In Arketipo 143 “Ristruttura Italia”, numero dedicato a mettere in luce alcuni tra i molti esempi di recupero del patrimonio edilizio esistente, abbiamo scritto del processo di riqualificazione dell’ex Mattatoio Testaccio a Roma tracciandone, seppur per sommi capi, le tappe storiche e architettoniche principali, dalla sua realizzazione tra il 1888 e il 1891 su progetto di Gioacchino Ersoch alla chiusura nel 1975 (quando le attività di mattazione sono trasferite all’interno del Centro Carni nel quartiere Prenestino), fino al vincolo totale di conservazione sull’area nel 1988 da parte del Comune di Roma. Da allora si sono susseguiti accordi per la suddivisione della grande area tra diversi attori e una serie di interventi per la riconversione dei vari padiglioni. In questo articolo, che abbiamo definito “seconda parte” proprio per evidenziarne la continuazione con il primo, desideriamo porre maggiore attenzione ai singoli progetti che, all’interno di una visione iniziata in certo modo unitaria e poi, forse necessariamente, divenuta più frammentata, hanno contraddistinto l’area. Gli attori principali della trasformazione sono gli studi Insula Architettura e Ingegneria, Cupelloni-Architettura, Carmassi Studio di Architettura e gli architetti Stefano Cordeschi e Antonio Pugliano. Il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi Roma Tre, dopo la realizzazione di un progetto preliminare per le aree universitarie, si è affidata per la progettazione definitiva di alcuni padiglioni allo studio Insula Architettura e Ingegneria, in collaborazione con il Prof. Francesco Cellini (padiglioni 7, 2B, 14, 15A, 15B, 15C, 16) e agli architetti Cordeschi e Pugliano (rispettivamente per i padiglioni 8 e 4). L’architetto Luciano Cupelloni viene incaricato dall’Accademia di Belle Arti per la realizzazione della nuova sede (padiglioni 37A e 37B), dal Comune di Roma per trasformare i padiglioni 9A e 9B nel Macro Testaccio e i padiglioni 19, 35 e 36 nella Città dell’Altra Economia. Gli architetti Massimo e Gabriella Carmassi si sono occupati del recupero del complesso della Pelanda dei suini e dei Serbatoi dell’acqua. Come abbiamo ricordato alla fine della trattazione precedente, oggi, all’interno dell’ex Mattatoio Testaccio sono coinvolte diverse realtà ufficiali che fanno fatica a dialogare per pianificare uno sviluppo integrato dell’area, non coordinate da un’amministrazione centrale: l’Università Roma Tre, la Città dell’Altra Economia, l’Accademia di Belle Arti, Macro La Pelanda e Macro Testaccio, e anche il centro socio culturale Ararat, il Villaggio globale, il Centro anziani, la Sovrintendenza, la Scuola popolare di musica, il MiBACT (Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo), la Casa della Pace e agli storici vetturini, oltre qualcuna ancora non ufficiale. Molteplici situazioni che possiedono spazi a volte sottoutilizzati in un insieme più che mai disgregato e non organizzato nelle parti comuni. Auspichiamo che la situazione attuale e i progetti in essere, in parte già approvati e in parte all’interno dell’iter burocratico, non sfumino nella complessa attività politica e amministrativa propria per questo genere di interventi, ma che proseguano con un forte impulso da parte dell’Amministrazione comunale.

Scheda progetto
Proprietà: Comune di Roma
Committente: Comune di Roma, Università Roma Tre, Accademia di Belle Arti
Anno: 1999-opening
Photos: Camilla Borghese, Andrea Jemolo, Cupelloni Architettura

