GUILLERMO VASQUEZ CONSUEGRA
Intervista a cura di Saverio Fera


 

FSF: A proposito della costruzione, molti dei tuoi edifici sono costruiti con l'uso del cemento armato a vista, l'acciaio, il vetro ecc.; sono materiali che prediligi perché paradigmatici del costruire contemporaneo o altro?
GVC: Credo che non ci siano materiali contemporanei; chiaramente ci sono materiali nuovi, però io non penso che per l'architettura contemporanea sia necessario utilizzare solo materiali contemporanei. Per esempio, la pietra e i mattoni sono materiali contemporanei. Credo che la contemporaneità non stia nei materiali ultimi o moderni, ma nella libertà, la libertà di scegliere il materiale adeguato per ogni progetto. Il materiale adeguato oggi sarà quello che conviene all'idea del progetto, per cui quel materiale che si adegua all'idea del progetto sarà il materiale contemporaneo, che risponde al linguaggio contemporaneo dell'edificio. Per esempio, nel progetto del museo di Valencia, l'idea era di realizzare un edificio molto chiuso all'esterno. La relazione fra interno ed esterno che si viene così a formare penso sia particolarmente interessante; infatti, l'edificio si apre molto all'interno grazie all'effetto della luce che proviene da lucernari posti sulla copertura ed è il carattere plastico stesso dell'edificio che ha richiesto l'utilizzazione del cemento armato. Ci sono altri edifici, come quello di Genova, dove si sono utilizzati altri materiali come il vetro e l'acciaio perché erano più convenienti all'idea del progetto, ovvero che si trattasse non tanto di un edificio, quanto di una struttura, una struttura a volte che nel tempo aveva messo e rifiutato tutte le facciate che le avevano aggiunto. Perché era una struttura che non accettava un piano di facciate con finestre, come se si trattasse di un tipo di architettura domestica, per cui ho modificato ulteriormente la facciata, in modo che l'immagine esterna che l' edificio offre oggi non ha niente a che vedere con quella della sua organizzazione interna. L'idea del progetto era di spogliare la struttura delle facciate, che erano state aggiunte posteriormente allorché non fu più utilizzato come arsenale, e rivestirla con una specie di pelle leggera - quasi cellophane - di alluminio e di vetro, che permettesse di preservare ciò che per me era la cosa più grandiosa dell'edificio, cioè la sua organizzazione interna, la sua struttura. In questo caso abbiamo utilizzato l'acciaio e il vetro perché sono materiali più leggeri e i più adatti per sviluppare l'idea del progetto, che in questo caso era di realizzare un "avvolgente" che permettesse di avvicinarsi, o allontanarsi dalla facciata a seconda delle esigenze. Per esempio, ci siamo distanziati dalla facciata principale perché ci interessava introdurre un nuovo spazio che l'edificio non comprendeva, ossia un grande vestibolo. Questo involucro ci ha aiutato anche per l'introduzione dei nuclei di distribuzione verticale, siccome era importante non debilitare o aggredire la struttura delle volte e ci ha permesso di tirare fuori e marcare la dimensione che aveva questo spazio aulico, monumentale, che corrisponde ora ad un edificio istituzionale quale è un museo. Voglio dire che contemporaneità oggi vuol dire libertà, libertà di scegliere i materiali che meglio convengono all'idea del progetto. Ovviamente i materiali sono importanti: la scelta del materiale è fondamentale per l'espressione architettonica del progetto e così la risoluzione dei dettagli costruttivi. Altrettanto rilevante è come avvicinare i materiali in maniera che l'espressività di ciascuno di loro sia crescente in relazione all'altro e non soffrano la perdita del loro potenziale espressivo quando siano messi in contatto; per esempio parlando dell'edificio di Valencia, abbiamo introdotto delle grandi lampade di vetro sospese nel vestibolo. Il materiale del tetto era di ferro nero per far apparire il vetro più fragile, più trasparente e più vulnerabile. Analogamente, l'utilizzo del cemento armato per buona parte dell'edificio, tanto all'interno quanto all'esterno, è in contrasto con un "telo" di alluminio che, con tutta la sua brillantezza, ha permesso di enfatizzare questa esperienza arida del cemento armato. Voglio dire che si devono utilizzare i materiali in maniera che questi permettano di amplificare la capacità espressiva di ciascuno di quelli con cui sono a contatto. So che tutto questo è importantissimo per la realizzazione del progetto, così come è fondamentale l'utilizzazione delle tecniche costruttive moderne alle quali sono molto attento, però sempre con la volontà di incorporarle e di farle proprie in ogni progetto. Non voglio utilizzarle nel modo indicato dalla casa costruttrice, ma sempre tentare di appropriarmene e di renderle differenti in ciascuno dei progetti.


