Cambridge, Massachusetts: un nuovo volume architettonico, accessibile a tutti i visitatori dal novembre 2014, si accosta alle forme del Carpenter Center for the Visual Arts, l'unico edificio progettato da Le Corbusier negli Stati Uniti. Un parallelepipedo suggestivo e innovativo, sollevato da terra e rivestito in doghe di legno color grigio chiaro, quasi argentato: sebbene il il concept sia contemporaneo, la grande forma e la pelle lignea (a tavole orizzontali) rimandano a un granaio, un fienile di una fattoria del New England (il Barn). Si tratta del rinnovamento e dell'ampliamento dell'edificio degli anni Venti che ospitava il museo Fogg, eseguiti con l'obiettivo di riunire il Fogg, il Busch-Reisinger e il Sackler, ovvero i 3 musei d'arte dell'Università di Harvard, una delle più famose e conosciute al mondo.
Alla porzione storica, affacciata su Quincy Street, è affiancata il corpo allineato a Prescott Street, completato lateralmente da due giardini d'inverno, dove alcune opere (non sensibili alla luce) saranno visibili dalla strada (una parete mobile esterna sarà in posizione diversa, a seconda della stagione, per controllare l'ingresso della radiazione luminosa). La parte nuova e quella preesistente sono sovrastate e unite da una grande copertura vetrata, fortemente in pendenza (da 24" a 60"). Oltre al blocco ligneo e al tetto vetrato, c'è un altro elemento distintivo all'interno: nella parte centrale è stato mantenuto, dopo un attento restauro, il cortile rinascimentale, il Calderwood Courtyard, realizzato sul modello di un palazzo cinquecentesco di Montepulciano, vicino a Siena. I due ordini di arcate di travertino (di Tivoli) sono stati ripuliti e allegeriti grazie alla galleria superiore completamente vetrata, a sua volta sormontata da un altro livello trasparente prima della laterna in copertura. Il quadrilatero rinascimentale è un fondamentale luogo d'incontro e di passaggio, ricrea la struttura e la funzione di una tipica piazza italiana: all'entrata storica su Quincy Street è aggiunta quella su Prescott Street, aumentando di conseguenza l'apertura e il dialogo con il territorio circostante.
Il piano terra risulta così liberamente accessibile, senza pagare un biglietto, e può anche essere solo attraversato passeggiando fra il campus e la città: un vero e proprio ambiente urbano che rende gli Harvard Art Museums parte integrante del sistema culturale di Cambridge e di Boston. L'edificio è costituito da 8 livelli: nei tre piani interrati, sotto la piazza, ci sono magazzini, laboratori, uffici, un paio di sale conferenze e un auditorium da 300 posti. Il secondo e il terzo livello sono dedicati ai visitatori: l'intervento ha aumentato del 40% la superficie a disposizione delle gallerie espositive aggiungendo la possibilità di esporre collezioni permanenti. Ai livelli superiori si hanno aree specializzate: al quarto l'Art Study Center per gli studenti occupa quasi 500 mq, includendo due aule per seminari e una reception; al quinto sono posizionati i laboratori di conservazione e restauro, che più di tutti sono inondati dalla luce naturale, un chiaro riconoscimento al lavoro dei restauratori di solito relegati in spazi piuttosto nascosti o in secondo piano. I laboratori vetrati permettono inoltre la visibilità dei procedimenti e delle tecniche di restauro aumentando il grado di scambio e interdisciplinarietà auspicato. Il progetto crea un nuovo tipo di campus, un luogo "urbano", non separato dal tessuto sociale cittadino, ma anzi, in relazione con esso proprio attraverso la promozione culturale, artistica e architettonica.
