internazionalizzazione – Crescere all'estero preparandosi per tempo in Italia.

Gli architetti italiani hanno sempre più voglia di sconfinare, di portare le loro idee, i loro servizi, il loro approccio tutto particolare nell'accostare forme e materiali, in altri Paesi dove le opportunità non mancano e la burocrazia non soffoca l'entusiasmo. Me ne accorgo dal mio osservatorio sull'utilizzo dell'Inglese tecnico per la progettazione e le costruzioni. Ricevo sempre più sollecitazioni da amici e colleghi a fare coaching perchè il corso di lingua non è sufficiente, non c'è il tempo di fare conversazione sui cantieri all'estero, bisogna fare presentazioni ai clienti e intendersi tecnicamente con colleghi e maestranze provenienti dai Paesi più disparati. Parlare una lingua straniera non è condizione sufficiente per diventare internazionali perchè anche questa è diventata un'attività che mette alla prova la nostra innata capacità di progettare: bisogna prepararsi in Italia a diventare "global", sia per seguire da casa un cliente straniero, sia per collaborare con un collega in un paese estero o che si voglia aprire un ufficio in un altro paese.

Ecco quindi dieci considerazioni da fare quando si decide di guardare al di là dei confini nazionali e cominciare a misurare le distanze in ore anzichè in chilometri. Se l'Italia è il paese dove si palesa il detto "conta più chi conosci di quello che sai fare", per lavorare all'estero dobbiamo domandarci "chi ci conosce per quello che sappiamo fare?"
Ci è richiesto prima di tutto un cambio di mentalità, necessario per comprendere le nuove regole con cui portare avanti il proprio business, di qualunque dimensione esso sia. Lavorare su se stessi prima che sulle proprie attività. Si tratta infatti di affrontare sfide e rischi, che devono essere valutati per tempo: disporre di risorse, economiche ma non solo, anche energetiche ad esempio, comprendere la cultura locale, conoscere le pratiche riguardanti la professione, il settore delle costruzioni, i contratti, |e assicurazioni internazionali, la gestione di attività e passività, interagire con colleghi di razze e fedi diverse dalla nostra.

1. Lavorare all'estero deve essere pianificato, che si tratti di spedire un curriculum a uno studio, decidere di partecipare a concorsi internazionali o espandere attività già esistenti in un altro stato, non si diventa globali dall'oggi al domani. Bisogna mettere in conto che l'apprendimento delle nuove regole avviene quasi sempre sul campo, si tratta quindi di un processo lento che necessita valutazioni e messe a punto.

2. Avere una visione strategica delle mete prefissate, prendendo in considerazione le dimensioni della propria attività, la cultura "aziendale", le risorse umane, per competere nel mercato a cui ci si vuole rivolgere.

3. Investire su reputazione e competenze per capitalizzare i risultati raggiunti e proiettare a chi ancora non ci conosce una immagine estremamente precisa della nostra operatività. Siamo style-oriented o service-oriented? Generalisti o specialisti?

4. Investire nella formazione personale e del proprio staff con un programma di sviluppo professionale personalizzato sui ruoli. Così come andare all'estero significa obbligatoriamente dover incrementare e gestire la quantità di informazini e conoscenze non è possibile pensare di essere i soli in studio a parlare l'inglese e scoprire, alla prima telefonata, che i nostri assistenti non sono in grado di rispondere al cliente straniero.

5. Comunicare tenendo presenti le didferenze culturali, particolarmente in paesi con popolazioni multilingue. Marketing: chi siamo, in quale mercati vogliamo operare, quali opportunità cerchiamo. Branding, il valore del nome e il messaggio che porta: una sigla, come OMA, SOM, un esempio di casa nostra è il noto studio milanese Lombardini22 che ha deciso di operare all'estero come L22 per evitare la lunghezza dello spelling; una firma, come Gensler, Sasaki; un nome impersonale, quale Morphosis, Aecom. Positioning; cosa ci differenzia dai nostri concorrenti. Visibility: web, brochure, speech.   

6. Pensiero globale, azione locale. Essere uno studio italiano impegnato all'estero con le proprie risorse è diverso dall'essere una società che interagisce con competenze reperite nella comunità in cui lavora.

7. Collaborare, fondersi, acquisire sono generalmente le tre strade più rapide per inserirsi in un nuovo territorio. Condividere valori, competenze tecniche, affidabilità è un percorso comunque complesso.

8. Contesto e territorio rappresentano il banco di prova delle conoscenze e abilità acquisite. Progettare per il deserto di Dubai o per le metropoli russe richiede ampia dimestichezza con tematiche ambientali, economiche e politiche di quelle regioni molto diverse fra loro.

9.  Pianificare inserimento ed espansione. Dopo esserci posizionati è necessario stabilire e gestire le relazioni indispensabili a far crescere il volume di lavoro. Le operazioni one-shot sono generalmente antieconomiche.

10. Finanziare la crescita e valutare i rischi per evitare di essere abbagliati dal nuovo e dallo straniero, pratica in cui noi italiani siamo naturalmente portati, e assicurarsi il flusso di capitale necessario a una situazione stabile. Stabilire coperture assicurative idonee alle sfide che ci aspettano.

Di una cosa sono certo, la voglia di estero rende lo studio più competitivo anche in Italia.