La resilienza può essere definita come la capacità di un sistema di evolversi, pur mantenendo nella propria struttura
la memoria di stati precedenti. Le città storiche, come Parigi, con i suoi duemila anni di tradizione, sono state lentamente trasformate da fenomeni incrementali di distruzione e ricostruzione del tessuto urbano. Le strutture non abbastanza resilienti sono state eliminate. Le città storiche, quindi, sono arrivate fino a noi con straordinarie capacità di efficienza e resilienza. In un processo di auto-organizzazione spontanea per adattare le loro forme alle fluttuazioni dell'ambiente, hanno acquisito la capacità di assorbirle, rafforzando le loro strutture e il loro ordine e diventando sempre più complesse. La trasformazione aumenta il numero di scale senza distruggere quelle previamente esistenti. Rafforza la struttura di scala ampliandola verso scale più alte (Haussmann a Parigi), diversificando uno stato originariamente molto simmetrico in una struttura di scala (l'evoluzione di New York sospinta dalla forza del mercato) e intensificandola verso scale più contenute (la frammentazione dei lotti di Tokyo o Kyoto). La resilienza non è una qualità urbana che possa essere ottenuta con una strategia monoscala. E' invece una proprietà che emerge dal rapporto fra più scale.
Urbanisti: cosa fare e cosa evitare?
La situazione emergente è l'opposto degli ordini utopistici semplificati che architetti come Le Corbusier hanno cercato di imporre in alcune città. In tali ordini artificiali ripetitivi sono necessarie enormi quantità di energia per mantenere i sistemi urbani in uno stato di stabilità. Le città moderne, con gigantesche forme astratte imposte dall'esterno, ostacolano la nascita di collegamenti su piccola scala, mentre la continua creazione di collegamenti nei centri urbani storici ne aveva favorito l'evoluzione. Enormi edifici modernisti che si ergono in solitario isolamento non hanno alcuna connessione con il tessuto circostante. Hanno, invece, un impatto destabilizzante e non sono in grado di dare vita a una struttura adattabile in evoluzione. Gli architetti modernisti hanno voltato le spalle alle leggi universali dell'evoluzione urbana, lavorando unicamente con elementi su vasta scala e trasformando le aree urbane in un foglio bianco, privo di strati incrementali successivi ricchi di tracce storiche. Gli urbanisti dovrebbero creare il giusto contesto per un'evoluzione futura, non impedirla. I piani di successo sono semplici, ma discreti e lasciano ampio spazio a cambiamenti imprevisti e imprevedibili, pur essendo predisposti per durare millenni. Quando i Commissari pensarono alla mappa di Manhattan
nel 1811, molto prima della Rivoluzione Industriale, nel periodo delle Guerre Napoleoniche in Europa, non era possibile neppure immaginare l'avvento di nessuna delle tecnologie che avrebbero convogliato potere e ricchezza verso le città del XX secolo: elettricità, automobili, metropolitana e ascensori non erano solo assurdi da ipotizzare, erano impensabili, incubi mai espressi di un futuro lontano. Senza di essi, la tipica struttura urbana di Manhattan, il grattacielo, però, non avrebbe mai potuto essere costruita. Eppure il progetto dei Commissari fu in grado di accogliere anche l'imprevedibile e di durare duecento anni, trasformando Manhattan nella capitale economica del Mondo conosciuto. La forma urbana non segue una funzione. Deve adattarsi successivamente o simultaneamente a molte, fra loro diverse e a volte persino contraddittorie. Gli urbanisti devono comprendere che il futuro non può essere controllato e che i tentativi di farlo portano solo a città morte. I centri abitati vivi sono come delle scacchiere sulle quali si può giocare un numero infinito di partite. Loro compito e responsabilità sono progettare la scacchiera, non giocare la partita, quello spetta alla vita.