terracotta per quasi tutto il restante territorio nazionale, tetti piani praticabili per alcune aree costiere e insulari del meridione, coperture metalliche in rame o in bronzo come casi eccezionali nell'edilizia monumentale urbana.
Nello scenario ambientale degli insediamenti storici italiani il ruolo svolto dal paesaggio dei tetti non appare di poca importanza visto il forte impatto che esercita il 'profilo superiore' sia delle architetture monumentali che dell'edilizia seriale, quest'ultima più dimessa e uniforme ma fortemente incidente sotto il profilo quantitativo.

Infatti, accanto alle emergenze, costituite da elementi a prevalente sviluppo verticale, nella formazione del paesaggio superiore delle città vi si ritrova - ad accoglierle - una distesa più uniforme, formata dalle superfici declivi delle falde. Si tratta del calligrafico 'territorio' dei tetti, che si annuncia sempre attraverso minuscole campiture, segnato da leggere increspature, da rilievi appena accennati.
Al pari delle geografie collinari, dove il suolo naturale si innalza e si abbassa creando cime ed avvallamenti, così anche le distese dei tetti si propongono attraverso ritmi ascendenti e discendenti con superfici articolate dalla frammentazione rigata e vibrante dei chiaroscuri delle campiture di falda e con pause dettate dai vuoti urbani corrispondenti, in genere, a piazze e strade.
Tetti, spesso, esplorabili nella loro ampia e movimentata estensione solo dall'alto di campanili, di torri, di poggi elevati, di belvedere intesi quali punti d'osservazione privilegiati di tutta la città che si dispiega alla vista relazionandosi al territorio naturalistico circostante.
Aspetti ricorrenti, questi, del nostro paesaggio dei tetti, mille volte ammirati e annotati nei taccuini di viaggio da parte dei viaggiatori più o meno illustri che hanno attraversato nei secoli l'Italia per coglierne e goderne le sue bellezze e tipicità.

Casa Malaparte, Capri, A. Libera

Casa Malaparte, Capri, A. Libera

Scorcio di tetti

Scorcio di tetti