Interviste – La creativa turca, trapiantata a Milano, ha lavorato anche per lo studio giapponese Isao Hosoe

La designer turca Inci Mutlu (diploma in industrial design all'Università di Ankara nel 1994), trapiantata in Italia da diversi anni (stage alla Domus Academy e collaborazione con lo studio di Isao Hosoe), ha collezionato alcuni premi internazionali (tra cui quello per il miglior progetto di bagno nel concorso di Elle Decor nel 2005) e ha aperto un proprio studio a Milano, Mutlu+Milano Design Studio (dal nome del suo collaboratore Luca Milano). Tra le aziende con cui ha lavorato ci sono Koziol, San Pellegrino, Guzzini, Vitra, Droog Design, per citare solo quelli più noti in Italia. La Mutlu si è raccontata a Bagno e Accessori, bimestrale del Sole 24 Ore Business Media.

Alle signore non si chiede l'età, ma lei mi sembra molto giovane.
Lo prendo come un complimento: ho 35 anni e penso di essere “nel mezzo del cammin” della mia vita. Ho sempre agito nel campo del design e sono arrivata in Italia circa sette anni fa.

Dalla Turchia all'Italia, dalla laurea ai workshop postuniversitari. Cosa l'ha spinta a lasciare il suo paese di origine?
Imparare e produrre: perché la mia motivazione è imparare e insegnare.

A quale dei due paesi in cui lavora si sente professionalmente più legata, o si ritiene cittadina del mondo?
Penso che si appartenga al proprio luogo d'origine. La Turchia è un paese bellissimo, schizofrenico, a cavallo tra Asia e Europa. Il viverci lontano mi ha arricchito, ha allargato le mie conoscenze e mi ha dato l'impulso a non fermarmi, a investigare realtà diverse.

Quali risultati ha ottenuto dalla sua collaborazione con lo studio di Isao Hosoe, tra i più importanti progettisti giapponesi in Italia?
Isao mi ha fatto capire che dovevo aprire uno studio mio, che ho un metodo personale di sviluppare le idee, e mi ha insegnato la pazienza. Anche Antonio Citterio, che ho incontrato a Domus Academy, mi ha consigliato questa strada.

Impresa coraggiosa aprire un proprio studio: cosa l'ha spinta?

Mi piace realizzare i miei sogni.

Come si è presentata sul mercato professionale?
Fin dalla mia permanenza a Istanbul ho lavorato per imprese europee. In Italia è stato il logico proseguimento del mio lavoro: ma non è una strada facile. Fin da studente mandavo da Istanbul i miei progetti in Finlandia, Italia, Germania. Ma i giovani oggi mancano proprio di pazienza: invece non bisogna mai gettare la spugna.

Quali le ricadute professionali dei premi ottenuti in Turchia, negli Stati Uniti e oltre?
Il premio statunitense (il Viridian Design del Sustainability Institute) vinto quando ancora ero a Istanbul, mi ha procurato l'invito negli Usa per un'intervista al New York Times. Il progetto è stato poi discusso con Philips e Samsung: un certo successo. I premi generalmente fanno sì che si sia rispettati professionalmente, ma io li considero puri espedienti commerciali.

Quali le aziende più importanti con cui ha collaborato? Quale il rapporto che si instaura tra progettista e impresa?
Qualunque sia l'impresa con cui lavoro, questa è per me la più importante. Dal momento creativo fino al mercato, seguo il prodotto in tutte le fasi, dagli stand ai cataloghi e oltre, per un'unica possibile comunicazione.

Si legherebbe ad una sola azienda?
Se un'azienda mi dà la sua fiducia, non lavoro nello stesso tempo per un'altra impresa dello stesso settore: lo considero un imperativo etico. Ma non mi piace lavorare per un'azienda che cambia continuamente i designer cui si rivolge.

Ritiene che essere donna influisca sulla carriera professionale?
Certo: essere donna ha caratteristiche diverse nella personalità: Creiamo quello che siamo: più sensibili, più visionarie, più istintive. Mentre gli uomini sono più pratici, più “business oriented”. In questo senso può essere interessante una joint venture con un partner. Il ventaglio dei prodotti da lei disegnati è assai vasto.

C'è un settore che le ha dato maggiori soddisfazioni? O le ha creato maggiori difficoltà? Quali sono i progetti con cui vorrebbe confrontarsi, quali i settori non ancora toccati dalla sua attività?
Tutti i settori - arredamento, materiali plastici, sanitari, ecc. - hanno aspetti difficili: non è facile indicarne uno. Quello comunque che mi interessa è fare qualcosa per migliorare la qualità della vita, risolvere qualche problema: mi pare questo il problema importante.

Quale significato dà al concetto di design? Soprattutto in un mondo che tende alla globalizzazione, se non alla omologazione? Lei ha detto che il design dovrebbe migliorare la vita: in che modo?
Cerco col design di ispirare l'utente, fornirgli delle idee, rendergli più gradevole la vita, in un certo senso renderlo libero, affrancarlo da idee convenzionali. Il designer dovrebbe trasformare i valori tradizionali in un linguaggio contemporaneo.

Che importanza ha per il progettista l'uso di nuovi materiali e di nuove tecnologie? Come li ha utilizzati nel suo lavoro?
E' una fortuna per il progettista lavorare su materiali nuovi. Al momento stiamo lavorando su un tessuto impalpabile che ottimizza la tenuta del calore corporeo: il che mi permette di disegnare un abbigliamento per l'esterno assolutamente innovativo, comodo, ergonomico. Non è facile per il designer un'occasione del genere. Tra i riconoscimenti che ha collezionato c'è un suo progetto per il bagno.

Quale la sua opinione su questo ambiente, sulla sua evoluzione? Come vede il bagno oggi? E domani?
Secondo me i problemi del bagno sono ormai risolti. Il problema è quello di chi non può permettersi un bel bagno: questo porta il designer a individuare le necessità delle categorie meno fortunate. Del domani non parlerei, se le previsioni sono la mancanza di acqua potabile in gran parte del globo tra solo dieci anni, con il conseguente corollario di guerre. In futuro si parlerà di acqua, non di bagni.

Nei paesi del Medio Oriente l'hammam ha un valore sociale importante: l'uso sta entrando anche in Italia e in genere in occidente. Vuole dare la sua interpretazione su questo cambiamento di costumi?
Si tratta di un normale scambio tra culture, di ricerca di alternative. Non si mangia sushi solo in Giappone, non si usa la sauna solo in Finlandia. Ma l'hammam come è inteso in Occidente è del tutto diverso dalla tradizione. Hammam è una cultura, dall'architettura all'abbigliamento, dal rituale, alle funzioni sociali. Quello che si vede in Italia non si può chiamare hammam.

Ha qualche progetto nel cassetto, qualche sogno da realizzare?
Naturalmente: perché si vive finché si sogna.