I LABORATORI DELLA FACOLTÀ DI ARCHITETTURA
Il padiglione 7 era destinato ai laboratori sanitari: un edificio a pianta rettangolare dalla forma allungata che all’interno alternava volumi chiusi a corti aperte. È nel 1932 che la sua struttura cambia radicalmente diventando una grande sala per la vendita: le partizioni interne e le coperture sono interamente demolite e una copertura a capriate in calcestruzzo armato e tiranti di acciaio è costruita a protezione dell’intero volume, sorretta da un cordolo di coronamento, anch’esso cementizio, che ha sopraelevato la linea di gronda del padiglione di circa 2 m. Contestualmente alla dismissione del mattatoio, viene rimosso anche il sistema di guidovie aeree per il trasporto delle carni (che caratterizza tuttora l’interno e l’esterno di molti padiglioni) lasciando un unico grande spazio coperto lungo 85 m e largo 15, illuminato dall’alto da quattro lucernari. Il suo recupero, il primo ad opera dell’Università degli Studi Roma Tre, è l’occasione per la Facoltà di Architettura di realizzare una sede ricca di spazi comuni. L’obiettivo è quello di dotare la facoltà di tre grandi aule per lo svolgimento dei laboratori progettuali e di un’aula magna di circa 260 posti. L’approccio di Studio Insula è quello di valorizzare gli spazi esistenti, esaltandone l’altezza e le dimensioni, introducendo elementi semplici, lineari e leggeri e pochi materiali. “Il problema principale”, racconta Paolo Orsini “era quello di riuscire a conciliare la volontà di conservare l’unitarietà del grande spazio coperto con l’esigenza di creare ambiti separati e isolati acusticamente così da consentire lo svolgimento della didattica”. Il progetto si è perciò focalizzato nell’inserimento di grandi pareti divisorie con una struttura leggera, parzialmente trasparenti così da mantenere la continuità visiva tra gli ambienti, e nell’introduzione di pochi materiali, l’acciaio, il vetro e il legno, e di pochi colori, il bianco, il grigio e il blu. I lucernari pericolanti sono ricostruiti e la copertura viene isolata con una controsoffittatura con funzione fonoassorbente; le finestre e le portefinestre esistenti sono riaperte. Il pavimento è ricostruito dopo l’inserimento di un impianto radiante alimentato da pompe di calore in grado di diffondere in modo uniforme il caldo nei mesi invernali e una quota di fresco in quelli estivi; un sistema di estrattori d’aria e di frangisole a lamelle orientabili contribuisce a migliorare il comfort interno senza gravare sui consumi energetici. Infine, impianto illuminotecnico a dispositivi dimmerabili e un sistema di oscuramento con tende motorizzate contribuisce alla modulazione della luce secondo il diverso utilizzo degli spazi.

Scheda progetto
Progettista: Insula Architettura e Ingegneria
Committente: Università degli Studio Roma Tre

L'AULA MAGNA
Il padiglione 8, destinato a tripperia e macello dei capretti, era uno dei fabbricati più grandi dell’intero complesso, con il lato maggiore che definisce a nord il perimetro della vasta area centrale dell’ex Mattatoio. Data la particolare funzione, l’edificio, a pianta rettangolare 92x16 m e con un tetto a due falde per un’altezza di 9,15 all’imposta della copertura (12,86 m al colmo), è suddiviso in cinque aree distinte, tre delle quali su due livelli e due, le più grandi, a tutta altezza. Gli ambienti maggiori sono spazi di forma rettangolare destinate a tripperia l’una (36x15 m) e a macello dei capretti l’altra (30x15 m). Delle zone a due piani, quelle originariamente destinate a ospitare locali accessori e uffici costituiscono le testate dell’edificio e hanno un impalcato in travi d’acciaio a doppio T e voltine in mattoni, mentre la terza, occupata da attrezzature funzionali, come le caldaie a vapore, ha una struttura in ferro ed è collocata in posizione centrale. Una ciminiera in mattoni pieni attraversa i due piani raggiungendo l’altezza di 21,84 m. L’edificio, pur non avendo subito nel tempo trasformazioni importanti, necessitava di urgenti interventi di consolidamento, restauro e messa in sicurezza. Il progetto prevede la rifunzionalizzazione del manufatto senza la modifica delle facciate e dei paramenti esterni. All’interno del volume dell’ex tripperia sono collocate aule per la didattica su due livelli, mentre nell’ex macello dei capretti è realizzata un’aula magna per 266 posti. La trasformazione strutturale più rilevante è l’introduzione di un secondo livello per consentire lo sfruttamento della volumetria negli spazi dell’ex tripperia. Il nuovo impalcato ha una struttura metallica indipendente con fondazioni autonome ed elementi di sostegno verticali realizzati a distanza dalle strutture murarie originali in mattoni. Negli spazi dell’ex macello dei capretti, che rimane a tutta altezza, è realizzata l’aula magna: una struttura lignea completamente indipendente, una “scatola dentro la scatola” ma aperta lungo i due lati maggiori finestrati. Dal palcoscenico prende forma la platea per il pubblico, in parte realizzata in scavo nella zona vicina al palco, in parte in elevazione; alle spalle del palco una parete di supporto allo schermo per le proiezioni e all’impianto di amplificazione e, sul fondo opposto, una partizione simile chiude l’ultimo ordine di posti. Il nastro ligneo prosegue con il controsoffitto: una struttura a pannelli e volumi appesi con barre di acciaio a una nuova orditura secondaria del tetto. Il suo disegno è caratterizzato da elementi tronco-piramidali di diverse dimensioni con funzione di correzione acustica e di supporto per le apparecchiature di proiezione e illuminazione. Il controsoffitto è diviso in porzioni in modo che le travi reticolari originarie Polonceau siano sempre visibili. Le attrezzature impiantistiche all’interno del corpo centrale sono mantenute e rese visitabili a scopo didattico, adeguando allo stesso tempo l’ambiente per contenere la distribuzione verticale.

