Tra le colline dell’Alentejo, dal tipico paesaggio rurale caratterizzato da viti, ulivi e lecci, il programma architettonico richiedeva un edificio estremamente complesso per la molteplicità di funzioni da accogliere al suo interno e la diversa fruizione che questi spazi dovevano avere. Consapevole dell’impatto ambientale che tutti i luoghi industriali hanno sul territorio, la committenza ha individuato nel terreno di circa 300 ettari con 26 ettari di vigneti il luogo ideale in cui realizzare la nuova cantina, nascondendo sotto la copertura verde tutto il sistema infrastrutturale e i servizi necessari all’edificio per il suo funzionamento. Il tetto giardino diviene così un elemento iconico, necessario a recuperare la superficie sottratta alla natura e a ridurre il consumo effettivo di suolo, per destinarlo a vigneto. L’obiettivo era quello di preservare l’equilibrio trovato sul posto: “La morfologia del terreno esistente è stata così decisiva per la definizione del progetto, tanto da rendere imperativo mantenere invariato il territorio, anche se soggetto a un intervento con un simile volume di costruzione” (Valsassina).

Una progettazione a impatto zero è uno dei punti di forza del progetto: si usa tutto quello che la natura mette a disposizione. Lo stesso scavo è derivato dalla necessità di prendere energia dalla terra per raffrescare il vino, che va conservato a una temperatura di 15 - 18 °C costanti, in modo naturale, senza sistemi impiantistici, grazie agli spazi voltati. Inoltre, nella produzione, l’opzione di seppellire la cantina, proiettandola su più piani fino a 40 m di profondità, ha permesso di utilizzare la forza gravitazionale nel processo di vinificazione, rispettando le masse di vino e utilizzando le più avanzate e innovative tecniche di enologia. Per questo motivo è stato anche possibile creare le migliori condizioni termiche per la conservazione del vino data la riduzione dell’ampiezza termica e i valori di bassa temperatura. La transizione fluida e sequenziale degli spazi accompagna la visita dell’opificio, oltre a comunicare fisicamente e visivamente il profondo legame con la terra. Il linguaggio minimale delle forme architettoniche realizza l’effetto scenico dell’edificio, affascina il visitatore e lo convince a percorrere tutti gli spazi per comprenderne la gerarchia funzionale, distinguendo e individuando ciascuna delle zone produttive e degli ambienti di accoglienza del pubblico.
All’interno, si articolano due percorsi - uno per i lavoratori e uno per i visitatori - che consentono la completa accessibilità dell’edificio secondo una distribuzione “circolare” su tre livelli. Il percorso delle attività produttive inizia dall’accesso dei mezzi che trasportano le uve, raccolte e precedentemente selezionate in base a terroir e varietà, per avviare il processo di macerazione per 24 ore a bassa temperatura.

Segue, alla stessa quota, la fase di diraspatura con successiva discesa alla quota inferiore, senza pressione o pompaggio, in presse pneumatiche in totale assenza di ossigeno, per impedire qualsiasi possibilità di ossidazione. Dopo l’introduzione di lieviti, selezionati per ogni tipo di vino e varietà d’uva, inizia la fermentazione e le estrazioni, differenti per struttura, longevità e complessità dei vini. Prima di venir imbottigliato, una volta completata la fermentazione, il vino viene sottoposto a travasi e filtrazione - per gravità, verso l’ultimo livello della costruzione - a cui segue un periodo di assestamento e maturazione nelle botti. La barricaia è, dunque, il cuore pulsante dell’edificio: una lunga sala a sezione circolare, nella parte più profonda della cantina. La posizione favorisce il mantenimento di una temperatura tra 15° e 18° C e un’umidità media dell’85% con un uso ridotto di climatizzazione artificiale: le condizioni ideali per una buona evoluzione del vino. A sbalzo sulla barricaia, si affaccia un volume vetrato, destinato alle riunioni di rappresentanza e degustazione degli addetti ai lavori. Terminata la maturazione, il vino viene nuovamente travasato, filtrato e imbottigliato. A questo punto deve nuovamente stabilizzarsi, pertanto viene fatto affinare in bottiglia, per riprendere il viaggio “ascensionale” che lo riporta in superficie.
Parallelamente agli spazi produttivi, si snoda il percorso attraverso le sale di accoglienza dei visitatori, degustazione e vendita al pubblico, oltre agli spazi amministrativi. Elemento unificante del progetto è la rampa circolare che in un gesto, avvolgente e delicato, raccoglie i diversi circuiti e altezze dell’edificio. Il visitatore è invitato a percorrere gli spazi, scoprendoli individualmente secondo la loro gerarchia: “L’architettura audace e dinamica degli interni presenta livelli collegati da una passerella a spirale dinamica e inclinata, che ricorda un cavatappi che si attorciglia nella terra”.
Un’architettura generosa, dunque, che costruisce e valorizza il paesaggio, che ha saputo comprendere l’identità dei luoghi e la storia di un territorio antropizzato attraverso una gestione etica delle scelte progettuali e delle modalità costruttive.

