Junya Ishigami svolge da anni una ricerca progettuale estremamente originale, che si è più volte espressa attraverso opere realizzate che ne hanno mostrato la grande forza espressiva, incentrata, ma non solo, sulla naturalità e su una tensione verso l’annullamento dei confini tra paesaggio esterno e spazi interni. Le sue architetture permettono a chi le vive di avere un’esperienza che coinvolge molti sensi, non solo la vista. Ogni suo lavoro è frutto di un lungo tempo di analisi e ricerca, sia progettuale che tecnica. Rimandiamo in tal senso anche agli altri tre progetti apparsi su Arketipo: uno quest’anno (numero 168), e due nel 2019 (numero 127). L’opera che pubblichiamo in queste pagine, la casaristorante costruita nel sud del Giappone nella città portuale di Ube, nella prefettura di Yamaguchi, è frutto di un processo durato ben dieci anni che, come spesso avviene, è giunto a compimento anche grazie ai forti legami presenti, nonché alla determinazione e pazienza, dei protagonisti di questa esperienza affascinante e complessa. La genesi del progetto si deve infatti all’amicizia di lunga data tra Ishigami e il ristoratore Motonori Hirata, chef esperto di cucina francese. Hirata aveva il sogno di dare al suo locale, la Maison Owl, una nuova sede che fosse definitiva e avesse delle caratteristiche speciali, qualcosa che meritasse di essere lasciata ai suoi figli e nipoti. Chiese a Ishigami, in modo un po’ criptico, un edificio che fosse il più “pesante” possibile, “…un'architettura la cui pesantezza aumenti con il tempo, non artificialmente liscia, ma piuttosto qualcosa che abbia la ruvidità della natura. Le cucine autentiche richiedono un luogo del genere”. Aggiunse inoltre “deve sembrare che sia lì da sempre e che continuerà a esserlo per molto tempo”. Non a caso oggi, che il ristorante è stato completato (e si accede solo su invito personale), la homepage del suo sito si apre con una suggestiva foto di cantiere, che sembra immortalare una grotta naturale, con la frase di Hirata che afferma “sembra che sia lì da 10.000 anni e che lo sarà per altri 10.000”. Ulteriore richiesta, voleva che fosse un luogo dotato di un forte carattere di domesticità, con il ristorante integrato alla sua casa e con spazi pensati in modo tale che, quando non vi sono gli ospiti, potessero essere usati dalla famiglia e vi potessero giocare e studiare liberamente i figli. Un luogo in cui accogliere amici e conoscenti come se li si invitasse a casa.

Partendo da queste richieste, dopo aver studiato il sito di progetto, Ishigami comprese come per realizzare i desideri di Hirata fosse necessario allontanarsi, sia con la vista, ma anche con gli altri sensi, dal contesto costruito degli edifici adiacenti, intuendo la potenzialità di realizzare un’architettura che fosse interamente incassata nel terreno ma che, al tempo stesso, sembrasse ricavata all’interno di un luogo esistente da sempre, un largo avvallamento naturale dotato di una grotta, immersa però costantemente nella luce del giorno. Un ambiente “naturale”, libero, aperto e senza “pareti”, da cui si potessero contemplare, placidamente e nel silenzio, una vegetazione rigogliosa e superfici grezze e materiche illuminate in modo cangiante durante il giorno dalla luce naturale. In modo molto giapponese, Ishigami pensò inoltre a qualcosa che nascesse grazie a un processo che richiedesse anche una forte dose di manualità, esattamente come è l’atto creativo del cucinare, riprendendo concettualmente anche alcuni processi produttivi ancestrali che lavorano a rovescio, in cui l’oggetto da realizzare prende forma all’interno di un contenitore che si deve poi rimuovere o “rompere” per rivelarne il prodotto finale (si pensi alla tecnica della cera persa). Ne è nata un’organizzazione planimetrica fortemente organica, che evoca una grotta naturale ipogea, con un ambiente open space in cui il ristorante occupa le aree a nord e la casa quelle a sud, ricevendo luce da tutto il perimetro (le separazioni tra esterno e interno sono costituite da quasi impercettibili lastre sottili di vetro fortemente trasparente) e da tre patii interni. Partendo da queste suggestioni il progetto prese a poco a poco forma e venne coinvolto anche un noto strutturista, il professor Jun Sato, già protagonista di altre architetture sfidanti. Dopo molti studi e valutazioni, si giunse a un modello fisico tridimensionale del progetto, che venne poi convertito in un modello digitale che è stato, nei vari anni di costruzione, lo strumento fondamentale per giungere alla realizzazione finale. Il processo che ne è nato, progettuale e costruttivo, è stato quindi non solo fortemente originale, ma anche molto ardito e sfidante, sia nella sua complessità interdisciplinare sia dal punto di vista della esecutività e dei tempi. Sin dall’inizio, il gruppo di lavoro concordò con l’idea di condividere, accettare e adattarsi, in modo “naturale”, alle inevitabili imprecisioni e agli imprevisti che si rilevavano e manifestavano man mano in cantiere, convinti che questi permettessero di realizzare un’architettura in grado di interiorizzare veramente le “distorsioni e le incertezze naturali”.

