Umanamente, ancor più che tecnicamente, non è semplice scrivere sull’East Village, il complesso a destinazione mista, galleria d’arte contemporanea e residenze, situato a cavallo tra i quartieri storici e centrali di Rmeil e Mar Mikhaël. Nella storia di Arketipo è la prima volta in cui, purtroppo, non abbiamo avuto la possibilità di parlare con il suo autore sentendo direttamente dalla sua voce il racconto sul suo edificio e scegliendo con lui il materiale da pubblicare. Non che non l’avrebbe fatto volentieri, visto che tutti i suoi collaboratori, amici e il cliente - che ringraziamo per l’aiuto che ci hanno dato rendendo possibile questo articolo - ce lo descrivono come persona tra le più appassionate, disponibili e gentili, ma perché Jean-Marc Bonfils è stato, tragicamente, una delle prime vittime dell’esplosione che ha distrutto gran parte di Beirut, avvenuta al porto il 4 agosto 2020, colpito dall’onda d’urto proprio mentre si trovava nel suo appartamento all’East Village e stava documentando in diretta gli eventi di quel drammatico tardo pomeriggio. Infatti, l’edificio si trova a pochi metri dal magazzino in cui è avvenuto lo scoppio ed è stato purtroppo tra le costruzioni da esso maggiormente danneggiate. Queste pagine vogliono quindi essere non solo un racconto su uno dei progetti più interessanti e fotografati realizzati a Beirut negli ultimi anni, ma anche un ricordo e un tributo al suo autore. Jean-Marc Bonfils nacque a Beirut da famiglia di origine francese, figlio dell’architetto Maurice Bonfils, molto noto in città. Si trasferì a Parigi per laurearsi prima in Architettura e poi in Storia dell’Arte (alla École du Louvre), per poi proseguire laureandosi anche a Londra alla Architectural Association. Nel 1995, al termine della guerra civile, quando vinse insieme al padre un importante concorso internazionale per la ricostruzione del centro di Beirut, tornò alla sua città natale, aprendo il proprio studio. Mosso da un approccio che aveva indubbiamente anche una componente idealista, la sua carriera si è contraddistinta proprio anche nell’intento di aiutare la rinascita della città e, più in generale, del Paese, piagato da anni di conflitto. Si occupò infatti di progetti quali la pedonalizzazione di Beirut, il restauro di alcuni degli edifici danneggiati durante la guerra, la nuova biblioteca nazionale, la pianificazione urbanistica delle vicine città di Byblos e di Baalbeck (famosa per i bellissimi templi romani). Come è avvenuto a tanti di noi, anche lui affermò che uno degli aspetti che ti colpisce maggiormente della città è la “forza del vuoto” che questi spazi feriti e danneggiati sanno trasmettere. All’attività progettuale affiancò l’insegnamento sia alla Università Americana che all’Accademia delle Belle Arti.

Tra le sue espressioni che ci piace ricordare vi è la definizione di Beirut come “una città di paradossi e paradigmi, di realtà diverse che si incontrano e si separano. È importante comprendere questa natura quando ci si accinge a costruire un edificio qui”. Proprio con un processo che nacque facendo incontrare “realtà diverse”, avviò l’idea di realizzare l’East Village, in cui scelse anche di abitare. Il lotto di progetto si trova a fianco a uno degli edifici più iconici del “modernismo” libanese, quell’Électricité du Liban progettato e realizzato tra il 1965 e il 1972 dal gruppo CETA formato da Pierre Neema, Jacques Aractingi, Joseph Nassar e Jean-Noël Conan che con le sue soluzioni allora avveniristiche in calcestruzzo armato e il disegno legato al clima mediterraneo segnò un’epoca e rappresentava quindi un importante “vicino” con cui dialogare. Forse anche per questo motivo, oltre che per il suo amore per la storia, Bonfils cercò di pensare all’East Village come una reinterpretazione in chiave contemporanea di alcuni caratteri dell’architettura tradizionale libanese, riprendendo nel concept alcuni elementi chiave, tra cui i tipici materiali da costruzione e i giardini, facendoli rivivere qui con una diversa declinazione. Troviamo quindi i materiali tradizionali come il calcestruzzo scuro e il legno delle facciate e delle schermature in dialogo con “moderni” muri verdi, versioni contemporanee poste in verticale dei tradizionali giardini orizzontali, oppure il “moderno” metallo rosso. Il progetto si avviò, in un primo momento, con l’intento di realizzare la sede della Galleria Tanit, dedicata all’arte contemporanea, proprietà della gallerista Naila Kettaneh-Kunigk. Analizzando la situazione, sotto vari punti di vista tra cui, ma non solo, gli assetti urbanistici, Bonfils si rese conto che il progetto avrebbe avuto la possibilità di estendersi sensibilmente, complessificando e rendendo più interessante l’operazione, costruendo un buon numero di piani di appartamenti al di sopra della galleria. Bonfils immaginò una torre sottile di appartamenti, quasi tutti a doppia altezza, dei loft, poiché a suo parere si abbinavano al meglio al tema della galleria di arte contemporanea. Il progetto realizzato, comprende quindi, oltre alla galleria a piano terra, dieci appartamenti duplex, due attici e un appartamento simplex contraddistinto dal volume aggettante in metallo rosso che ne incornicia la terrazza e sovrasta una delle due piscine a sfioro presenti nel complesso. Da lontano, il complesso sembra un semplice volume che, avvicinandosi, rivela invece la sua composizione a tre blocchi allungati a fasce parallele, ognuno con un’identità sottolineata ciascuna da un diverso materiale di facciata, che ne rivela l’approccio.