 

Eco-cantina ipogea
Le cantine della Herdade do Freixo, con un volume che si espande sottoterra fino a una profondità di 40 m, realizzano un edificio ad alto risparmio energetico e a bassa antropizzazione del territorio. Una struttura ipogea di tali dimensioni, per definizione, individua un sistema a basso impatto ambientale, energeticamente sostenibile. Il sottosuolo è un ricettacolo ideale di energia: la massa del terreno, caratterizzata da bassa conduzione ed elevata capacità termica, riesce a mantenere costante per tutto l’anno una temperatura compresa tra i 10 e i 15 °C circa, ideale per la conservazione, la maturazione e l’invecchiamento del vino. In una cantina ipogea si riescono quindi a ottenere condizioni ambientali tali da eliminare o limitare i consumi degli impianti di condizionamento nelle barriccaie. Al livello del terreno, è stato realizzato un piano coltivato, reimpiantando vitigni in continuità con quelli circostanti. La copertura verde contribuisce fortemente alla causa del risparmio energetico, innalzando i valori di isolamento termico dell’involucro sottostante, da un lato. Dall’altro consente l’attuazione di un ciclo produttivo a basso consumo energetico: la vinificazione per caduta. A partire dalle coltivazioni, con la complicità di una struttura completamente ipogea, le zone produttive sono dislocate a “cascata” e accompagnano gradualmente lo sviluppo sotterraneo dell’edificio. Si parte in alto dove vengono raccolte e conferite le uve, fino ad arrivare al piano più basso, dove viene lavorato e conservato il mosto. Il tutto avviene semplicemente per caduta, sfruttando la naturale gravità, senza l’ausilio di pompe.

Il linguaggio dei materiali
Il design dalle forme pure e lineari - con chiari rimandi al quadrato, cerchio e triangolo - si fonda sul concetto di un edificio intimamente legato alla natura, alla semplicità. Per questo i progettisti hanno scelto, come unico materiale caratterizzante, il calcestruzzo armato con rasatura superficiale tixotropica - particolarmente adatta agli ambienti ipogei - pigmentata con i colori della terra. La possibilità di una finitura continua e omogenea e le proprietà meccaniche di un materiale fortemente evocativo degli spazi imponenti, in grado di contrastare la naturale forza del terreno, ma allo stesso tempo di non entrare in conflitto, lo rendono protagonista della realizzazione. L’intero volume monolitico è staccato dal terreno mediante un cavedio tecnico che assume l’importante ruolo di aerazione degli spazi, mentre il patio centrale, dominato dalla rampa elicoidale, prende luce dal grande lucernaio ovale, in sommità. Per la definizione degli interni destinati all’accoglienza e alla degustazione dei vini il calcestruzzo pigmentato e il vetro si integrano con il legno. In particolare, nella sala a sbalzo sulla barricaia, le pareti, interamente rivestite in legno di quercia francese, creano un forte legame materico con le botti a vista, mentre la galleria si caratterizza ancora con superfici di calcestruzzo pigmentato senza soluzione di continuità. Solo, in un angolo, emerge la presenza di un blocco roccioso, quasi a ricordare il forte legame tra il costruito e la terra a cui essere grati.

Sezione. ©Stefano Ravasio

 

Scheda progetto
Architetti: Frederico Valsassina, Susana Meirinhos
Collaboratori: Henrique Oliveira, Rita Gavião, Diana Mira
Località: Redondo, Portugal
Committente: Adega Herdade do Freixo
Area costruita: 1.941,00 mq
Area lotto: 2.800.000,00 mq
Project year: 2012
Built year: 2016
Interiors: Marta Valsassina
Main Contractor: Casais
Structures & Hydraulics: ADF
AVAC: GET
Electricity and Safety: Raul Serafim & Associadosw
Photo: Fernando Guerra | FG + SG

Terra, Arketipo 136, 2020