Opere – Il progetto realizzato in Svezia dallo studio Chipperfield è caratterizzato da una forte dimensione plastica

È certamente interessante che, chiamato a progettare un'opera il cui scopo - per volontà dei promotori - consiste nel saggiare la relazione tra architettura e arte, Chipperfield progetti, non una scultura, ma una piccola architettura. La scelta è indicativa di come, nella sua ricerca, l'arte - certamente presente e con un ruolo importante - sia al servizio dell'architettura e non viceversa. Nel Padiglione di Kivik sono in gioco tutti i principali temi compositivi dell'architetto inglese. Innanzitutto, in stretta affinità con un'altra architettura-manifesto come la casa per sé a Corrubedo (1996-2002), si mettono qui in scena, in forma astratta e perciò ancora più emblematica, tre differenti concezioni spaziali che si rincorrono nella sua opera: la scatola muraria della architettura tradizionale - l'architettura come protezione dalla natura -, lo spazio aperto modernista - il mito di un sereno e legittimo abitare dell'uomo nella natura -, infine l'osservatorio sulla circostanza, lo sguardo pieno ma protetto sul reale, il compromesso tra chiusura e apertura al mondo che caratterizza molte ricerche fondate, come quella di Chipperfield, su una concezione esperienziale, in cui il movimento, più che una statica visone, planare o prospettica, genera la forma architettonica.

Una forte dimensione plastica
Ed è appunto il movimento il secondo tema progettuale che caratterizza la piccola opera svedese. I tre luoghi, le tre spazialità sopra descritte, non restano isolate ma vengono collegate da un percorso di ripida risalita, una spirale che in pochi passi le attraversa offrendo una sintesi estrema di esperienze architettoniche radicalmente differenti. La composizione dell'edificio è tutta nei due temi ora detti: percorso e caratterizzazione degli spazi. La forte dimensione plastica che ne deriva non richiede altri riferimenti di natura strettamente artistica o scultorea. È semmai interessante osservare i valori figurativi e scultorei offerti da tali procedimenti squisitamente architettonici. Ma il carattere complessivo dell'edificio è determinato anche da un altro dei procedimenti che caratterizzano il modo di operare dell'architetto: il trattamento delle superfici e l'accurata materializzazione delle forme trovate seguendo vie che, come si è sopra illustrato, sono di natura non figurativa.

Molteplici riferimenti
La ricerca sulle superfici materiche - in questo caso sul cemento armato - è strumento principe per un progetto che pone tra i suoi obiettivi primari l'insediarsi in un luogo senza turbarlo, costruendo una nuova presenza che sia conferma del luogo stesso, suo rafforzamento e ispessimento piuttosto che sovvertimento radicale dell'ordine esistente; una nuova orditura nella trama dell'esistente. Talvolta - nei progetti di Chipperfield - il gioco delle superfici rimanda alle caratteristiche materiche del luogo - naturale e artificiale -, in una composizione-esposizione di differenti testure e qualità, che può variare dalla gamma delle materie tradizionali, con il loro invecchiamento, alla maggiore astrazione di vetro e cemento, utilizzando una serie di riferimenti figurativi che vanno dal minimalismo - così spesso citato a proposito di Chipperfield, forse in modo troppo onnicomprensivo per una architettura in realtà estremamente complessa - alle più varie ricerche contemporanee sulla espressività della materia in sé. Altre volte, come in questo caso, il tema della testura delle superfici è, non tanto richiamo delle caratteristiche materiche del luogo, quanto ricerca di una giusta presenza dell'edificio, i un equilibrio tra affermazione della nuova forma e sua negazione o integrazione nell'esistente.

Una presenza passiva dell'architettura
Il tema si ricollega alla già sottolineata metodologia progettuale che si basa non sull'invenzione di una figura a priori, ma sulla progressiva visualizzazione dei risultati di una ricerca più strettamente architettonica, fondata sul riflessione relativa al programma e alla struttura spaziale che ne deriva, giungendo alla definizione di un aspetto esterno solo come esito finale della ricerca. Tale aspetto esterno, risultato di un processo e non frutto di una invenzione figurativa, pone un problema di identità della figura ottenuta che conduce, qui, alla scelta di una superficie esterna di natura sostanzialmente isomorfa in grado di garantire una “presenza passiva” dell'oggetto architettonico, per usare una espressione dello stesso Chipperfield. La relazione indagata non è quella tra identità della singolare figura dell'edificio e testura del luogo, ma più direttamente tra presenza e assenza, ovvero tra una presenza, per così dire, affermativa o passiva.