Gemäldegalerie  

Progettista: Heinz Hilmer, Christoph Sattler
Committente: Staatliche Museen zu Berlin, Stiftung Preussischer Kulturbesitz
Destinazione d'uso: museo

La vicenda del Kulturforum berlinese nell'area della Kemperplatz, tra la Sprea e il Landwehrkanal, una delle più devastate e marginalizzate della città nel secondo dopoguerra, prende l'avvio dalla realizzazione della Philarmonie di Hans Scharoun, nel 1959-63, e dal piano di sistemazione dell'area, redatto dallo stesso Scharoun, che prevedeva la creazione, oltre alla filarmonica, di cinque musei di arti varie, di un istituto di ricerche sulla musica e di un museo musicale. Negli anni successivi, l'edificazione, verso sud, della Neue Nationalgalerie di Ludwig Mies van der Rohe (1965-68) e della Staatsbibliothek (Hans Scharoun, Edgar Wisniewski, 1967-76) conferma questa strategia, proprio quando la creazione del muro, che passa a ridosso di questa stessa area, lasciando a est le grandi istituzioni culturali ottocentesche (i grandi musei nazionali sulla Sprea e la Schauspielhaus di Karl Friedrich Schinkel al Gendarmenmarkt), rende necessaria la ricostituzione dell'identità culturale di Berlino ovest attraverso la creazione di una simbolica nuova Museumsinsel.
Sull'evidente contrapposizione fra le forme degli edifici di Mies e Scharoun, manifestazioni della duplice anima della cultura tedesca del nostro secolo, quella orientata all'espressionismo e quella portatrice dei valori della Sachlichkeit, e sulla loro capacità di porsi quali capolavori individualmente riconoscibili, si va in quegli anni costituendo il carattere urbano della grande spianata di Kemperplatz. Con la costruzione, nel 1978-85, del Kunstgewerbemuseum e dell'edificio del Kupferstichkabinett e della Kunstbibliothek di Rolf Gutbrod (prima tranche del grande complesso museale risultato vincitore del concorso tenuto nel 1965-66, inutilmente complicato e ridondante) il difficile equilibrio si spezza, crescono le polemiche sugli esiti formali che l'area sta assumendo, il progetto viene bloccato e, di conseguenza, nel 1986 viene indetto un concorso per designare un nuovo architetto a completare l'opera iniziata da Gutbrod, competizione che vede vincitori i monacensi Hilmer e Sattler (che nel 1991 vinceranno anche il concorso per il piano urbanistico della limitrofa area di Potsdamer Platz-Leipziger Platz), mentre nel 1983 si era tenuto, senza esito, un concorso nell'ambito dell'IBA per la sistemazione di tutta l'area del Kulturforum, vinto da Hans Hollein.
La nuova pinacoteca di Hilmer e Sattler si presenta così come il compimento di un progetto interrotto e di un piano per un centro della cultura che dopo la caduta del Muro, alla fine degli anni Ottanta, ha sensibilmente modificato il suo significato, politico e urbanistico, rispetto ai destini della città. In questo senso appare come una corretta risposta all'accumularsi di condizioni contraddittorie l'aver dato al pur grandioso intervento - più di un ettaro di superficie in pianta - il tono sommesso di una operazione di ricucitura delle preesistenze: le costruzioni di Gutbrod, l'ottocentesca villa Parey e il palazzo Gontard. Un edificio la cui articolazione tipologica è tutta risolta all'interno, lasciando all'esterno l'immagine di un semplice paramento murario in mattoni, poggiato su un'alta base di granito e scandito da un sottile ritmo di scure paraste metalliche che si ricollegano in alto al cornicione, sempre di metallo. Una composizione lineare e severa, i cui riferimenti alle opere di Mies van der Rohe, come gli edifici di servizio dell'IIT di Chicago, sono espliciti (si noti poi che il granito del basamento e dello scalone d'ingresso è lo stesso usato da Mies nel podio della Nationalgalerie).
Dentro questa pacata cortina l'impianto è un esplicito recupero della tradizione dei musei ottocenteschi, dove si assiste al contrappunto fra un sistema ripetitivo di fasce di doppie sale, che definisce il perimetro, e alcuni spazi eccezionali che si pongono nei punti focali dell'edificio.
È il caso della ottagonale Rembrandt-Saal e dello scalone posto sul lato meridionale, con il soffitto del Ricci, ma soprattutto della rotonda all'ingresso, sormontata da una cupola costruita con la sovrapposizione di esagoni sfalsati che sostengono pareti in vetrocemento e che culmina con una lanterna cilindrica, dove ritroviamo, al contempo, memorie guariniane e la cultura espressionista di Wenzel Hablik e di Bruno Taut.
Al centro dell'edificio un grande salone, punteggiato di pilastri che sostengono basse cupole con oculi rotondi, rimanda agli esotismi dell'architettura bizantina o islamica, dei mercati dei bazar o dei bagni turchi. Così come le alcove poste negli angoli esterni delle sale che si trovano nei tre spigoli liberi dell'edificio con le loro sedute fisse a muro sembrano altrettante sale di una casa mediorientale.
Questi "luoghi" con i loro accenti forti vogliono porsi come pausa in un museo che ha quasi cinquanta sale di gusto ottocentesco che, pur avendo dimensioni anche diverse, sono poi tutte simili fra di loro (pavimenti in legno, pareti rivestite di tessuto sericeo di differenti colori, volte intonacate di bianco) e tutte illuminate dall'alto da velari in vetro opalino sormontati da lucernari invisibili dall'interno.
Sale destinate a ospitare una delle più vaste raccolte di quadri d'Europa, dedicata alla pittura europea fra Trecento e Settecento (circa 850 quadri esposti nelle sale del piano principale, più 400 nella Studiengalerie che si trova nel basamento), in un museo che si presenta più grande degli Uffizi di Firenze e dell'Alte Pinakothek di Monaco messi assieme e dimensionalmente paragonabile solo al gigantesco Kunsthistorisches Museum di Vienna, dunque a uno dei più grandiosi (e defatiganti per il visitatore) musei storici del nostro continente.

Estratto da: MUSEI - architetture 1990-2000

									assonometria del complesso museale sezione in prospettiva