Favoriti dal fatto che il terreno naturale del sito aveva una compattezza talmente forte da permettere di scavarlo con un angolo vicino alla perfetta verticalità ottenendo pareti di scavo in grado di autosostenersi, la costruzione iniziò realizzando, in gran parte manualmente, delle buche nel terreno. In tal modo, con molta pazienza, ingegno e maestria, la terra diventò la cassaforma naturale in cui gettare successivamente la struttura di calcestruzzo armato. In questa, come in tutte le fasi successive, fu essenziale collegare il modello tridimensionale digitale a uno strumento di rilevamento a stazione totale che consentisse, ad esempio, di determinare, con una precisione accettabile, le superfici geometriche da scavare. Gli operai che scavavano, grazie a un tablet, riuscivano a comunicare e confermare la posizione e la geometria degli elementi che progressivamente plasmavano. Dopo che la struttura giunse a maturazione, nel rimuovere la terra presente tra i vari elementi, i componenti in calcestruzzo armato risultavano totalmente ricoperti di fango incrostato. Per questioni naturali e geologiche, l’aspetto del terreno in adesione sulla struttura, oltre a essere fortemente suggestivo, era anche diverso nelle varie zone, evocando ancor di più la percezione di essere all’interno di una grotta con la sua matericità imperfetta. Si scelse quindi, cambiando opinione rispetto all’idea iniziale, di non rimuovere il fango, ripensando a molti aspetti del progetto, “capovolgendo la prospettiva, facendo riferimento alla struttura della grotta per determinare il numero e la posizione delle superfici vetrate, la disposizione e le dimensioni dei mobili, la collocazione e l’aspetto dei terminali impiantistici a vista”. È in questa fase del processo che hanno preso forma anche gli elementi che sono stati incassati nel terreno, portandoli ulteriormente al di sotto del piano di pavimento - le cucine, il soggiorno e le vasche - rendendo così ancora più ipogeo e dando ulteriori aspetti di suggestività allo spazio interno. Tutti gli elementi costruttivi seguono coerentemente le logiche di progetto, dalle superfici della copertura e dei pavimenti, lasciate in cemento grezzo a vista, fino alle lastre perimetrali di vetro sottile - realizzate in modo meticoloso una a una - per adattarsi e inserirsi perfettamente all’interno della struttura nascondendo in modo minimale i giunti. Ogni oggetto, compresi arredi e impianti, è stato disegnato su misura. La naturalità vede come elemento essenziale anche il progetto paesaggistico, sempre di Ishigami; il rapporto col verde, la contemplazione, si realizza con la presenza consistente di piante di ben 48 essenze diverse distribuite su tutta la superficie dei pendii perimetrali e nei patii. Ishigami, con Hirata e Sato, realizza qui un’opera totale che fa riflettere e volutamente sfida i confini rigidi tra le discipline: arte, architettura, ingegneria - dando vita a un luogo speciale in cui si stimolano, sicuramente ma non solo, vista, tatto, udito, olfatto… e gusto!

CURVATURA LIBERA REALIZZATA CON CASSEFORME IN TERRA (I)
Nel progetto di Ube, anche la struttura ha portato a ragionare in modo alternativo, “a rovescio”, “capovolto”. Per realizzarla, un punto di partenza importante è stata la compattezza del terreno naturale del sito, talmente alta da consentire di scavare praticamente in parete verticale, con terra che si autosostiene senza cedimenti a riempire lo scavo. Tale aspetto ha permesso di usarla come cassero naturale, oltre a poter realizzare, con angoli in forte pendenza, anche i pendii presenti tutti attorno all’edificio nel progetto finale. Grazie alla cassaforma in terra, inoltre, si sono potute realizzare superfici con una curvatura molto più accentuata rispetto a quello che si riesce a ottenere con casseforme tradizionali in tavole o pannelli, dando ai pilastri a imbuto la desiderata forma più irregolare. Realizzare buche profonde con questa geometria è stato particolarmente complesso. Esse sono state meticolosamente scavate a mano utilizzando vari strumenti, resisi necessari in particolare nei punti più profondi, in cui nessun operaio sarebbe riuscito a calarsi e scavare con accuratezza. Oltre al processo di guida e monitoraggio - di cui si è già detto - che è stato sviluppato per aiutare chi scavava a seguire fedelmente, nei limiti del possibile, la geometria progettata, tutti i protagonisti, progettisti e imprese, hanno tollerato e integrato nella costruzione, il più possibile, fattori imprevisti come per l’appunto gli errori dovuti al lavoro manuale, i lievi cedimenti del terreno o la crescita dell’erba sugli scavi. In tal senso, costantemente, il modello digitale tridimensionale veniva man mano aggiornato con le diverse modifiche derivanti dai processi manuali e dai cambiamenti in fase di cantiere. Dal punto di vista progettuale, la struttura portante ideata dal professor Jun Sato, è un manufatto in calcestruzzo armato gettato in opera che sfrutta il suo grande volume per ridurre al minimo l’esigenza di armature, complesse da posizionare dentro le buche, per giunta in modo preciso. Infatti, come si può notare dalle immagini di cantiere, esse sono meno dense rispetto a una struttura tradizionale di questo tipo. Negli elementi verticali, che formano le colonne, a causa delle citate imprecisioni nello scavo, le armature sono state progettate e posizionate a 10 centimetri di distanza dal perimetro (quindi con un copriferro di circa il doppio rispetto al normale), fatto reso strutturalmente possibile grazie al già citato grande volume degli elementi. Le gabbie di armatura degli elementi verticali sono state poi, a scavo completato e rilevato, prima assemblate singolarmente a terra e poi successivamente calate dall’alto, una a una, direttamente dentro le buche.

