Spagnola di nascita ma italiana di adozione (si è laureata in architettura a Milano con Achille Castiglioni), Patricia Urquiola è una delle designer più rappresentative del panorama internazionale, con progetti che spaziano dall'arredamento all'illuminazione fino al mondo del bagno. E oggi, per la prima volta con Rosenthal, si avvicina al mondo della tavola con “Landscape”, un servizio il cui concept comprende piatti, posate, bicchieri e una raffinata collezione di biancheria per la tavola, presentato in anteprima a Francoforte e in Italia a Milano, durante le giornate del Salone del Mobile presso la Galleria Nicola Quadri. L'abbiamo incontrata in questa occasione, per una conversazione (a ruota libera, come è nel suo stile) sul tema del progetto e del suo modo di fare design.
Come è nato “Landscape”?
A casa mia c'era un servizio di Rosenthal, che risaliva all'epoca del matrimonio di mia madre. Per me è stata quindi una grande soddisfazione poter lavorare con questa azienda che rimanda all'immaginario della mia infanzia. L'idea è stata arrivare a ottenere uno spessore sottilissimo con metodi di stampaggio raffinatissimi, una trasparenza animata dal decoro, tono su tono, a cui si arriva attraverso l'uso del bassorilievo. Il primo anno (sui quattro complessivi attraverso i quali si è sviluppato il progetto) è servito per decidere e mettere a punto le forme, molto basic. Poi, il secondo anno, sono arrivate le invasioni sulla forma: i decori, fiori, vegetali, punteggiature che risaltano nel gioco delle trasparenze attraverso la luce. Bassorilievi di varie tipologie, tutte diverse, ma che potessero convivere armoniosamente sui vari pezzi.
Come pensa che si inserisca “Landscape” nel comparto della tavola?
Ormai non si pensa più a una collezione per la tavola tutta coordinata. Pochi si sposano, molti convivono unendo le case e gli oggetti, o divorziano (come è successo a me, che mi sono ritrovata con metà del mio servizio...), quindi a nessuno interessa più un servizio di piatti tradizionale. “Landscape” è rivolto a chi ama la porcellana ed è “compromesso” con il design: si tratta di un pubblico non tradizionale, che oggi beve un caffè lungo, ma apprezza anche una bevanda orientale. Per questo tra i pezzi previsti ci sono le classiche tazze con il manico ma anche le tazzine senza.
I designer si confrontano con tipologie di prodotto per logiche d'uso differenti: come è possibile declinare questi diversi modi d'uso in uno stile preciso e personale?
Oggi è molto forte il senso della libertà: per esempio alcune persone, di un servizio, vogliono acquistare solo i piatti per il dolce. Oppure un servizio da caffè. Io stessa uso il vecchio servizio di Rosenthal di mia madre, di cui ormai sono rimasti pochi pezzi, oppure un servizio di Wedgwood, molto bello, ma per il dolce utilizzo dei piatti di plastica acquistati al mercatino. Esattamente come succede in casa, dove le sedie di Ikea riescono a convivere con un tavolo della B & B. C'è molta disinvoltura nell'uso e anche il lusso deve lavorare in questo spirito. Gli oggetti di design riescono ad avere questa elasticità, aggiornandosi in base a quello che la società richiede.
Secondo lei cosa significa innovare in questo settore?
Essere rispettosi delle esigenze del proprio pubblico, riflettere e saper dare risposte oneste e sincere. La scelta della tipologia dei pezzi di questo servizio riflette tutto ciò: posso scegliere oggi di servire un risotto in un piatto piano, ma anche in un piccolo ovale. Ho amici che cucinano, oltre ai nostri piatti, anche ricette della cucina orientale: le posate “Landscape”, per esempio, prevedono anche i chopstick e il cucchiaio corto. Anche questi stili di consumo fanno parte della nostra società e quindi i prodotti di lusso (che per me equivale al concetto di prodotti di qualità) nati da un progetto di design devono aggiornarsi in questa chiave.
Quali stimoli le ha offerto il settore degli oggetti per la tavola?
Moltissimi. Tra l'altro, questa collezione prevede anche una serie di vasi che mi hanno dato una grande libertà: ho lavorato su forme neutre aggiungendo vari tipi di decori (dall'oro, ai colori, ai motivi bianco su bianco). Per un mercato diverso, più trasversale, in grado di accogliere queste libertà.
Che cosa significa per lei pensare, progettare e realizzare proposte che per guardino al mondo dell'arte e della fantasia?
Vorrei più mostre di pezzi di produzione nelle gallerie d'arte, come la galleria di Nicola Quadri, non per il gusto didattico ma per la poesia che questi ambienti sanno emanare. Ciò non significa che io mi senta di creare opere d'arte. Potrei farlo, ma ho scelto di mettere la mia creatività al servizio della progettazione dell'oggetto d'uso. Non mi interessano le piccole tirature: non voglio rinunciare a quell'emozione che è la più bella di tutte, quella di lasciare dei segni nella vita quotidiana.
Intervista –
Secondo la designer Patricia Urquiola, autore del servizio Landscape, i gusti del pubblico del settore tavola sono molto diversi rispetto al passato