La forma allungata deriva in gran parte dalle dimensioni del lotto e lo sfalsamento delle tre fasce in pianta permette alla luce naturale di raggiungere più facilmente i vari livelli. La sezione a sbalzo dell’edificio, lo proietta verso la strada, a sottolineare il rapporto con la città evidenziando l’ingresso della galleria, con la sua funzione culturale e commerciale. Il più basso dei tre blocchi, la fascia rivolta verso ovest, è rivestito da un giardino verticale che nasce come dialogo e “riparazione” rispetto a un giardino pubblico, ora non più accessibile per tutti, presente proprio nell’edificio dell’Électricité du Liban sin dagli anni ‘60. Bonfils ha voluto così reintrodurre nell’area uno spazio verde posto in verticale, rendedolo così ancora più visibile a tutti, estendendo idealmente il giardino dell’Électricité. Il blocco centrale, è invece rivestito in legno, come riferimento al materiale delle piccole abitazioni che ancora oggi si possono trovare nel circostante quartiere di Mar Mikhaël. Il terzo blocco, rivolto a est, è contraddistinto dal calcestruzzo armato di colore scuro ed evoca le pietre tipiche dell’architettura tradizionale libanese. Con le sue due piscine a sfioro, al di sopra della fascia col muro verde e in copertura, dotate di parapetti trasparenti che favoriscono ulteriormente le viste ininterrotte panoramiche della città, ma anche in generale con i suoi coni visivi, le finestre e le logge dell’East Village permettono di affacciarsi su Gemmayzeh e Downtown, oltre che verso il mare, alla ricerca di un costante rapporto e confronto con la città. Un progetto che nasce attraverso un processo articolato con lo scopo di leggere in modo contemporaneo una capitale caratterizzata da eterogeneità e continui cambiamenti. Credo sia doveroso chiudere con le parole di Bonfils proprio su questo aspetto: “East Village è una sorta di composizione suprematista che gioca con le condizioni paradossali di oggi e ci collega a una sorta di paradigma. Non mi aspettavo che le persone lo leggessero nel modo in cui lo hanno fatto, e non volevo creare un punto di riferimento. Volevo creare un’icona. Strano a dirsi, ma è quello che è diventato”.

VARIETÀ: FUNZIONI ED ESIGENZE DIVERSE MODELLANO LA STRUTTURA PORTANTE
La struttura portante dell’East Village è stata progettata, soprattutto, per rispettare la richiesta di avere una flessibilità estrema del layout architettonico e delle funzioni diverse previste ai differenti livelli dell’edificio. Le varie funzioni, sovrapposte tra loro nell’organizzazione volumetrica disegnata nel progetto architettonico, avendo esigenze in parte differenti, avrebbero potuto infatti potenzialmente rendere meno libere e flessibili alcune delle attività. Per evitare tale eventualità, si è quindi optato per uno schema a setti paralleli e solai bidirezionali, che garantiscono una forte libertà nella disposizione degli ingombri strutturali verticali ai differenti piani. La disposizione degli elementi portanti proposta permette quindi la flessibilità richiesta nei cinque piani interrati di parcheggi, al piano terra con la galleria d’arte contemporanea praticamente priva di ingombri strutturali e anche ai piani superiori con i grandi ambienti residenziali a doppia e singola altezza. Come ulteriore aspetto, vi è stata anche una forte attenzione verso l’economicità e la sostenibilità ambientale della soluzione realizzata. L’impianto strutturale è interamente realizzato in calcestruzzo armato gettato in opera: fondazioni, muri contro terra, setti verticali, pilastri, travi e impalcati. L’organizzazione complessiva ricalca l’idea architettonica dei tre blocchi/fasce affiancati e paralleli di cui si è già detto. Al fine di mantenere gli obiettivi indicati, anche il volume a sbalzo di otto metri affacciato su via Armenia è stato progettato con una struttura portante meno usuale, che ha in parte modificato le idee presenti nei primi schizzi e render di progetto, in cui erano stati previsti ai piani inferiori dei puntoni inclinati in acciaio come sostegno. Invece, i piani superiori a sbalzo sono sostenuti dall’alto, grazie a due travi post-tese, alte quasi due metri, collocate a livello della copertura, che fiancheggiano la piscina a sfioro superiore, controbilanciate nel loro aggetto da due grandi pilastri presenti al centro della pianta. Queste due travi sostengono gli elementi portanti verticali laterali dei piani a sbalzo, che risultano quindi appesi a esse e lavorano a trazione. Per questo motivo, la sezione di tali elementi è maggiore ai piani superiori e diminuisce progressivamente scendendo verso i piani inferiori.