Scheda progetto
Progettista: Stefano Cordeschi con A. Beuchat, C. Garofalo, S. Converso
Committente: Università degli Studi Roma Tre

MACRO LA PELANDA
Il progetto di riconversione riguarda il padiglione più ampio del Mattatoio destinato alla macellazione e alla lavorazione dei suini, denominato Pelanda, e rappresenta una delle più importanti opere di restauro conservativo dell’intera area. La rigorosa metodologia progettuale dello studio Carmassi, dopo un attento rilievo della preesistenza, ha pianificato opere di restauro dell’apparato murario e delle coperture, integrando dove necessario le lacune con materiali simili a quelli in opera e demolendo le superfetazioni più recenti che snaturavano la logica compositiva della struttura originale. Il complesso è costituito da tre corpi contigui. Un sottile edificio a due piani delimita il lato nord del Foro Boario e accoglie, al livello superiore, una sequenza di serbatoi d’acqua di forma cilindrica di ferro e calcestruzzo, raggiungibili mediante due scale disposte alle due estremità dell’edificio. “La qualità di questi oggetti ne fa un vero e proprio reperto di archeologia industriale, per questo è conservato nella sua integrità insieme al piano di calpestio di servizio, costituito da raffinate griglie traforate di ghisa, e alla copertura a capriate di ferro” scrivono gli architetti. Il piano terra è occupato da stanze voltate, aperte verso la galleria centrale, che hanno mantenuto le stesse caratteristiche con funzione commerciale. Il corpo principale della Pelanda è costituito da una grande navata parallela al primo edificio, coperta da un tetto a falde sostenuto da sottili capriate Polanceau e divisa in due volumi allungati dallo spazio occupato dalla centrale termica, con tre caldaie e una ciminiera troncoconica conservate anch’esse. Affiancati, sul lato nord, due strette maniche lunghe coperte da un tetto a terrazza. Tutti gli ambienti della Pelanda sono attrezzati con una fitta trama sospesa di rotaie metalliche lungo la quale scorrevano gli animali macellati, appesi ad appositi ganci, ancora in sito, che, insieme alle vasche di ghisa lungo il lato nord conferiscono all’ambiente una particolare suggestione. L’attenta conservazione dell’esistente, comprese le attrezzature metalliche caratterizzanti lo spazio, ha suggerito agli architetti interventi minimali e leggeri, principalmente in acciaio e vetro con qualche divisorio in pannelli di legno all’interno, sempre più bassi della quota di imposta delle rotaie sospese che continuano a correre ovunque. Nell’intento di amplificare la permeabilità tra il Mattatoio e il Foro Boario, il progetto ha previsto il recupero di una delle due ali del sottile edificio dei serbatoi eliminando i recenti tamponamenti murari per ottenere di nuovo una loggia, di cui si intravedono ancora le strutture in ghisa e acciaio, e la realizzazione di alcune aperture nel muro di confine. La loggia, coperta da una leggera struttura in acciaio e vetro, ospita attività commerciali. “La flessibilità dello spazio contenuto nella galleria potrà consentire una grande varietà di usi in una cornice di grande suggestione” auspicavano gli architetti Carmassi a conclusione dell’intervento.

Scheda progetto
Progettista: Massimo e Gabriella Carmassi
Committente: Roma Capitale

