ES Hotel |
Località Via Turati 171, Roma, Italia A poco più di dieci anni dalla sua fondazione (1992) lo studio King Roselli vanta una considerevole collezione di progetti sia nel campo dell'edilizia che dell'industrial design. L'orientamento è quello di una ricerca attenta ai nuovi linguaggi, sensibile alle evoluzioni formali e tecnologiche del moderno design, e tuttavia capace di sorprendenti adattamenti alle specifiche realtà territoriali e urbane. Città come Roma da sempre costituiscono per i progettisti un importante terreno di prova per misurare le proprie spinte innovative con le resistenze della memoria e di un'immagine urbana fortemente consolidata. Il dibattito intorno a questi argomenti, soprattutto in Italia, ha attraversato l'intero arco del Novecento, fornendo di volta in volta soluzioni che hanno segnato un percorso alternativo alla spesso più disinvolta cultura architettonica d'Oltralpe. Il confronto con la memoria storica è un ingrediente della progettazione e lo è necessariamente non tanto o non sempre per pura velleità estetica, ma perché giocoforza la gestione del territorio, nell'indirizzo della tutela del patrimonio pubblico, lo impone. à questo il caso dell'hotel Es. Un edificio sorto sul colle Esquilino, in un'area adiacente alla ferrovia, vicina alla stazione Termini e ricca di preesistenze archeologiche. La vicenda è quella tipica dei progetti arenati in fase esecutiva a seguito del veto delle soprintendenze, ma qui l'incidente, sorto durante l'allestimento di cantiere con il ritrovamento di un'area di interesse archeologico, è diventato il pretesto per una completa revisione del progetto e la definizione di una variante pressoché integrale dell'opera. L'edificio si presenta fortemente caratterizzato da alcune chiare linee direttrici: lo stacco da terra per la conservazione degli scavi archeologici; un impianto a corte composto da tre blocchi con le due ali laterali sospese su pilotis ed infine il gesto architettonico della piega, vero deus ex machina del progetto, che ricorre in più occasioni nella tessitura dell'edificio, dalle volte di chiusura, al prospetto di facciata fino ad interessare in dettaglio la linea degli elementi di arredo. Rispetto all'intorno, poi, l'albergo dialoga con un linguaggio sicuro, inserendosi bene nella rigida maglia umbertina e ammiccando al vicino monoblocco della stazione attraverso i salti di quota ed il profilo della copertura, da un lato, e, dall'altro, con la ferma composizione in blocchi, rinforzata dall'impiego di un intonaco speciale a base di polvere di travertino. Il risultato è la realizzazione di un'architettura che riflette senz'altro lo spirito ludico dello studio, evidente nella libertà compositiva degli arredi o in certe soluzioni cromatiche come nelle variegate luci delle camere, senza rinunciare tuttavia ad una severa disciplina compositiva che ne costituisce forse l'aspetto più interessante. La vista da via Giolitti, infatti, con l'attestarsi delle due ali della corte sopra il basamento in basalto scuro assume una pregnanza ed una forza di immagine ben superiore ad altri espedienti in cui si ostenta, un po' forzatamente, la leggerezza di un segno libero e volutamente privo di regole. Ciò è senz'altro da ricondurre all'esperienza di design dello studio che ha stimolato una maggiore attenzione per le qualità percettive dell'oggetto e la duttilità della forma. Però c'è anche un'altra ragione legata alla diffusione di modelli "vincenti", frequentemente pubblicati sulle riviste specialistiche, che determinano lo sfondo culturale da cui le nuove generazioni di architetti attingono con gradi di consapevolezza e capacità di rielaborazione differenti. à facile intuire, nel caso dell'albergo, l'accostamento alle ultime sperimentazioni di Herzog & De Meuron soprattutto nel trattamento delle luci e nell'impiego delle trasparenze o, ancora, un certo gusto minimalista giapponese nei tagli a fessura delle aperture. Tutto questo non deve suscitare il disappunto della critica ma piuttosto far riflettere, osservatori e progettisti insieme, sulla ubiquità di modi e poetiche progettuali che possono entrare a buon diritto nello specifico di un'architettura senza però travisare il senso e la singolarità del luogo di intervento. Testo di Filippo Nicotra Informazioni |
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