VARIETÀ: MATERIALI DIVERSI (E SOSTENIBILI) TRA TRADIZIONE E CONTEMPORANEITÀ
East Village è un progetto in cui Jean-Marc Bonfils volle anche applicare molti materiali differenti, come esempio di eterogeneità materica a caratterizzare identitariamente le tre diverse fasce, con una forte attenzione a sceglierli però in base a dei criteri che li accomunassero. In primo luogo, come si è già un po’ accennato, dovevano essere dei materiali in parte provenienti dal sito di progetto e dalle sue tradizioni costruttive (tra questi vi sono il legno, il muro verde e il calcestruzzo armato) e in parte dovevano “rompere” introducendo elementi un po’ più estranei e contemporanei (tra questi vi è soprattutto l’alluminio color rosso acceso). Inoltre, volle privilegiare materiali con elevata durabilità e con poca massa, non solo nei rivestimenti ma in generale in tutti gli elementi della costruzione, anche nei pavimenti e negli elementi divisori, per realizzare un’architettura durevole nel tempo e leggera che riducesse, tra l’altro, anche l’impatto dei carichi sugli elementi strutturali portanti. Infine, come ulteriore elemento, voleva dei materiali “sostenibili”, in grado di limitare l’impatto ambientale complessivo dell’edificio. Influenzato dai riusciti esempi realizzati da vari architetti in modo esteso in molti luoghi, soprattutto, ma non solo, in Francia, Bonfils volle realizzare anche a Beirut un “muro verde”, proponendo però qui una soluzione costruttiva un po’ più “low-tech” e più consona al clima della città. La parete vegetale è qui realizzata grazie a delle leggere gabbie in rete d’acciaio, appese direttamente al muro retrostante di calcestruzzo armato, aventi una lastra sul fondo con funzione di sottovaso e riempite semplicemente con terreno di coltura compattato. Le piante sono poi state messe a dimora direttamente attraverso i fori della gabbia e vengono alimentate dall’acqua di irrigazione che inumidisce con regolarità il terreno, anche nei giorni più caldi. Le essenze sono state appositamente selezionate tra le specie locali meno delicate che resistono maggiormente sia al vento che al clima mediterraneo. Anche per quanto riguarda il rivestimento esterno in legno, si è cercata una soluzione tecnica resistente al clima aggressivo dovuto alla vicinanza al mare e, in generale, agli agenti atmosferici. La scelta finale è ricaduta su delle lastre con anima in bachelite, rivestite con un sottile strato di legno naturale di provenienza certificata (ovvero ricavato da foreste ben gestite e rigenerate di continuo in modo responsabile), protetto da uno strato in resina e una pellicola che ne aumentano considerevolmente la durabilità, oltre alla stabilità del colore e dell’aspetto. Infine, anche il calcestruzzo utilizzato aveva una provenienza locale, con una buona percentuale di materia proveniente da riciclo e che non rilascia composti organici volatili (VOC).

Scheda progetto
Progettista: Jean-Marc Bonfils Architects
Periodo: 2008-2015
Total floor area: 8.000 mq
Altezza: 50 m
Numeri piani: 17
Neighbourhoods: Rmeil, Mar Mikhael
Lead Architect: Jean-Marc Bonfils
Collaborators: Marwan Matta, Lea Ksayer
Structural Engineer: Bureau d’Etudes Rodolphe Mattar
MEP: Kamal Sioufi & Associates
Committente: Mrs. Naila Kettaneh Kunigk / Ets Medawar 2 SAL
Owner Rep & Project Management: Ghazi Ziade, PE.t
Main Contractor: Kfoury Contracting & Engineering
Wood Panels: Prodema
Fiber Cement Panels: Swisspearl
Aluminium Panels: Hunter Douglas
External flooring: Topcrete
Awards: Best Residential Building in Lebanon 2017, Asia Architecture Award Residential First Prize 2015
Photos: Kinan Mansour, Wael Khoury, Julien Lanoo, Chadi Younes

Arketipo 147, Processo, maggio 2021