IL MACRO TESTACCIO
Gli spazi espositivi del Macro al Mattatoio recuperano due dei quattro macelli monumentali che rappresentano il cuore del complesso di Gioacchino Ersoch. I padiglioni sono costituiti da una scatola muraria che definisce un unico grande ambiente di circa 1.000 mq, coperto da capriate Polonceau. Lo spazio interno è ordinato da imponenti colonne in ghisa, travi in ferro e argani che strutturavano le celle di mattazione. A questa struttura originaria si “sovrappone” nel 1925 una trama orizzontale di guidovie, paranchi e ganci per la movimentazione delle carni dall’interno dei vari macelli al grande edificio “frigorifero”, realizzato in muratura e cemento armato nel 1911 dalla Ferrobeton. L’approccio progettuale di Luciano Cupelloni “privilegia l’antico rapporto trasversale tra i padiglioni e quello che Ersoch chiama il ‘rettangolo centrale’ e, tramite la ritrovata ‘trasversalità’ dei padiglioni, articola la fruizione dello spazio interno consentendone l’organizzazione in più ambiti, ricchi di spazialità e percezioni del tutto nuove”. Il “rettangolo centrale” è un grande spazio marcato trasversalmente dalla simmetria dei macelli e, longitudinalmente, da una lunga spina muraria che separava le rispettive rimesse in ferro e ghisa. La rinnovata articolazione dello spazio consente l’organizzazione delle attività museali in più ambiti: uno centrale, che ripropone filologicamente i caratteri dell’architettura originaria tramite la rimozione delle guidovie del ’25, e due di testata che organizzano una serie di piani – “geometrie galleggianti nello spazio” - impostati sulla quota delle guidovie che moltiplicano le prospettive e le possibilità fruitive, riproponendo in termini contemporanei la serialità sistemica del complesso. Anche in questo intervento sono conservati, e riproposti, i materiali originali: asfalto colato per le pavimentazioni interne, travertino, laterizi, stucchi e tinte a calce per le facciate, marmo bardiglio, ghisa e ferro all’interno, con cui entrano in sinergia acciaio e vetro per i nuovi solai. “I nuovi elementi strutturali scompaiono dietro piani neutri, le ingombranti canalizzazioni impiantistiche sfruttano prevalentemente il sottosuolo” per non compromettere in alcun modo l’immagine d’insieme. Una attenzione particolare è rivolta all’illuminazione che sottolinea discretamente l’intradosso della copertura e le antiche canaline del piano di calpestio. Tra queste due quote, si snoda “uno spazio atmosferico, nettamente segnato ma anche vuoto e flessibile, disponibile alle modalità e alle espressioni artistiche più diverse” sottolinea Luciano Cupelloni.

Scheda progetto
Progettista: Cupelloni Architettura
Committente: Roma Capitale

LA CITTÀ DELL'ALTRA ECONOMIA
Il lungo portico costruito su progetto di Gioacchino Ersoch dalle tipiche colonnine di ghisa, le pensiline antistanti della fine degli anni ‘20, lo spazio intercluso tra essi e l’adiacente edificio delle Pese divengono campo di progetto per la realizzazione della Città dell’altra Economia, uno spazio di 3.500 mq, il primo in Europa, dedicato al mercato dell’agricoltura biologica e del commercio equo e solidale, agli sportelli della finanza etica e del turismo responsabile, al centro di formazione e documentazione e anche al bio-bar e al bio-ristorante. Il concept ideato da Luciano Cupelloni trae ispirazione proprio dalla struttura del “non luogo”, immaginando una successione di nuovi spazi, specializzati ma flessibili, a partire dalle “ossature derelitte degli antichi ricoveri degli animali”. Oltre alle aree espositive la struttura ospita dodici distinte attività, ha un fronte di oltre 200 m e si apre su un’area esterna di pertinenza di circa 8.000 mq parte del Campo Boario. La soluzione progettuale è costituita da un involucro prevalentemente vetrato che copre il distacco tra portico e pensiline e delimita interni e spazi aperti frazionandosi in più “moduli” lasciando distinguere le parti originarie. I nuovi spazi sono stati realizzati con una struttura antisismica in acciaio, in gran parte assemblata in officina per facilitarne il montaggio, staticamente indipendente e reversibile. La teca trasparente è disegnata a partire dalle condizioni di relazione con i manufatti storici, prevalentemente opaca nel sottoportico e trasparente in rapporto alle tettoie originarie. La sua particolare conformazione, e l’orientamento delle strutture, ha richiesto un attento studio del comportamento bioclimatico, controllato e calibrato tramite l’integrazione di strategie passive e sistemi attivi. Il lungo fronte vetrato, a sud-est, è protetto da lamelle orizzontali disposte nella parte bassa della facciata che integrano la pensilina esistente, garantendo trasparenza e vista verso l’esterno. Il sistema di aperture della nuova copertura assicura l’illuminazione naturale zenitale, evitando il surriscaldamento estivo, e consente la corretta disposizione dei pannelli fotovoltaici garantendo luce diffusa da nord e ventilazione naturale. Le aperture vetrate degli shed a nord-ovest sono schermate da setti verticali e sporti orizzontali per contenere il surriscaldamento. Agli shed si affiancano grandi lucernari piani, schermati da due lastre in acciaio inox forate in modo tale da consentire la radiazione diffusa e, soltanto in inverno, la radiazione solare diretta. L’utilizzo di vetrate isolanti stratificate, a riflessione neutra e bassoemissive, ha ottimizzato la resa termica. Il complesso è climatizzato da sette centrali termomeccaniche indipendenti, con pompe di calore aria/acqua ad alto rendimento e UTA a recupero dinamico con efficienza di oltre il 70%. Un impianto fotovoltaico costituito da 166 pannelli al silicio policristallino, con potenza di picco pari a 180 Wp e una produzione annua di circa 40.000 kWh, riduce le emissioni di CO2 di oltre 25.000 kg/anno.

Arketipo 149, Recupero, settembre 2021