 

FSF: Tu hai lavorato anche in Italia: com'è, rispetto alla Spagna?
GVC: La mia esperienza italiana ha riguardato due progetti molto diversi. Uno fu una proposta per la Triennale di Milano localizzata a Monteruscello, che ho realizzato con Ignacio la Peña, un architetto di Siviglia. Fu un progetto molto interessante, nel senso che si trattava di un intervento a livello territoriale. Il secondo è stato il progetto, costruito, per il Museo del Mare di Genova. Chiaramente, la prima fase del lavoro, il progetto, è uguale in Italia come in Spagna. Il cambiamento si nota nella costruzione del progetto. Io credo che, per la costruzione, la situazione dell'architettura in Spagna sia molto migliore e spero che non cambi. Ciò è vero in molti sensi, perlomeno nel modo che l'architetto ha di intendere l'architettura quale bene comune. L'architetto pensa, progetta e costruisce l'edificio. In Italia, l'architetto progetta l'edificio, ma poi la direzione dei lavori passa ad altri architetti, tecnici e ingegneri: penso che questo sia estremamente pregiudizievole, quando non dannoso, per il buon risultato dell'architettura. In Spagna l'architetto ha abbastanza potere sulle imprese costruttrici, in Italia sono le imprese che comandano. Anche in Spagna l'architetto non comanda, però ha potere, in Italia, invece, deve solo soffrire. È destinato alla sofferenza continua fino a che l'opera non è terminata, perciò credo che noi architetti spagnoli siamo più fortunati in quanto possiamo sviluppare il progetto con ogni comodità.


 

FSF: Quindi dopo l'esperienza di Genova pensi di tornare a lavorare nel nostro paese?
GVC: Credo che l'esperienza di Genova sia stata molto particolare; ad esempio, il fatto di essere stato privato della direzione lavori non mi ha permesso di costruire l'edificio come avrei voluto. Non so se questa situazione sia normale in Italia, in quanto è la mia unica esperienza professionale di realizzazione di un progetto. La ragione per la quale mi si negava la direzione dei lavori era che una supposta legge Merloni me lo impediva; ho sentito, d'altra parte, che era proprio il contrario, cioè che la legge Merloni acconsentiva che l'autore del progetto ricevesse anche l'incarico di direzione dei lavori. Non so, il Comune di Genova, ma soprattutto la società Porto Antico, mi hanno negato la direzione dei lavori sulla base di questa fantomatica legge e così mi sono sentito un po' ingannato. Il fatto di non avere la direzione dei lavori e di poter curare solo la dimensione artistica mi ha impedito di prendere decisioni importantissime durante il periodo d'esecuzione dell'opera. Direi che la qualità della costruzione lascia molto a desiderare in questo progetto e alcuni aspetti sono rimasti incompiuti. Temi che io consideravo importanti, come per esempio il vestibolo dell'entrata, i frangisole, i grandi lucernari di vetro opalino che permettevano di mitigare l'entrata della luce, soprattutto del sole, non sono stati realizzati, così come non è stato fatto neppure il soffitto di vetro nella rampa d'accesso alle coperture, al mirador. Questi sono tutti elementi assolutamente significativi per il progetto, ma non sono stati costruiti. Chiaramente, se la direzione del progetto era affidata a un architetto pagato dalla impresa costruttrice... e tutto questo non so nemmeno se sia legale. E' su queste basi che l'esperienza di Genova non è stata piacevole, in ogni caso mi piace credere che l'edificio sia buono, perché l'idea era forte e neppure un'esecuzione del tutto sommaria ha potuto diminuire l'intensità del progetto. Per esempio, penso all'effetto che si produce all'esterno del progetto con questo velo leggero di vetro, o l'introduzione di rampe all'interno dell'edificio che cercano la luce proveniente dalle parti più alte e diffusa tra rampe e scale; io penso che questa idea fosse così dominante, che la cattiva esecuzione non ha pregiudicato l'intensità della proposta. L'esperienza non è stata molto soddisfacente, però non voglio mantenere un atteggiamento negativo, e quando sono stato scelto per un nuovo concorso italiano, la costruzione del nuovo Palazzo di Giustizia a Trento, mi sono presentato, perché non mi piacerebbe, visto che adoro l'Italia, finire con questa sensazione amara dell'esperienza di Genova.