CURVATURA LIBERA REALIZZATA CON CASSEFORME IN TERRA (II)
Gli elementi strutturali orizzontali, che connettono tra loro le colonne a imbuto, sono geometricamente assimilabili a delle travi estese, tridimensionali, a sezione a D, con il lato piatto rivolto verso il cielo e la “pancia” verso l’interno dell’edificio. In questo modo, la superficie di copertura rimane piana come richiesto progettualmente (in realtà ha delle lievi pendenze per dirigere la pioggia verso il perimetro esterno e verso i patii), mentre lo spazio interno assume l’aspetto tipico dei tetti delle grotte. In questo modo, l’ottimizzazione nel dimensionamento della sezione strutturale della trave è avvenuta lavorando solo sulla coordinata geometrica Z della “pancia” della trave a D, consentendo di ridurre fortemente la necessità di armature, potendo nuovamente sfruttare la resistenza data dal grande volume. La forma finale realizzata è visibilmente diversa da quella ottimizzata che avrebbe avuto una struttura a guscio, proprio perché la struttura di Ube lavora per volume e non per forma sottile; quindi, ha già di suo un’elevata resistenza a flessione. Dopo aver gettato colonne e travi e aver atteso la maturazione del calcestruzzo, il terreno interno tra gli elementi strutturali è stato rimosso, con escavatori e manualmente. A quel punto, proprio perché come detto in questo progetto si opera “a rovescio”, giunse il momento di realizzare le fondazioni sotto alle colonne. Anche in questo caso, nel progettare la struttura e le fasi di cantiere, si è sfruttata la già citata compattezza del terreno. Fino a quando la struttura poggiava sulla terra, il piccolo piede alla base delle colonne era sostenuto dal terreno compatto, aiutato leggermente dal fatto che il carico puntuale era stato un po’ distribuito grazie a delle piastre sottili in lamiera di acciaio che erano state saldate sulle gabbie di armatura in corrispondenza delle basi. Agendo una colonna alla volta, si è quindi rimossa la terra sotto la base e si è realizzata la fondazione al piede, che poi veniva subito connessa alla soletta portante contro terra, presente su tutta la superficie in pianta, che veniva costruita man mano. In questo modo, mentre si realizzava la singola fondazione, le altre colonne, nel complesso, reggevano l’insieme. Ulteriore aspetto di complessità è stato la realizzazione delle pareti vetrate, costituite da sottili lastre di vetro singolo temperato, da 8 a 12 millimetri a seconda dei casi, posizionate senza telaio all’interno dei perimetri determinati dalla struttura, per farle percettivamente quasi scomparire alla vista. Per costruirle, garantendone la perfetta aderenza visiva alla struttura evitando che i movimenti della stessa le inducessero a rottura, è stato necessario rilevare in modo estremamente preciso la geometria frastagliata irregolare di ogni singolo foro e, successivamente, produrre le singole lastre.

Scheda progetto
Architect: junya.ishigami + associates
Structural engineering: Jun Sato Structural Engineers
Design period: 2013-2016
Construction period: 2016-2022
Total floor area: 195 mq
Client: Motonori Hirata
Architectural design: Junya Ishigami, Taeko Abe, Jaehyub Ko, Takuya Nakayama
Structural engineering: Jun Sato, Yoshihiro Fukushima
Lighting and interior design: junya ishigami+associates
Lighting advisor: Izumi Okayasu Lighting Design
General contractor and manufacturers: Akita Kensetsu Co.
MEP contractor: Echo Mechanical Plumber
Landscape contractor: SOLSO, Takayama Zoen
Glass contractor: Meiji Glass Company Limited, Kensuke Kashihara
Photos: Junya.Ishigami+Associates, Maison Owl, Jun Sato Structural Engineers

 Arketipo 170, Hypogeum, Dicembre 2023