IL RIVESTIMENTO: DOGHE DI CEDRO GIALLO DELL'ALASKA
La scelta del legno per il rivestimento di facciata è presente sin dalle prime fasi del progetto: l'idea era di differenziare il nuovo volume sia dall'esistente fabbricato di mattoni che dall'adiacente Carpenter Center di calcestruzzo armato, facendo però riferimento ai vicini insediamenti residenziali (rivestiti in legno). La facciata, composta di elementi orizzontali sovrapposti, è stata studiata in modo da richiedere una manutenzione minima garantendo una massima durabilità. Oltre alla creazione di mock-up, sono stati effettuati test di invecchiamento accelerato del materiale per prevedere le conseguenze nel tempo dovute all'esposizione agli agenti atmosferici. Indagate le possibili alternative in termini di specie legnose, si è optato per il cedro giallo dell'Alaska, un legno chiaro e molto leggero. Il rivestimento è costituito da profili con diversa sezione che variano ruotando gradualmente, dando vita a una miriade di forme diverse: il produttore ha codificato tutti i pezzi per consentirne una facile identificazione nel caso fosse necessaria qualche sostituzione. Le doghe di legno sono sostenute mediante clip di alluminio fissate posteriormente (non sono visibili viti in facciata) che consentono, grazie alla spaziatura prevista, di sostituire ogni pezzo rimuovendone solo pochi adiacenti.
LIGHT MACHINE
Uno degli obiettivi del progetto sono stati la valorizzazione e l'integrazione della luce solare nelle varie attività svolte all'interno. La light machine (così è soprannominato il grande lucernario) è una risorsa vitale del museo e va a illuminare tutti i livelli: i laboratori di conservazione, le gallerie, lo study center fino a spiovere nel cortile a piano terra. Questo flusso di luce naturale riduce drasticamente la quantità di energia necessaria per l'illuminazione artificiale, pure nel periodo invernale. Naturalmente è indispensabile modulare la giusta quantità e qualità di luminosità, soprattutto in corrispondenza dei laboratori posizionati ai piani superiori; per far questo vi sono, sui due lati del vetro, sistemi di schermatura con tende a rullo e, all'esterno, lamelle vetrate con filtro UV. Il livello di ombreggiamento viene regolato mediante appositi sensori. Le schermature sono fondamentali per controllare il guadagno solare anche in termini di calore e così contribuire a mantenere il museo fresco in estate e caldo in inverno. Per mimetizzare le perdite di calore attraverso la superficie trasparente è stato utilizzando un triplo vetro riempito con gas argon per accrescere la resistenza termica e limitare la possibilità di condensa.
SOSTENIBILITÀ
L'edificio è stato di recente premiato con la certificazione LEED Gold, risultato fortemente perseguito dagli Harvard Art Museums e dai progettisti. Esemplare è l'efficienza nell'utilizzo dell'acqua: l'acqua meteorica è raccolta e utilizzata per gli scarichi dei wc, l'acqua di falda in eccedenza serve per l'irrigazione e sono stati adottati sanitari a flusso ridotto. Tutto questo ha comportato una riduzione maggiore del 50% nell'uso dell'acqua potabile. I progettisti hanno prestato particolare attenzione al risparmio energetico, consapevoli che una delle maggiori sfide nella gestione di un museo è il mantenimento di condizioni stabili per 24 ore al giorno durante tutto l'anno (il controllo dell'ambiente interno è fondamentale per la salvaguardia delle opere d'arte). L'involucro è altamente performante dal punto di vista della termotrasmittanza e sono stati eliminati i ponti termici che creano un decremento della capacità isolante delle chiusure. Gli impianti sono stati progettati per diminuire al minimo le perdite energetiche: l'impianto meccanico è dotato di recuperatori di energia, ventilazione controllata in base alle esigenze e distribuzione dell'aria a volume variabile; l'impianto elettrico, oltre a sofisticati sistemi di controllo, prevede un ampio utilizzo di lampade led.
Scheda progetto
Progettista: Renzo Piano Building Workshop with Payette
Committente: Harvard Art Museums
Superficie costruita: 18,500 mq
Periodo di costruzione: 2009-2014
Photos: Nic Lehoux, Peter Vanderwarker
Arketipo 93, maggio 2015, Recupero